Un tesoro nel piatto dall’assaggio al consumo

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Esposizione prodotti conditi con olio
Profumi, aromi e sapori diversi, frutto di un patrimonio olivicolo unico al mondo. Con passione e pazienza le mille qualità degli oli extravergini di oliva si possono esaltare a tavola, in cucina, a crudo o nelle preparazioni cotte

In molti ristoranti si presta notevole attenzione all’abbinamento cibo-vino per aumentare la soddisfazione dei clienti e migliorare l’immagine del locale. Per questo sono stati codificati metodi, come quello di Mercadini dell’Associazione Italiana Sommelier, che comunque, per funzionare bene devono essere accompagnati dalla precisa conoscenza dei piatti e dei vini.

Un numero crescente di ristoranti presenta poi ai clienti il carrello degli oli, ed anche per l’olio si sta parlando sempre più di abbinamento, seguendo a volte metodi che traggono ispirazione da quanto fatto per i vini.

Per facilitare un corretto utilizzo dell’extravergine sono stati quindi descritti abbinamenti per similitudine, o per contrapposizione, che considerano in genere quali elementi fondamentali l’intensità e la complessità del piatto e le caratteristiche di intensità del fruttato, del piccante e dell’amaro dell’olio. Tutto questo nasce da intenti lodevoli, ma il risultato è comunque spesso poco chiaro, complesso e di difficile applicabilità.

Tante cultivar, tre gruppi aromatici

Appare corretto parlare di abbinamento quando si descrive l’introduzione in bocca, in modo sequenziale, di due elementi ben separati quali sono il cibo ed il vino, aventi ciascuno consistenza, profumi e sapori ben definiti. L’olio non viene mai bevuto dopo il cibo, ma viene utilizzato per cuocerlo o viene aggiunto a questo prima di mangiarlo, entrando comunque a far parte del piatto, di cui diventa un ingrediente né più né meno del pomodoro, del basilico o del sale e contribuendo a cambiare anche in maniera determinante il risultato organolettico finale.

Siccome nessuno ha mai parlato di abbinamento del cibo al timo, allo zenzero o allo zafferano, ma sempre e solamente del loro impiego in specifiche preparazioni per ottenere determinati risultati, può essere utile considerare in modo analogo l’utilizzo dell’olio, iniziando così a percorrere una nuova strada sicuramente capace di condurre verso importanti traguardi.

La nazione che produce più olio al mondo è la Spagna, ma l’Italia vanta il maggior numero di cultivar di olivo: ben 538, ciascuna capace di produrre olio con peculiari caratteristiche. Ogni paese nel mondo ha poi le sue cultivar, per un totale di varietà che, nella omogeneizzazione dei sapori sempre più presente nel mercato alimentare mondiale, sono da considerare un vero patrimonio da conoscere e difendere.

Oltre al fruttato di oliva verde o matura, alcune varietà offrono profumi e sapori di carciofo o cardo, erba tagliata, mandorla verde, cicoria, sedano, mela, erbe aromatiche, altre di pomodoro, oppure frutti di bosco, eccetera, diversamente combinati tra loro e variamente accompagnati dall’intensità del piccante e dell’amaro.

L’assaggiatore professionista valuta l’olio, usando l’apposito bicchiere di vetro blu, per descriverne con precisione tutte le caratteristiche, tendendo spesso, nel giudizio finale, a privilegiare l’armonia delle varie sensazioni. Così avviene anche nei concorsi. Dagli assaggiatori l’olio non viene mai giudicato nel contesto di una preparazione gastronomica.
Questo sembra rendere difficile la proposta di un metodo universale e semplice da utilizzare. Sicuramente ben pochi hanno idee chiare in proposito: anche famosi chef, che spesso compaiono negli ormai inflazionati programmi televisivi di cucina, con enfasi grande quanto la loro scarsa conoscenza degli oli aggiungono al piatto “un olio extravergine”. Si potrebbe immaginare che poi lo stesso chef, o il suo sommelier, propongano l’abbinamento ad “un vino” senza specificare quale?

Il personale di sala di quei ristoranti che propongono con orgoglio il carrello degli oli non è quasi mai in grado di descrivere il contenuto delle varie bottiglie e soprattutto, nella maggior parte dei casi, le confezioni sono aperte da un tempo sufficiente a provocarne l’irrancidimento. Anche l’assaggiatore professionista si trova in difficoltà di fronte al carrello: non potendo conoscere con certezza gli oli e non potendoli assaggiare prima di decidere quale utilizzare, deve affidarsi alla buona sorte come qualunque altro cliente. Il carrello degli oli quindi non va bene, ma è anche peggio trovare in tavola un solo olio, spesso di scarsa qualità, a volte difettato anche in modo grave.

L’olio “giusto” su ogni piatto

Sarebbe invece molto bello veder arrivare il cameriere con in mano la bottiglia dell’extravergine che è stato scelto per quel determinato piatto, magari descrivendone la motivazione.

L’esperienza derivata da innumerevoli esperimenti di utilizzo di diversi oli nello stesso piatto ha evidenziato che spesso oli vincitori di concorsi, premiati per l’armonia delle componenti aromatiche del fruttato e per l’equilibrio del piccante e dell’amaro, offrono risultati meno pregevoli rispetto ad altri che, giudicati meno equilibrati perché caratterizzati da qualche sentore in netta prevalenza, hanno in realtà esaltato la gradevolezza del cibo.

Soprattutto si è evidenziato con chiarezza che la cosa più importante da valutare per l’utilizzo del giusto olio su ciascun piatto è la qualità dei suoi profumi ed aromi, mentre l’intensità di amaro e piccante ha importanza minore.

Presupposto indispensabile per decidere quale possa essere l’olio capace di rendere appagante il piatto è quindi la corretta conoscenza delle sue qualità organolettiche. Questa caratterizzazione è spesso difficile con i blend, mentre è facile e costante con i monovarietali, se ottenuti nel rispetto della corretta conduzione di tutta la filiera produttiva.
Per iniziare bene sarà sufficiente sapere che, ad esempio, profumi ed aromi erbacei come di mandorla verde, erba, carciofo, cicoria, eccetera, sono peculiari degli oli ottenuti dalle cultivar Bianchera, Frantoio, Leccino, Coratina, Moraiolo, Peranzana, ecc. Profumi ed aromi prevalenti di pomodoro, accompagnati da sentori anche erbacei più o meno intensi, sono tipici delle cultivar Ascolana tenera, Nocellara del Belice, Itrana, Ravece, Tonda Iblea ed altre, mentre Mignola, Cellina di Nardò ed Ogliarola Salentina sono caratterizzate da profumi ed aromi di lampone ed erbe aromatiche.

Questi sono soltanto esempi, ma in pratica tutte le cultivar possono rientrare in una suddivisione su tre soli gruppi aromatici: sentori erbacei, di pomodoro, o di frutti di bosco.
Questa semplificazione estrema è una buona base di partenza per permettere a chiunque di utilizzare correttamente a crudo gli extravergini sia in casa che al ristorante, anche quelli più blasonati, magari iniziando ad acquistare oli del proprio territorio aventi caratteristiche sufficienti a rappresentare bene le tre categorie di profumi ed aromi. Poi sarà la curiosità e la passione di ciascuno a stimolare la voglia di allargare le proprie conoscenze.

Quindi si ritiene inutile proporre schemi di utilizzo difficili da seguire e simili a dogmi precostituiti. Per comprendere le differenze organolettiche ottenibili cambiando solamente l’olio aggiunto a crudo, si consiglia di iniziare a provare ciascuno dei tre su cibi molto semplici come una patata lessa, oppure una zuppa, o una carne, per proseguire il gioco su ogni piatto fino a definire per ciascuno l’olio “giusto” che sarà poi anche facile descrivere.

Per tutte le cotture e le basi di cucina invece va bene utilizzare un buon blend, meglio se con un favorevole rapporto qualità/prezzo, utilizzandolo sempre anche per le fritture poiché l’extravergine di oliva è il grasso vegetale con le migliori caratteristiche di tenuta alle alte temperature.

Ideale per i fritti

Per chi utilizza la frittura è indispensabile sapere che gli oli sono costituiti nella quasi totalità da trigliceridi, cioè da molecole di glicerina (alcol a tre atomi di carbonio) cui sono legati tre acidi grassi. La temperatura elevata determina dapprima la scissione per idrolisi (perdita di una molecola di acqua) di un acido grasso dalla glicerina, poi di un secondo e quindi del terzo, fino a scindere completamente la glicerina dagli acidi grassi.

La glicerina libera perde poi ancora due molecole di acqua e si trasforma in sostanze quali acroleina o acrilamide, che sono volatili e pertanto si manifestano con la comparsa di fumo azzurrino acre e pungente.

Queste sostanze possono dare sapore poco gradevole al cibo, ma soprattutto sono altamente cancerogene.

Il “punto di fumo”, condizionato anche dal fattore tempo, è la temperatura a cui inizia a prodursi questo fenomeno ed è diverso a seconda dell’olio utilizzato: è più basso negli oli aventi alto contenuto di polinsaturi (quali olio di mais e girasole, che possono produrre fumo già a 130 – 160 °C) e più alto in quelli ad alto contenuto di saturi (olio di palma), è più basso negli oli ad elevata acidità (sinonimo di presenza di monogliceridi o digliceridi ed acidi grassi liberi, che determinano una minore stabilità dell’olio), ma è più elevato negli oli aventi un elevato contenuto di polifenoli.

Buon punto di fumo hanno anche gli oli di soia e di arachidi, ma nessuno può vantare la qualità dell’extravergine di oliva. Con un punto di fumo spesso superiore ai 200 °C, questo è capace di offrire sicurezza pressoché totale alla temperatura di 165 – 170 °C necessaria e sufficiente per fare un’eccellente frittura, poiché è l’unico olio ad avere la corretta composizione in acidi grassi e soprattutto una forte presenza di polifenoli, potenti antiossidanti capaci di proteggerlo fino a consumarsi totalmente, come ormai dimostrato da numerosi studi scientifici.

Da sfatare infine le infondate convinzioni di chi pensa che usare extravergine di qualità per le fritture possa conferire cattivi sapori al cibo: basta provare il confronto una volta per togliere ogni dubbio e garantirsi con perfetta consapevolezza qualità e salute.
Buon olio a tutti!

Un tesoro nel piatto dall’assaggio al consumo - Ultima modifica: 2016-04-13T10:29:06+02:00 da Lucia Berti

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