QUALITA'

Olio: valutazione della qualità. Gli indicatori chimici

Acidità, numero di perossidi e costanti spettrofotometriche all’ultravioletto indicano complessivamente il livello di alterazione idrolitica e ossidativa primaria e secondaria dell’olio. Altre analisi garantiscono invece la genuinità e la purezza del prodotto

OlivoeOlio n. 1/2013 a pag 13 sono stati affrontati gli aspetti relativi al Panel test, ai pregi e ai difetti, illustrandone le relative cause; andiamo ora ad analizzare i parametri chimici principali che contribuiscono a valutare la qualità del prodotto. Acidità, numero di perossidi e costanti spettrofotometriche all’ultravioletto indicano, nel loro complesso, il livello di alterazione idrolitica e di alterazione ossidativa primaria e secondaria dell’olio. Altre analisi garantiscono invece la genuinità e la purezza del prodotto, valutando una serie di indici riguardanti sia la frazione gliceridica, che alcuni componenti della frazione insaponificabile quali gli steroli, gli alcoli alifatici e triterpenici, le cere, ecc.

Parametri per valutare la qualità

Acidità

Indica un’alterazione di tipo lipolitico, espressa in grammi di acido oleico su 100 grammi di olio (%); viene determinata mediante analisi di laboratorio (titolazione acido-base), mentre non è percepibile a livello organolettico.

Il limite di acidità per un olio extravergine di oliva è 0,8%, ma in un olio di qualità i valori sono decisamente più bassi (0,1-0,3%). Valori superiori spesso indicano problemi insorti durante la filiera produttiva (olive troppo mature, o attaccate dalla mosca, o conservate a lungo…) e sono sovente accompagnati da difetti sensoriali (in particolare avvinato, riscaldo, muffa).

Bassa acidità è condizione necessaria, ma non sufficiente, per dimostrare un elevato livello qualitativo dell’olio; è necessario il supporto di altri parametri qualitativi, in particolare l’esame organolettico.

Perossidi

Indicano un’alterazione di tipo ossidativo, sinonimo di degradazione ed invecchiamento, espressa in milliequivalenti di ossigeno attivo per chilo di olio (meq O2/kg). Il limite relativo al numero di perossidi è 20, al di sopra del quale l’olio è lampante.

Un valore è buono se al di sotto di 10-12; un elevato numero di perossidi evidenzia un processo di ossidazione primaria già avviato ed irreversibile, mentre un basso numero di perossidi non è necessariamente legato a qualità elevata, in quanto si può essere già in presenza della fase secondaria dell’ossidazione, in cui i perossidi si sono decomposti in aldeidi e chetoni, che danno la sensazione di rancido.

È quindi necessario accompagnare l’analisi dei perossidi con l’esame spettrofotometrico e il saggio organolettico.

Costanti spettrofotometriche

Il K232, il K270 e il DK vengono determinati con lo spettrofotometro in laboratorio mediante lettura degli assorbimenti a 232 e 270 nanometri. I limiti per un olio extravergine sono 2,5 per il K232, 0,2 per il K270 e 0,01 per il DK. L’analisi spettrofotometrica evidenzia processi di raffinazione o fenomeni di ossidazione e invecchiamento dell’olio. Un aumento del K232 evidenzia un’ossidazione primaria, con formazione di perossidi, mentre un aumento del K270 evidenzia un’ossidazione secondaria, con formazione di aldeidi e chetoni.

Nuovi limiti

Dal 1° Aprile 2011, tutti gli oli confezionati e commercializzati devono rispettare i limiti per gli alchilesteri, attualmente fissati dal Reg. CE 61/2011 in 75 mg/kg, anche se è in atto la proposta (disegno di legge 3211) di portare il valore massimo ammissibile degli alchil esteri a 30 mg/kg per gli oli che in etichetta indicano l’origine italiana.

Alchil esteri

Composti organici che si originano dall’esterificazione di acidi grassi con alcoli; più elevati sono i precursori (acidi grassi liberi, alcol etilico e metilico), maggiore è la probabilità di avere elevati valori di etil e metil esteri nell’olio, indice di bassa qualità e scarsa attenzione verso le corrette pratiche agronomiche e tecnologiche di produzione (olive danneggiate, o troppo mature, o stoccate in maniera non corretta e/o per periodi abbastanza lunghi).

Oltre all’acidità libera (acidi grassi liberi che si originano per azione delle lipasi), un alto valore di alcol etilico è legato a processi fermentativi che si instaurano nella fase di conservazione delle olive(olive ammassate, in condizioni di umidità relativa e temperatura elevate),mentre un valore elevato di alcol metilico può essere dovuto alla trasformazione di olive surmature, dato che l’attività degli enzimi endogeni che idrolizzano le pectine aumenta con la maturazione.

Sono in corso studi per capirne le dinamiche, ma sembra che eventuali variazioni di tale parametro siano legate ai valori di partenza: tanto più elevati i valori iniziali, tanto più numerosi i precursori (acidi grassi liberi, alcol etilico e metilico), maggiore probabilità che l’esterificazione degli acidi grassi liberi con i relativi alcoli possa continuare nel tempo.

Etichettatura

In etichetta vanno obbligatoriamente riportate le seguenti indicazioni:

  • denominazione di vendita (olio extravergine di oliva);
  • informazioni sulla categoria dell’olio (“olio d’oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici”);
  • nome o ragione sociale o marchio e sede del produttore o del confezionatore o di un venditore che risiede nella comunità;
  • sede stabilimento produzione o confezionamento;
  • volume nominale prodotto: i formati 0,25 – 0,5 – 0,75 – 1 – 2 – 3 – 5 litri non sono più obbligatori, fermo restando l’obbligo di commercializzare in formati non superiori ai 5 litri;
  • Termine minimo di conservazione (“da consumarsi preferibilmente entro”);
  • lotto “L” (può essere omesso in caso di indicazione del termine ultimo di conservazione con giorno, mese e anno);
  • condizioni di conservazione (es. “conservare al riparo dalla luce e lontano da fonti di calore”).

Il Reg. Ce 182/2009 prevede l’obbligo di indicare in etichetta un riferimento dello stato membro, della comunità o del paese terzo nel quale le olive sono state raccolte e dove è situato il frantoio in cui è stato estratto l’olio; l’origine del prodotto deve essere ben evidente. Per gli oli a denominazione di origine protetta o a indicazione geografica protetta l’indicazione della provenienza in etichetta è regolamentata dai relativi disciplinari di produzione. È vietata l’indicazione in etichetta di qualsiasi altro nome geografico.

La dicitura “da consumarsi preferibilmente entro il ….” indica la data di preferibile consumo (o termine minimo di conservazione) fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue specifiche proprietà in adeguate condizioni di conservazione (ma se consumato successivamente non crea rischi per la salute). La dicitura “da consumarsi entro il…” (data di scadenza) indica il termine perentorio entro il quale il prodotto deve essere consumato ed è obbligatorio per i prodotti altamente deperibili dal punto di vista microbiologico.

Conservazione e scadenza

Il termine minimo di conservazione è determinato dal confezionatore che, sotto la sua responsabilità, indica il periodo di tempo entro il quale il prodotto, purché correttamente conservato, mantenga inalterate le caratteristiche chimico-fisico-organolettiche prescritte dalla normativa vigente o quelle più particolari e restrittive vantate nell’etichetta e nella pubblicità.

Quanto dura un olio? Generalmente un anno, un anno e mezzo dalla produzione (a prescindere dalla data di confezionamento). La durata dipende dalle condizioni di conservazione (temperatura, aria, luce), contenuto in sostanze fenoliche, livello qualitativo di partenza, presenza o assenza di filtrazione. I 18 mesi dalla produzione, e a maggior ragione dall’imbottigliamento, non sempre garantiscono il mantenimento dei requisiti chimici e sensoriali, soprattutto nel caso di oli dolci, a basso contenuto in sostanze fenoliche.

* alfei_barbara@assam.marche.it

Olio: valutazione della qualità. Gli indicatori chimici - Ultima modifica: 2013-02-12T14:50:16+01:00 da Redazione Olivo e Olio

2 Commenti

  1. una curiosità alla quale fino ad ora non sono riuscito ad avere risposta chiara(premetto che sono un semplice privato che cerca di comperare olio extravergine di qualità cercando di salvare nei limiti della decenza anche il portafoglio) la domanda è questa:
    da quello che ho visto negli esempi di etichettatura degli extravergini secondo le norme europee la dizione “extravergine” sembra dover essere scritta sulle bottiglie proprio così “extravergine” tutto attaccato. Quasi sempre però nelle bottiglie in commercio anche di prezzo sostenuto, più di 20 euro al litro, la scritta “extra vergine” compare con uno spazio in mezzo se non su due righe diverse. La mia formazione tecnica in tutt’altro settore (meccanico) mi insegna che in genere le norme prescrivono esattamente anche la “forma grafica delle definizioni” spesso prescrivendo anche la grandezza dei caratteri usati. Non è che dietro una sottigliezza grafica si può nascondere una scappatoia alla rispondenza normativa e quindi ognuno imbottiglia quello che vuole sotto la protezione di una definizione “furbesca”??? ringrazio per l’attenzione e saluto cordialmente L.L.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome