Le proposte per il rilancio dell’olivicoltura calabrese

olivicoltura calabrese
Tavola dei relatori della Tornata in Calabria. Da sinistra, si vedono: Enzo Perri, Riccardo Gucci, Veronica Vizzari e Giuseppe Zimbalatti.
In un convegno a Rende organizzato dall’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio in Calabria in collaborazione con il Crea (Centro di ricerca Olivicoltura, Frutticoltura ed Agrumicoltura), sono emerse proposte e spunti di ricerca dalle istituzioni calabresi che lasciano ben sperare per il futuro della filiera nella regione

Il 7 ottobre il Centro di ricerca Olivicoltura, Frutticoltura ed Agrumicoltura del Crea (Crea-Ofa) di Rende ha organizzato e ospitato il convegno “Piano olivicolo di rilancio delle filiera olivicolo-olearia della Calabria e ruolo dell’Igp Olio di Calabria” nell’ambito della Tornata in Calabria dell’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio. L’incontro è stata l’occasione per mettere in risalto le molteplici iniziative messe in atto dalle istituzioni regionali e i tanti filoni attivi di ricerca e trasferimento tecnologico che vedono coinvolti i ricercatori del Crea-Ofa. A fare gli onori di casa il Direttore del Crea-Ofa, Enzo Perri, che ha fortemente voluto l’evento ed allestito il programma.

Il convegno si è aperto con i saluti di benvenuto di Andrea Rocchi, Presidente del Crea, che ha sottolineato, in collegamento da remoto, la necessità di fare sistema nel settore olivicolo per ottenere risultati importanti nel contrasto alle tante emergenze in atto, prima delle quali quella della batteriosi da Xylella in Puglia. Il commissario dell’Azienda Regionale per lo Sviluppo Agricolo Calabrese (Arsac), Giulia Caligiuri, si è concentrata sulle attività di sperimentazione svolte dall’azienda per soddisfare le esigenze dei produttori. – Questa è la parte meno evidente – ha affermato Caligiuri di quanto l’Arsac fa per il settore, perché è chiaro che le iniziative di valorizzazione e promozione dei prodotti calabresi sono più visibili per l’opinione pubblica e riscuotono grande interesse anche fuori regione. Eppure, è proprio dalla ricerca necessaria per contrastare malattie, fitofagi e stress abiotici possono venire le risposte e l’aiuto tecnico ai produttori olivicoli spesso in difficoltà a causa di queste problematiche. Ma la ricerca non deve solo essere svolta, deve essere divulgata e trasferita, in altre parole non deve essere fine a sè stessa ma al servizio del settore produttivo – ha concluso Caligiuri.

Il Rettore dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, Giuseppe Zimbalatti, ha ricordato quanto sia importante per la Calabria essersi dotata di un piano olivicolo regionale redatto dal Crea-Ofa di Rende. Il piano olivicolo è uno strumento indispensabile per il rilancio dell’olivicoltura calabrese e tuttavia, avere stilato il piano non significa automaticamente produrre risultati e raggiungere gli obiettivi. La fase di attuazione del piano sarà molto delicata e tutte le istituzioni coinvolte dovranno lavorare insieme e coerentemente ha detto Zimbalatti. Sulla stessa lunghezza la pro-rettrice dell’Università della Calabria di Rende, Patrizia Piro, che ha ricordato la stretta collaborazione che esiste in tanti progetti strategici per il settore agricolo tra l’ateneo e il Crea-Ofa, e Rocco Zappia, Presidente dell’Elaioteca regionale calabrese, che, invitando alla coesione le istituzioni calabresi, ha sottolineato che – da soli si va più veloci, ma insieme si va più lontano-. A chiudere i saluti, il Presidente dell’Ordine degli Agronomi della Calabria, dr. Antonino Sgrò, che ha sottolineato il ruolo strategico che l’olivicoltura riveste nella regione dato che ben il 72% delle aziende agricole hanno superfici olivetate e che l’olivo rappresenta il 75% della Sau coperta da coltivazioni arboree.

La struttura olivicola calabrese è stata analizzata da Maria Rosaria Pupo D’Andrea, ricercatrice nel settore economico del Crea Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia (Crea-Pb). Se l’importanza del settore olivicolo nell’agricoltura calabrese è indiscussa (il 69% dei comuni calabresi presenta SAU olivicola, il 30% della Sau regionale è olivicola, l’84%), la distribuzione dell’olivicoltura è fortemente sbilanciata verso le aree rurali con problemi di sviluppo (50%), quelle della collina litoranea (40%), mentre solo il 19% ricade nella definizione di aree pianeggianti. Prevalgono nettamente gli oliveti cosiddetti tradizionali anche in Calabria, con percentuali diverse a seconda delle province e zone, ma sempre rilevanti. Questi oliveti non hanno solo un ruolo produttivo ma svolgono funzioni ambientali e paesaggistiche altrettanto importanti (per un’analisi più approfondita vedi articolo a firma Pupo D’Andrea a p. 44 di Olivo e Olio n. 6/2024).

Le ricerche sul genoma

La gran parte delle relazioni presentate sono scaturite dalle ricerche condotte presso il Crea-Ofa di Rende. Lo studio della genomica è fondamentale per comprendere il ruolo della biodiversità e la storia evolutiva dell’olivo – ha esordito Samanta Zelasco, che ha presentato un lavoro in collaborazione con i colleghi Fabrizio Carbone, Amelia Salimonti, Ivano Forgione, Santina Rizzo ed Enzo Perri. La domesticazione dell’olivo è complessa, sicuramente più di quanto si pensasse, fino a quando sono stati disponibili gli strumenti molecolari che hanno fatto chiarezza su diversi punti oscuri. Infatti, dall’esame di marcatori di origine materna è emerso che l’olivo coltivato deriva dall’oleastro (Olea silvestris) di cui esistono due fonti principali. La prima è l’oleastro proveniente dal mediterraneo orientale (Turchia ed oltre), a cui appartiene circa il 90% del germoplama coltivato, la seconda invece deriva da ovest. L’ipotesi più accreditata è che vi siano stati due centri di domesticazione, e di quello occidentale sono testimonianza alcuni esemplari selvatici calabresi utilizzati come portainnesti, che sono stati caratterizzati dal punto di vista genetico e confrontati con i genomi delle due provenienze.

In generale, però sono state poche le varietà originatesi da incroci tra progenitori dell’est e dell’ovest, perché, come detto, la grandissima maggioranza del materiale oggi utilizzato proviene da incroci tra progenitori orientali. In ogni caso sappiamo che, sebbene l’olivo sia una coltura molto antica, il miglioramento genetico è stato assai limitato e ancora oggi le varietà sono soprattutto il frutto di ibridazioni spontanee, poi propagate vegetativamente dall’uomo – ha aggiunto Zelasco. Ma qual’è la rilevanza attuale di questi studi genomici a fini pratici? – si è chiesta la ricercatrice. – Ad esempio, il fatto che le relazioni genetiche rispecchiano i tratti adattativi spiega il motivo per cui le cultivar che hanno un certo grado di parentela con la Leccino presentano tutte un certo grado di tolleranza alla Xylella fastidiosa. Inoltre, gli studi di adattabilità applicati alle collezioni di germoplasma (in Calabria la collezione di Mirto Crosia annovera 700 cultivar ed è divenuta recentemente banca di germoplasma internazionale riconosciuta dal Consiglio Oleicolo Internazionale) permettono di indirizzare il lavoro di miglioramento genetico per produrre nuove cultivar.

Allo stesso tempo queste tecnologie aiutano a chiarire sinonimie e parentele del germoplasma olivicolo, come è stato fatto per le varietà autoctone calabresi (v. tabella). Infine – ha concluso Zelasco – il gruppo di ricercatori del Crea-Ofa ha anche contribuito significativamente a produrre la sequenza genomica di alta qualità della cultivar Leccino, che rappresenta un riferimento importantissimo a livello mondiale per comprendere il ruolo dei diversi geni nell’olivo.

Sperimentazioni agronomiche e non solo

Come visto, gli oliveti cosiddetti tradizionali costituiscono la parte preponderante dell’olivicoltura italiana.

Si tratta anche del 90% della superficie olivicola in alcune regioni, Calabria compresa – ha affermato il Franco Famiani, dell’Università di Perugia, riprendendo i dati presentati nella relazione della d.ssa Pupo d’Andrea. Siccome nella gran parte dei casi questi oliveti sono afflitti da scarsa produttività è evidente che riuscire a migliorare la situazione produttiva attraverso la corretta gestione può dare dei risultati notevoli a tutto il settore italiano. Se consideriamo pratiche colturali essenziali quali la potatura, la gestione del suolo, la raccolta, la difesa sembra che non ci sia più nulla da imparare o sperimentare, eppure le soluzioni adottate in campo nelle aziende a volte sono assai lontane dalla razionalità. La potatura è forse il caso più emblematico. Errori grossolani di impostazione e di tecnica si vedono frequentemente in olivicoltura nonostante che le informazioni corrette siano disponibili da decenni. Serve una capillare e attenta opera di divulgazione sui territori che, ad esempio, in Calabria svolgono egregiamente i tecnici e i funzionari dell’Arsac. Eppure, ci vorrebbero più risorse nella formazione e nell’aggiornamento tecnico per rimettere in sesto il patrimonio immenso di oliveti tradizionali che l’Italia vanta.

Per illustrare la complessità dell’olivicoltura italiana rispetto a quelle dei principali paesi concorrenti basta considerare che in Italia le 24 più diffuse cultivar coprono solo il 58% della produzione totale, in Spagna invece il 96%. In Grecia poi – ha concluso Famiani – tre cultivar producono il 90% dell’olio greco e questi numeri spiegano perché nel nostro paese dobbiamo approntare delle soluzioni tecniche scaturite dalla sperimentazione su misura per le tante cultivar.

Elena Santilli ed Enrico Maria Lodolini hanno presentato i risultati del progetto MOLTI finanziato dal Masaf e conclusosi di recente. Obiettivi del progetto erano confrontare diverse tecniche colturali, dalla potatura all’irrigazione, con campi sperimentali in diverse regioni italiane per mettere a punto dei protocolli di ottimizzazione trasferibili alle aziende nelle diverse realtà.

Non sono state trascurate neppure le realtà più difficili da affrontare, cioè oliveti con alberi vecchi e di grandi dimensioni. Proprio in un campo sperimentale in Calabria si è visto che potature di media o leggera intensità danno migliori risultati di potature severe anche su alberi di grandi dimensioni e di avanzata età. Un aspetto non secondario è anche come utilizzare il materiale di risulta della potatura, visto che la bruciatura dei residui non è certo una pratica sostenibile.

A tal fine il recupero della legna con diametro superiore a 8 cm risultante dalle potature straordinarie per fini energetici può dare un piccolo reddito aggiuntivo o almeno compensare le spese di tale operazione, mentre il materiale fine può essere trinciato in loco.

Innovazioni nelle tecnologie di trasformazione

Sulle nuove tecnologie utilizzate in frantoio si è soffermato Gianluca Veneziani, dell’Università di Perugia, che ha presentato una carrellata cronologica delle innovazioni che si sono affermate in elaiotecnica negli ultimi decenni. Inutile dire che la fase di frangitura e quella di gramolazione sono state rivoluzionate soprattutto per migliorare la qualità dell’olio e l’efficienza di processo. Un’altra sfida ancora da vincere è quella di portare il processo di trasformazione a recuperare ben oltre di quel 20-25% che si riesce ad ottenere dalla materia prima, riducendo gli scarti. L’ideale – ha spiegato Veneziani – sarebbe di arrivare a residuo zero, ma ciò è utopico, al momento dobbiamo puntare all’obiettivo di giungere al 50% di materiali che vengono riutilizzati e valorizzati. Gli impieghi sono molteplici, da quelli nell’industria cosmetica alla farmaceutica o all’industria alimentare a più alto valore aggiunto, alle utilizzazioni nella mangimistica zootecnica ove già si è in grado di trasferire la tecnologia con i relativi protocolli. Alla base della piramide del valore aggiunto rimane proprio quello che attualmente uno degli sbocchi più comuni, cioè la produzione di biogas, che si può in realta fare a partire da matrici assai meno pregiate della sansa e acque di vegetazione del frantoio.

Per quanto riguarda la caratterizzazione e la qualità degli oli calabresi, il Crea-Ofa ha svolto numerose ricerche attraverso diversi progetti nazionali ed europei. Il lavoro è partito dalla definizione delle prerogative analitiche, sensoriali e nutraceutiche di oli monovarietali – ha chiarito Enzo Perri nel presentare i risultati del gruppo di ricerca costituito da Rosa Nicoletti, Cinzia Benincasa, Elvira Romano, Gabriella Lo Feudo, Marianna Rizzo e Massimiliano Pellegrino – ed ha consentito di fornire consulenza ai redattori del disciplinare Igp Olio di Calabria nel definire gli intervalli di tolleranza e le soglie per i diversi parametri.

Il germoplasma calabrese è ricco di cultivar che possono essere ulteriormente valorizzate. Ad esempio, dal confronto a parità di altre condizioni è emerso che la percentuale di acido oleico della varietà Pennulara supera l’80%, mentre la Grossa di Gerace raggiunge in media il 68%. Anche per quanto riguarda la concentrazione fenolica si va dalla Pennulara con oltre 600 mg/kg olio, alla Cassanese e alla Roggianella che si attestano intorno a 300 mg/kg. La Dolce di Rossano si distingue per una altissima concentrazione in tocoferoli, fino a 900 mg/kg, mentre la Pennulare e le altre varietà autoctone ne hanno meno della metà. Infine, esaminando il contenuto degli steroli totali, nessuna delle variatà esaminate presenta un contenuto inferiore a 1000 mg/Kg.

Conclusioni

I risultati presentati e le tante attività di ricerca portate avanti presso la sede di Rende del Crea-Ofa e del Crea-Pb sono ovviamente al servizio del settore calabrese e nazionale – ha concluso Perri –. La disponibilità dell’istituzione che rappresento è totale, come abbiamo dimostrato nel redigere il Piano olivicolo calabrese e nei continui rapporti di collaborazione che il Crea-Ofa e il Crea-Pb hanno stabilito con l’Assessorato all’Agricoltura e il Consorzio Igp Olio di Calabria.

A tirare le conclusioni l’Assessore della Regione Calabria, Gianluca Gallo che ha sinteticamente presentato lo stato dell’arte delle iniziative messe in campo dal suo assessorato a sostegno della filiera olivicolo-olearia e gli obiettivi che si prefigge con i prossimi bandi a sostegno del Piano olivicolo per la Calabria, sviluppati proprio grazie alla collaborazione con il Crea-Ofa, che ha fornito un contributo decisivo per l’analisi del comparto olivicolo della regione, mettendo a fuoco i punti critici su cui intervenire con l’impiego di strumenti tecnico scientifici.


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Le proposte per il rilancio dell’olivicoltura calabrese - Ultima modifica: 2024-10-25T15:58:41+02:00 da Barbara Gamberini

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