Grazie ai polifenoli dell’oliva lo scarto diventa alimento

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Il paté derivato dalla tecnologia Dmf, per il suo contenuto in idrossitirolo e polifenoli ha tutte le potenzialità per essere utilizzato anche nell’alimentazione umana. Un recente studio ha sperimentato l’uso di colture di starter per la sua fermentazione

L’innovazione tecnologica e la ricerca negli ultimi hanno prodotto nuove soluzioni per la gestione dei sottoprodotti della lavorazione delle olive, che, per la difficoltà del loro smaltimento, continuano a rappresentare un’importante voce di costo nel bilancio economico della produzione di olio extravergine.

L’utilizzo a fini energetici delle sanse , ma soprattutto la valorizzazione dei composti fenolici di cui questi co-prodotti sono molto ricchi sono opportunità concrete per ricavare un valore economico da quello che è sempre stato considerato uno scarto.

Le potenzialità d’uso in filiere alternative, come quella mangimistica e quella alimentare, dipendono in gran parte dalla natura del sottoprodotto: ad esempio sanse non denocciolate presentano un problema dovuto all’elevato contenuto di lignina, che ne limita la di gestibilità.

Uno dei sottoprodotti che più ha attirato attenzione negli ultimi anni per le sue potenzialità d’uso in filiere alternative è il cosiddetto “paté”, particolare sansa che risulta dalla lavorazione con tecnologia a due fasi DMF.

Possibili utilizzi alimentari del patè

Il patè, essenzialmente costituito dalla polpa e la buccia dell’oliva rimanenti dopo la separazione della fase oleosa, conserva, oltre a una piccola percentuale di acido oleico, palmitico e acidi polinsaturi, molti composti chimici dall’elevato valore nutraceutico, come idrossitirosolo, tirosolo, derivati dei secoiridoidi e altri biofenoli.

I polifenoli dell’olivo, come idrossitirosolo e oleuropeina, contribuiscono alla protezione dei lipidi ematici dallo stress ossidativo, un effetto benefico attestato anche dall’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare).

Il paté, tal quale, potrebbe costituire un ingrediente di prodotti agroalimentari tradizionali come pasta o prodotti da forno; tuttavia sono allo studio tecnologie che ne aumentino la stabilità microbiologica e organolettica, nonché la gradevolezza. In un recente lavoro di ricerca condotto dal Cnr di Lecce e dall’Università di Perugia (Tufariello et al., 2019), condotto nell’ambito del progetto finanziato dalla Regione Puglia “Passatadoliva”, è stato sperimentato a questo scopo l’utilizzo di fermentazioni con colture starter e valutato l’impatto sul profilo organolettico del patè.

Nello studio sono state utilizzate olive delle cultivar Cellina di Nardò e Leccino, molite con il sistema DMF, ed il paté ricavato è stato inizialmente trattato ad alta temperatura per bloccare l’avvio di fermentazioni naturali.

Successivamente, dopo aver valutato la capacità di crescita sul substrato di diversi lieviti e batteri lattici, sono state condotte alcune fermentazioni controllate in laboratorio inoculando il patè prima con un particolare ceppo di Saccharomyces cerevisiae e successivamente con un ceppo del batterio lattico Leuconostoc mesenteroides, entrambi i microrganismi derivati da isolati di olive da mensa.

Un ingrediente sicuro e ricco di molecole nutraceutiche

Dal punto di vista microbiologico, i ricercatori non hanno riscontrato contaminazioni con microorganismi dannosi come enterobatteri, coliformi o clostridi, confermando la sicurezza alimentare del prodotto finale della fermentazione.

I risultati dello studio hanno evidenziato che il processo di fermentazione incide fortemente sulla componente aromatica volatile, cambiando il profilo sensoriale del prodotto, come del resto avviene nel processo fermentativo delle olive da mensa.

Il patè di olive, sia tal quale sia sottoposto alla fermentazione, si è dimostrato una buona fonte di acidi triterpenici, tra cui l’acido maslinico e l’acido oleanolico, molecole dalle dimostrate proprietà antinfiammatorie, antitumorali, cardioprotettive ed epatoprotettive.

Dalla caratterizzazione chimica del patè fermentato è risultata una parziale riduzione del contenuto totale di polifenoli rispetto al prodotto non fermentato, ma con un significativo aumento, sia in Cellina di Nardò sia in Leccino, del contenuto di idrossitirosolo.

Oltre agli usi nel settore zootecnico e alla valorizzazione energetica, il patè potrebbe quindi essere un valido ingrediente anche per la produzione di alimenti funzionali destinati al consumo umano, soprattutto per il contenuto di biofenoli dall’elevato valore salutistico; l’utilizzo di processi fermentativi con colture starter “prese in prestito” dalla lavorazione delle olive da mensa potrebbero ulteriormente ampliarne le potenzialità.


Bibliografia

Tufariello M., Durante M., Veneziani G., Taticchi A., Servili M., Bleve G. e Mita G. (2019). “Patè Olive Cake: Possible Exploitation of a By-Product for Food Applications. Frontiers in Nutrition, 6:3. (doi: 10.3389/fnut.2019.00003)

Grazie ai polifenoli dell’oliva lo scarto diventa alimento - Ultima modifica: 2019-02-20T16:54:48+01:00 da Barbara Gamberini

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