Cambiamenti climatici: effetti e possibili soluzioni

cambiamenti climatici
Mignole bruciate dall'intensa irradiazione solare (A. Biancat)
Le alte temperature, lo stress idrico, l’alterazione della fenologia e dei cicli di patogeni e insetti mettono a rischio l’olivicoltura mediterranea. Le proposte strategie di adattamento incentrate sulla selezione di varietà resilienti

Secondo i dati registrati dalla più antica stazione di rilevamento che si trova alle Hawaii, è da settembre 2016 che i livelli di CO2 non scendono al di sotto di 400 parti per milione (ppm) e ciò rappresenta il nuovo record mondiale. La causa è da individuare, principalmente, nell’eccessivo utilizzo di combustibili fossili, a cui si associa un fenomeno periodico di riscaldamento delle acque del Pacifico tropicale conosciuto come “El Nino”. È ormai ben noto che l’elevata concentrazione di anidride carbonica e altri gas-serra siano i principali responsabili del riscaldamento globale.

Rispetto ai livelli pre-industriali, è stato registrato un aumento medio della temperatura del pianeta di 1,1 °C. Nel lungo periodo, l’aumento della temperatura globale si prospetta di ben 3 °C, livelli oltre i quali la “febbre” del pianeta potrà provocare effetti devastanti, con inondazioni, siccità e scioglimento dei ghiacciai.

Il bacino del Mediterraneo è particolarmente influenzato dai cambiamenti climatici. Nelle sue diverse aree, si prospetta un incremento di temperatura media variabile da 0,8 a 2,1 °C, fra gli anni 2000 e 2050 (Tanasijevic et al., 2014).

Una delle conseguenze più attese sarà l’aumento delle temperature minime, in particolare in inverno e nei primi giorni di primavera (Hertig and Jacobeitb, 2008; Giorgi, 2006). Si prevede, inoltre, una consistente riduzione delle precipitazioni ed un incremento della loro variabilità inter-annuale e inter-regionale.

La tropicalizzazione favorirà la formazione di pseudo-cicloni, cioè precipitazioni torrenziali che vengono chiamate “bombe d’acqua”. La media dei mm di pioggia che si prevede cadranno fra il 2000 e il 2050 varierà nelle diverse zone del bacino del Mediterraneo da -200 a +145 mm, con una consistente riduzione delle precipitazioni anche nel Sud Italia (Tanasijevic et al., 2014).

Rischi reali per il settore olivicolo

L’olivicoltura del bacino del Mediterraneo, così come l’intero comparto agricolo, si trova a fronteggiare gli effetti dei cambiamenti climatici in corso, che si sommano ai cambiamenti nella gestione degli oliveti, nelle abitudini alimentari e di consumo, alla dinamica dei mercati e alle novità legislative.

L’estrema variabilità climatica fra le annate e le stagioni influisce sugli aspetti fenologici dell’olivo, la produttività e le caratteristiche organolettiche dell’olio. La progressiva tropicalizzazione del clima, inoltre, sta favorendo la diffusione di questa coltura in nuovi areali.

Nel 2000 le aree climaticamente utilizzabili per l’olivicoltura rappresentavano circa il 39% dell’areale Mediterraneo, potrebbero arrivare a circa il 50% nel 2050 (Gutierrez et al., 2009), interessando altitudini più elevate nel Centro Italia e maggiori latitudini nel Nord Italia.

Il 2016 è stato l’anno peggiore degli ultimi decenni per la produzione olivicola nazionale attestandosi sulle 182 mila tonnellate e superando in negativo il 2014, già a sua volta considerato “annus horribilis” con un volume produttivo pari a 222 mila tonnellate.

Nel febbraio 2016, in diversi areali calabresi, è stata riscontrata un’esplosione di attacchi fungini e di altri parassiti. In particolare sono stati segnalati attacchi di occhio di pavone (Fusicladium oleagineum) (foto 1), soprattutto su varietà sensibili quali la Carolea e di Tignola verde dell’olivo o margaronia (Palpita vitrealis). Negli ultimi anni, gli attacchi di margaronia sono diventati sempre più frequenti, l’attività trofica delle larve di questo lepidottero può causare la distruzione dei giovani germogli determinando l’arresto dello sviluppo della pianta, provocando ingenti danni soprattutto nei nuovi impianti (Vatrano et al., 2016). A causa degli inverni miti, è stato riscontrato, inoltre, un aumento del numero dei cicli della tignola (Prays oleae) (foto 2).

Foto 3 – Punture sterili di Bactrocera oleae (mosca dell’olivo)
su drupe (foto: G. Godino).

Anche la dinamica di sviluppo delle popolazioni della mosca dell’olivo (Bactrocera oleae) (foto 3), in anni recenti, ha presentato delle anomalie rispetto alla media; in particolare, nel 2016 l’infestazione si è diffusa a partire dall’inizio di luglio, con una intensità particolarmente elevata. I mesi invernali, piuttosto miti, oltre a consentire la sopravvivenza di un numero maggiore di forme svernanti dell’insetto, determinano anche un anticipo nello sviluppo vegetativo e quindi produttivo dell’olivo, rendendo le drupe recettive agli attacchi della mosca già quindici giorni prima della norma, costringendo gli olivicoltori ad anticipare i trattamenti.

 

Foto 4 – Danni provocati dal fungo Colletotrichum gloeosporioides (lebbra
dell’olivo) su drupe della cultivar Carmelitana (foto: G. Godino).

Negli ultimi anni sta preoccupando una malattia “riemergente”, la lebbra dell’olivo (foto 4), malattia fungina causata da Colletotrichum gloeosporioides, nota già nel dopoguerra nelle zone di coltivazione meridionali, in particolare nella Piana di Gioia Tauro, ma che negli ultimi 15 anni, in seguito all’aumento delle temperature medie stagionali e dell’umidità relativa, è stata segnalata anche in altre regioni (Puglia, Toscana, Umbria, Marche, Liguria e Lombardia) (Vatrano et al., 2016).

 

Gli effetti dei cambiamenti climatici, in termini di aumento delle temperature, cambiamento nella quantità e distribuzione delle precipitazioni, siccità, aumento dei livelli di anidride carbonica e ozono, possono avere una ripercussione su incidenza e gravità delle malattie e influenzare la stessa coevoluzione delle piante e dei loro patogeni (Garrett et al., 2006; Crowl et al., 2008; Eastburn et al., 2011). Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che la temperatura può influenzare direttamente la degradazione delle molecole chimiche, modificando indirettamente penetrazione, traslocazione, persistenza e meccanismo d’azione di molti fungicidi sistemici (Coakley et al., 1999).

Come cambia la fenologia

L’olivo ha necessità di un determinato numero di giorni di freddo per indurre la fase di iniziazione delle gemme fiorali: inverni più miti determineranno una fase vegetativa quasi ininterrotta incidendo negativamente sulla differenziazione fiorale. Durante l’inverno 2016, in Calabria sono state registrate massime termiche con picchi di 18-20 °C e un regime pluviometrico molto scarso. Di conseguenza gli olivi hanno continuato ad emettere nuova vegetazione e già nei primi giorni del mese di marzo è stata riscontrata la fase di mignolatura per numerose cultivar presenti nel Campo collezione del germoplasma olivicolo gestito dal Crea, sito in Mirto Crosia (Cosenza).

In alcuni areali, l’anticipo della fioritura potrebbe lasciare le mignole esposte ad improvvisi ritorni di freddo con conseguente compromissione della vitalità delle stesse. Inoltre, l’aumento della temperatura media primaverile può determinare una ridotta emissione di polline e picchi giornalieri di molto superiori ai 30 °C potrebbero causare aborto dell’ovario (Diez et al., 2016).

La sede di Rende (Cosenza) del Crea, Centro di ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura, effettua da anni rilievi fenologici su tutte le cultivar presenti (circa 500) nel Campo collezione del germoplasma di Mirto Crosia (Cosenza): dal confronto fra le epoche di fioritura dei periodi 2001-2003 e 2011-2016 è stato riscontrato, in media, un anticipo di circa 15-20 gg nell’epoca di fioritura (v. grafico). Le osservazioni di campo e i dati sperimentali hanno evidenziato una generale tendenza alla precocità delle fasi fenologiche tra cui l’epoca di fioritura, in linea con le previsioni di alcuni autori (Moriondo et al., 2008; Garcia-Mozo et al., 2010). Tanasijevic et al., 2014 prospetta un anticipo di fioritura nel bacino Mediterraneo di 11 giorni (+/- 3) in media con un maggiore scostamento atteso (fino a 18 giorni) nelle aree costiere.

Studi recenti (Tupper, 2012), hanno inoltre dimostrato come l’epoca di fioritura degli olivi sia strettamente dipendente dalle temperature dei primi giorni del periodo primaverile che, mediamente, in questi ultimi anni hanno presentato un incremento.

Le temperature miti sono, inoltre, riportate come causa di maggiore infestazione della mosca (Bactrocera oleae) (Moumir e Monji, 2015). L’anticipo sempre più marcato della fioritura determinerebbe, infatti, una più vantaggiosa esposizione delle drupe all’attacco della stessa. Poiché la mosca attacca i frutti già alle dimensioni di 6 mm, con la precocità di fioritura, quindi di allegagione e sviluppo dei frutti, l’insetto sfuggirebbe al caldo estivo che potrebbe, invece, eliminarlo naturalmente.

Il Crea di Rende nel progetto Olive-Miracle

Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea), Centro di ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura, sede di Rende (Cosenza), è partner del Progetto di Ricerca europeoSoluzioni modellistiche per migliori e resilienti strategie gestionali per l’olivicoltura contro i futuri cambiamenti climatici” (Olive-Miracle), il cui obiettivo generale è quello di sviluppare modelli previsionali e strategie agronomiche per mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici sull’olivicoltura del bacino Mediterraneo.

Il progetto prevede il coinvolgimento attivo degli stakeholders nella valutazione dell’impatto del cambiamento climatico in olivicoltura: consistenti perdite di produzione sono già state segnalate in tutte le regioni meridionali in particolare negli ultimi sei anni, associate ad una ridotta qualità.

Impatto su maturazione e stato idrico

Ad essere influenzate dalle condizioni ambientali sono anche le componenti qualitative dell’olio di oliva. In particolare, le alte temperature, durante il periodo che va dall’allegagione alla maturazione delle drupe, possono determinare un decremento nel contenuto di acido oleico, accompagnato da un incremento degli acidi palmitico e/o linoleico (Lombardo et al., 2008); temperature molto elevate causerebbero inoltre una riduzione del contenuto di polifenoli totali (Ripa et al., 2008).

Le alte temperature hanno effetti sul suolo, in termini di aumento del tasso di decomposizione e mineralizzazione della sostanza organica, che riduce la capacità dei suoli di sequestrare carbonio (Wright et al., 2005), con rilascio di CO2 in atmosfera e perdita di fertilità chimica.

Anche il ciclo idrologico del suolo è influenzato dell’aumento della temperatura, che causa una maggiore perdita di acqua per evapotraspirazione, con conseguente riduzione dell’acqua disponibile. A subire gli effetti dell’innalzamento termico è, inoltre, l’attività metabolica della microflora, sebbene le attività microbiche siano positivamente influenzate dall’incremento termico, temperature troppo elevate possono diventare limitanti.

A causa dei cambiamenti climatici è prevista una riduzione netta delle precipitazioni e quindi una maggiore richiesta di irrigazione netta (Nir), soprattutto nelle aree orientali e meridionali del Mediterraneo, caratterizzate da condizioni di particolare aridità. In generale, si prevede un aumento di Nir in ogni area del Mediterraneo per il 2050, con un incremento generale di circa 18,5% o di 70 mm (+/- 28 mm) a stagione (Tanasijevic et al., 2014). Nonostante sia una specie xerofila, probabilmente in un futuro prossimo la coltivazione dell’olivo sfruttando soltanto le precipitazioni potrebbe non essere più praticabile.

La carenza idrica per lunghi periodi di tempo può deprimere l’assorbimento di azoto (Alfei et al., 2013) e probabilmente di altri componenti minerali, con conseguenze negative sulla crescita dei germogli e sulle future gemme, pregiudicando la successiva produzione. Il deficit idrico influenza la maturazione delle drupe, che si verifica prima e in tempi più rapidi, con conseguente incrementato fenomeno di cascola pre-raccolta. Inoltre, è necessario un certo apporto idrico durante determinate fasi di sviluppo della drupa per evitare una scarsa inolizione.

Questa serie di fattori potrebbe, in parte, spiegare la sensibile perdita di produzione e di qualità osservata in questi ultimi anni in numerosi areali olivicoli italiani. Purtroppo, in numerosi areali olivicoli da Nord a Sud dell’Italia sono stati segnalati casi di mignole, a diversi stadi, “bruciate” dall’intensa irradiazione solare e dai venti di scirocco (foto 5).

In alcuni areali calabresi il 2017 ha visto inoltre la diffusione di una nuova emergenza, rappresentata da un insetto minore dell’olivo, il tripide (Liothrips oleae) che, in particolari condizioni climatiche, può compiere anche 4-5 generazioni all’anno sfuggendo probabilmente al controllo degli insetti naturalmente antagonisti. I danni, spesso considerevoli, sono causati dalle punture trofiche delle forme giovanili o neanidi e degli adulti in varie parti della pianta:

  • i germogli manifestano uno sviluppo stentato e tendono ad attorcigliarsi su se stessi;
  • le foglie assumono forme ad uncino e cadono precocemente;
  • i fiori manifestano aborto dell’ovario e colatura;
  • i frutti subiscono deformazioni con macchie brunastre e cascola precoce (foto 6).

Strategie di resilienza

Ma quali sono le possibili soluzioni da adottare per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici sull’olivicoltura? L’obiettivo è quello di incrementare la resilienza rispetto ai cambiamenti climatici, cioè la capacità di adattarsi al cambiamento e di riuscire a fronteggiare gli effetti delle modificazioni del clima, cercando di trarre vantaggio da eventi che potrebbero, altrimenti, essere particolarmente traumatici.

A tal proposito, abbiamo individuato tre strategie principali.

Il miglioramento genetico

Il miglioramento genetico, sia convenzionale che non convenzionale, è una strategia utile al fine di selezionare e/o sviluppare cultivar con caratteri di resistenza agli stress biotici e abiotici.

Lo stress idrico controllato

Lo stress idrico controllato, consente di fornire all’oliveto la quantità minima di acqua sufficiente affinché non sia alterata la produttività, ma anzi venga favorito un miglioramento delle caratteristiche nutraceutiche del prodotto, con un significativo risparmio delle risorse idriche.

Gestione biologica dell'oliveto

Le buone pratiche agronomiche di gestione, in biologico, dell’oliveto, favoriscono una produzione più salubre e sostenibile, evitando l’erosione del suolo.

 

Per ovviare ai cambiamenti fenologici correlati a quelli climatici, si dovranno impiantare cultivar meno suscettibili alle variazioni ambientali, in termini di spostamento dell’epoca di fioritura e con fabbisogno in freddo minore.

Per contrastare i problemi legati alla scarsità d’acqua per l’irrigazione, sarà necessario:

  • ricorrere all’impianto di cultivar resistenti o tolleranti la siccità, prediligendo possibilmente varietà autoctone, già adattate alle condizioni pedo-climatiche;
  • attivare programmi di miglioramento genetico che favoriscano lo sviluppo di cultivar con caratteri di resistenza allo stress idrico;
  • quando possibile, applicare i criteri dello “stress idrico controllato”, che consente di fornire all’oliveto la quantità minima di acqua sufficiente affinché non sia alterata la produttività, ma anzi venga favorito un miglioramento delle caratteristiche nutraceutiche del prodotto, con un significativo risparmio delle risorse idriche.

Per quanto riguarda la difesa dagli stress biotici, risulta importante uno studio più approfondito del ciclo di ogni patogeno, in relazione ai cambiamenti climatici e, dove necessario, un numero maggiore di trattamenti, sia in ambito di agricoltura biologica che integrata, coscienti della conseguenza di un aumento dei costi per gli olivicoltori e la probabilità che le piante così protette possano attivare meccanismi di resistenza agli antiparassitari (Juroszek e Von Tiedemann, 2011). È auspicabile, inoltre, l’avvio di programmi di miglioramento genetico, al fine di sviluppare nuove cultivar resistenti agli stress biotici.

Potenziale di sequestro del carbonio dell’oliveto

Infine, bisogna ricordare che l’olivo non è solo una coltura da tutelare rispetto ai cambiamenti climatici, ma può diventare essa stessa strumento di difesa per evitare l’accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera. Gli oliveti, sia rappresentati da olivi secolari millenari, sia i nuovi impianti intensivi e superintensivi risultano, infatti, fra le colture più interessanti per lo stoccaggio della CO2. È stato osservato come, già dal quarto anno dall’impianto, il bilancio fra sequestro del carbonio ed emissioni può diventare positivo, evidenziando come l’oliveto diventi rapidamente uno strumento in grado di sequestrare carbonio (Brunori et al., 2014).

Anche la razionale gestione del suolo può contribuire alla riduzione di emissioni, riducendo il depauperamento della fertilità con conseguente accumulo di sostanza organica. Fra le buone pratiche agronomiche conservative, importanti risultano:

  • la trinciatura del cotico erboso, insieme ai residui di potatura;
  • il sovescio delle leguminose;
  • l’ammendamento con sansa ad integrazione dei concimi chimici (con conseguente riduzione delle emissioni correlate alla loro produzione);
  • l’inerbimento controllato, che, riducendo il ruscellamento e quindi l’erosione, favorisce l’infiltrazione, incrementa la disponibilità di acqua per la coltura e aumenta progressivamente il contenuto di sostanza organica nel terreno limitando la perdita di biodiversità della microflora e microfauna;
  • la pacciamatura con sottoprodotti dell’industria olearia, permette il controllo delle infestanti senza il ricorso a interventi meccanici o chimici, con incremento della sostanza organica e riduzione dell’evaporazione;
  • l’eliminazione delle lavorazioni convenzionali (fresatura, aratura), soprattutto negli oliveti collinari.

Dobbiamo convenire che negli ultimi anni si stanno registrando significativi effetti negativi nel settore olivicolo a causa dei cambiamenti climatici, quindi, è necessario conoscere le problematiche emergenti, non sottovalutarle ed essere pronti a fronteggiarle, nel rispetto della sostenibilità economica e ambientale, al fine di salvaguardare l’olivicoltura italiana.

Cambiamenti climatici: effetti e possibili soluzioni - Ultima modifica: 2017-10-25T12:15:32+02:00 da Lucia Berti

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