Alle sette di sera, nel cuore del Priorat, la luce si riflette sui trattori che risalgono verso il villaggio di Cabacés, carichi di olive. È l’immagine simbolo della nuova campagna olearia spagnola 2025-2026, iniziata da pochi giorni ma già portatrice di un sentimento diffuso: finalmente un raccolto normale, dopo due anni di siccità estrema e prezzi fuori controllo.
José Antonio Robles, presidente della cooperativa agricola di Cabacés, non nasconde la soddisfazione dei soci: “Siamo tornati a respirare. La produzione è buona e la qualità ottima. Ma ora il nodo sarà il prezzo”.
Prezzi dimezzati ma ancora sopra i livelli pre-crisi
E qui sta il punto. Dopo il picco record del gennaio 2024, quando l’olio extravergine di oliva sfiorava i 9 euro al chilo all’origine, oggi il valore medio pagato ai produttori è sceso a 4,32 euro/kg — praticamente la metà — secondo l’Osservatorio dei prezzi e dei mercati della Junta de Andalucía.
Una flessione brusca, che riporta il mercato su livelli più sostenibili, ma non certo “bassi”: il prezzo attuale resta quasi doppio rispetto al gennaio 2021, prima che la siccità e la spirale inflazionistica travolgessero l’intera filiera mediterranea dell’olio.
Un mercato che riprende fiato
La caduta dei prezzi è la conseguenza diretta del ritorno a una produzione regolare: 1,4 milioni di tonnellate di olio nella scorsa campagna, una quantità che ha garantito l’autosufficienza interna e una ripresa delle esportazioni.
Per il ministro spagnolo dell’Agricoltura Luis Planas, le previsioni per la nuova stagione “sono complessivamente favorevoli e permetteranno un approvvigionamento regolare del mercato interno e delle esportazioni verso i paesi terzi”.
Le piogge abbondanti della scorsa primavera hanno favorito “un’eccellente fioritura e allegagione”, spiega ancora Robles. Ma le ondate di calore di agosto, soprattutto nel Sud della Spagna, hanno ridimensionato l’ottimismo iniziale.
Il risultato? Secondo il Ministero dell’Agricoltura, la produzione complessiva 2025-2026 sarà inferiore del 3% rispetto all’anno scorso, ma superiore del 19% rispetto alla media delle ultime sei campagne, colpite duramente dalla siccità.
Il paradosso dei consumi
La domanda, intanto, non sembra essersi fermata.
Teresa Pérez, direttrice dell’Associazione interprofessionale dell’olio d’oliva (Interprofesional del Aceite de Oliva Español), conferma che “la perdita di consumatori si sta attenuando”. Anzi, “fino ad agosto le vendite totali sono cresciute del 31,7% rispetto all’anno precedente”.
Tra ottobre 2024 e settembre 2025, sono state vendute 1,425 milioni di tonnellate di olio, cioè più di quanto la Spagna abbia prodotto: un dato che racconta la forza del mercato e l’attaccamento dei consumatori, malgrado i rincari.
Ma il recupero della domanda non sarà automatico. I piccoli produttori, come sottolinea Robles, hanno perso clienti durante la fiammata dei prezzi: “Ora dobbiamo riconquistarli, e non sarà semplice”.
La memoria del consumatore, soprattutto di fronte a prodotti di largo consumo, è breve ma sensibile. Dopo aver pagato fino a 15 euro al litro nell’aprile 2024, oggi gli spagnoli trovano lo stesso olio sugli scaffali a 4,65 euro/litro, quasi il 70% in meno. Tuttavia, il mercato impiega diversi mesi a riequilibrarsi: l’effetto “ritorno alla normalità” non sarà immediato.
Il termometro del Mediterraneo
In Spagna, primo produttore mondiale, l’olio d’oliva è più di un prodotto agricolo: è un indicatore economico e sociale. I suoi sbalzi di prezzo influenzano l’intera catena del valore, dai frantoi ai consumatori finali, e si riflettono anche sul resto del bacino mediterraneo, Italia inclusa.
La parabola degli ultimi tre anni – siccità, crollo produttivo, impennata dei prezzi e successiva discesa – rappresenta un laboratorio di ciò che il cambiamento climatico può fare a una filiera millenaria.
La sfida ora è duplice: gestire la volatilità dei mercati e allo stesso tempo investire in resilienza. Serviranno innovazione, sostenibilità e cooperazione mediterranea, se non si vuole che ogni raccolto sia una roulette climatica.
In questo senso, la Spagna ci mostra che il ritorno alla “normalità” dei volumi non basta più: la vera stabilità si misurerà sulla capacità di ridurre la vulnerabilità della produzione agli shock ambientali.
Le prospettive per l’Italia
La Spagna, dopo due anni di eccessi e carestie, sembra tornare a una certa normalità. Ma cosa accadrà in Italia?
Il nostro Paese, reduce da una campagna difficile e da rese altalenanti, guarda con attenzione ai segnali iberici. I prezzi spagnoli restano il principale riferimento internazionale, e la loro discesa inevitabilmente si rifletterà – in parte – anche sul mercato italiano. Ma fino a che punto? E con quali conseguenze per i nostri produttori, che operano in un contesto di costi crescenti e margini sempre più compressi?
L’interrogativo è tutt’altro che teorico: se la Spagna si prepara a una stagione di equilibrio, l’Italia dovrà decidere se rincorrere i prezzi o difendere il valore del proprio modello produttivo, fondato su qualità, territorio e sostenibilità.
Il rischio, in controluce, è che il “ritorno alla normalità” in Andalusia si traduca per l’Italia in una nuova pressione competitiva.
E allora, forse, la vera domanda non è quanto costerà l’olio nei prossimi mesi, ma quale idea di olivicoltura vogliamo difendere nel lungo periodo.








