Tornare a piantare olivi, la strada da seguire

piantare olivi
Il modello superintensivo è in forte crescita, con nuove sfide per il futuro
Realizzare nuovi oliveti seguendo modelli colturali adatti alle specificità del territorio. Per Alessandro Leone, docente dell’Università di Foggia, è un imperativo da non disattendere per ridare forza alla filiera
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Alessandro Leone

Ritornare a piantare olivi, dovunque sia possibile e con il modello più adatto a ogni areale. Per Alessandro Leone, professore associato di “Meccanica agraria e sicurezza sul lavoro” e “Macchine e impianti per le industrie agroalimentari” presso il Dipartimento Safe dell’Università di Foggia, è un imperativo da non disattendere per ridare forza al comparto olivicolo-oleario nazionale e al ruolo che spetta all’Italia nello scenario mondiale.

«L’Italia è, oggi, il secondo Paese al mondo dopo la Spagna per produzione di olio di oliva. Seguono la Grecia e altre nazioni fra cui Tunisia e Portogallo che stanno compiendo passi da gigante e, se non saranno presi immediati e adeguati provvedimenti, nel medio periodo la supereranno. In Italia, negli ultimi 20 anni, la superficie olivicola non è cresciuta, anzi è diminuita di circa 50.000 ha e la produzione di olio è precipitata nell’ultima annata a poco più di 200.000 t. Occorre perciò tornare a fare come negli anni 1980: piantare olivi, ritornare a puntare strategicamente sulla coltura dell’olivo, perché ha davanti a sé un mercato in forte crescita. Coerentemente con l’aumento delle richieste dei consumatori in tutto il mondo, California, Tunisia, Portogallo, Australia, Sudafrica, Cile, Argentina e infine Cina e India stanno correndo nell’impiantare olivi, a un ritmo che non ha uguali nella storia. L’unico Paese che non riesce a stare al passo con la realtà è l’Italia, che anzi perde terreno! Per fare un esempio importante nel Salento, complice anche la Xylella, la produzione olearia si è ridotta in modo significativo; solo adesso gli olivicoltori iniziano a realizzare nuovi impianti con Fs-17 e Leccino, che però inizieranno a produrre fra due-tre anni».

Modelli colturali per i nuovi impianti

Per l’espansione delle superfici coltivate a olivo Leone suggerisce di adottare il modello colturale più adeguato a ogni specifico territorio.

«Il modello ad altissima densità appare essere, in territori pianeggianti come il Tavoliere foggiano, che già ne ospita oltre 1.000 ha, la soluzione ideale, pur con varietà spagnole. E sicuramente lo può essere anche per altre aree della Puglia, a patto che ci siano le condizioni pedoclimatiche necessarie oltre che la disponibilità di acqua irrigua. Ma tale sistema di impianto non è adatto per tutti gli areali olivicoli: in aree collinari, come il Gargano, il Subappennino da uno e la Murgia barese, va meglio il modello ad alta densità con sesti tradizionali e varietà italiane. Il mercato dell’extravergine è vivo e vitale ed è in espansione. Certo, se fosse stato realizzato in Italia già negli anni passati un Piano Olivicolo Nazionale che avesse incentivato l’impianto di nuovi oliveti, oggi la situazione sarebbe migliore! Bisogna ritornare a legare nel mondo l’espressione olio di oliva al nome dell’Italia e lo si può fare aumentando la quantità prodotta, mantenendo comunque alta la qualità, per la quale tra l’altro, gli olivicoltori e i frantoiani italiani sono maestri. Ma oggi la produzione italiana non basta neanche per il consumo interno».

Guardando però l’esperienza foggiana, oggi il superintensivo garantisce un reddito netto particolarmente appetibile. «Chi ha fatto ricorso a questo modello produttivo sta guadagnando bene: un reddito netto, ottenuto detraendo i costi dalla produzione lorda vendibile, che può andare da 2.000 a 8.000 €/ha. I conti sono presto fatti: quest’anno per esempio, con una resa media in olio, dal terzo anno, di 1.500 kg/ha e considerando gli attuali prezzi all’ingrosso, 6 €/kg, secondo le mercuriali della Camera di Commercio di Bari, si ottiene una produzione lorda vendibile di 9.000 €/ha, che, al netto di un costo di produzione di circa 3.000 €/ha, ha garantito un reddito netto pari a 6.000 €/ha. È un reddito netto eccellente, che nel Foggiano e altrove non garantiscono né il grano duro, né il pomodoro da industria. Gli impianti ad altissima densità offrono oggi un vantaggio competitivo che rende l’olivo sicuramente preferibile ad altre colture».

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Piantare nuovi oliveti è fondamentale per ridare forza al comparto olivicolo-oleario nazionale

Superintensivo solo dove praticabile

Con queste premesse, nota Leone, è evidente che il superintensivo ha grosse possibilità di espandere le superfici olivicole italiane e contribuire ad aumentare la produzione olivicolo-olearia nazionale.

«Sia però chiaro che non ci si può illudere di poter fare superintensivo ovunque in Italia. Affinché tale modello abbia successo e non imploda su se stesso, occorrono superfici adeguate, frantoi attrezzati per molire grandi quantità di olive e farlo in breve tempo, un contoterzismo strutturato per gestire alcune operazioni colturali come per esempio la raccolta delle olive con scavallatrici e un consorzio o una cooperativa che unisca gli olivicoltori per valorizzare l’offerta. Ritornando al territorio foggiano preciso che il modello superintensivo non ha portato a una riduzione della biodiversità, visto che gli imprenditori agricoli non hanno sostituito oliveti di varietà autoctone con varietà spagnole, hanno, invece, messo a dimora olivi in terreni non più coltivati a grano duro o pomodoro da industria».

Infine, circa la modernizzazione dell’estrazione olearia su grande scala la ricerca sta lavorando principalmente sulle nuove tecnologie per il condizionamento delle paste di olive, conclude Leone.

«Una delle ultime innovazioni introdotte negli oleifici è lo scambiatore di calore, che, sviluppato per riscaldare o raffreddare la pasta olearia, consente di ottimizzare i tempi e le temperature di gramolazione. Altre tecnologie, come per esempio gli ultrasuoni, le microonde e i campi elettrici pulsati, sono ancora a livello sperimentale, fase di necessario passaggio per comprenderne e quantificarne gli effetti».


Alta o altissima densità

Gli oliveti intensivi, o ad alta densità, sono caratterizzati da densità di impianto da 300 a 600 piante a ettaro (e in alcune sperimentazioni recenti fino a 800). Si tenga conto che i cosiddetti oliveti tradizionali hanno densità di solito non superiori a 200 alberi/ha. Per impianti ad altissima densità, detti anche superintensivi, si intendono invece oliveti con oltre 1000 piante ad ettaro. Gli oliveti ad altissima densità sono realizzati con varietà spagnole come Arbosana e Arbequina.


Le nuove sfide del modello superintensivo

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Jordi Mateu

L’olio di oliva non è più solo un prodotto del bacino del Mediterraneo, ma può definirsi mondiale. Il futuro dell’olivicoltura mondiale è strettamente legato alla crescente diffusione del modello ad alta densità (superintensivo). È quanto sostiene Jordi Mateu, Ceo di Agromillora Group, sulla scorta di dati statistici inoppugnabili.

«Dal 2014 l’80% dei nuovi impianti olivicoli in tutto il mondo è stato realizzato con questo modello ad alta efficienza. Non ci sono ormai dubbi circa la sostenibilità e le opportunità di questo modello. Abbiamo impiegato 20 anni per arrivare a 150.000 ha, ma nell’ultimo triennio la crescita è stata fortissima: oggi siamo a 350.000-400.000 ha, ma tali cifre sono destinate ad aumentare rapidamente».

Il futuro, tuttavia, presenta nuove sfide al modello ad altissima densità, sostiene Mateu. «La prima è raggiungere la soglia prevista di produzione di 3.000 kg di olio/ettaro, ottimizzando i metri quadrati di superficie produttiva/ettaro, cioè aumentando il numero di piante/ha con nuove varietà caratterizzate da vigore molto basso e alta efficienza produttiva, sesti di impianto più stretti (3 x 1 m) e adozione del sistema Smarttree. La seconda sfida è accrescere la redditività e sostenibilità dell’olivo in regime asciutto e ridurre l’input di fattori produttivi garantendo l’assenza dell’alternanza con livelli produttivi più elevati, facendo ricorso a varietà efficienti e tecniche agronomiche differenti. La terza è la ricerca di competitività nel settore delle olive da tavola, adottando sesti di impianto diversi e puntando alla meccanizzazione della raccolta con macchina scavallatrice. La quarta sfida, infine, è aumentare la tipologia di oli che si producono in colture “a pareti produttive”, cioè la gamma organolettica e analitica dell’offerta di oli, utilizzando nuove varietà derivate da programmi di miglioramento genetico».


 

Leggi l’articolo pubblicato su Olivo e Olio n. 2/2019

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Tornare a piantare olivi, la strada da seguire - Ultima modifica: 2019-03-22T14:00:06+01:00 da Giuseppe Francesco Sportelli

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