Dalla prima domesticazione della pianta dell'olivo (stimata a 14.000 anni fa) agli unguentari delle antiche civiltà mediterranee, dai frantoi ipogei all’uso degli ultrasuoni. È lunghissima la storia dell’olivo e dell’olio di oliva. È la storia dell’uomo. Sui contenuti di questa storia sta indagando il “Progetto Horizon Seeds OlivOlio - Olivo e olio nel bacino Mediterraneo dalla Preistoria al Medioevo: aspetti colturali, produttivi, storici, funzionali” coordinato da un’équipe interdisciplinare dell’Università di Bari e presentato nel capoluogo pugliese in un convegno internazionale, patrocinato dall’Accademia nazionale dell’olivo e dell’olio, che ha voluto allungare tale storia fino ai giorni nostri, fino alla tecnologia sicuramente più avanzata nella estrazione dell’olio di oliva, appunto l’impiego degli ultrasuoni.
Progetto Horizon Seeds OlivOlio
Sostenuto dal bando Horizon Europe Seeds (iniziativa dell’Università barese che punta a favorire la collaborazione fra ricercatori appartenenti a differenti aree culturali e aumentare la competitività dell’Ateneo rispetto all’accesso ai finanziamenti europei, in particolare al programma Horizon Europe), il progetto è calibrato sul censimento e sullo studio di fonti ed evidenze della filiera elaicola, cioè dell’olivo e dell’olio di oliva, con particolare riferimento all’area adriatica: coltivazione dell’olivo, produzione di olive e olio di oliva, aspetti socio-culturali dell’olivo e dell’olio (dal commercio all’utilizzo: trasporto, alimentazione, religione, cosmesi, pittura, illuminazione, terapia, ecc.).
Il “Progetto Horizon Seeds OlivOlio”, che segna la continuazione del progetto “EΛAIA OLEA OLIVA - Coltura dell’olivo e cultura dell’olio di oliva in Terra di Bari (OLEA: Oil Learning Experience in Apulia)”, è finanziato dalla Regione Puglia col sostegno del Fsc-Fondo di sviluppo e coesione 2014/2020 “Patto per la Puglia” con la realizzazione di seminari, percorsi del gusto, laboratori e una mostra didattica itinerante.
Olivo e olio, complesso sistema storico-produttivo e socio-culturale
«La coltivazione dell’olivo e la produzione di olio di oliva hanno una lunga storia nel bacino del mar Mediterraneo, territorio del quale è originaria la meravigliosa pianta dell’olivo – ha introdotto Annarosa Mangone, docente dell’Università di Bari –.
L’olivo è condizione morfogenetica per la storia del Mediterraneo: presenza segnica in campagna e città, archetipo di civiltà, volano per l’economia locale.
Olivo e olio di oliva coniugano valori riconosciuti dall’Unesco: sia culturale (dieta mediterranea, stile di vita, ben tre claim salutistici assegnati dall’Efsa all’olio extra vergine di oliva pugliese) sia paesaggistico (olivi secolari, palinsesto territoriale, valore estetico-ricreativo, oleoturismo).
Eppure storici e letterati spesso dipingono il paradigma elaicolo e celebrano le sue evidenze senza coglierne l’etimo fondante: un complesso sistema storico-produttivo e socio-culturale che segna spazi e permea tempi. Ma un sistema vive se riesce a proteggere la propria “origine geograficamente unica”, declinandone l’adesione originaria ai valori tangibili e intangibili e al paesaggio storico di riferimento.
Questi segni vanno rinvigoriti, offrendo alle nuove generazioni l’evidenza della loro vitale appartenenza a una “comunità di patrimonio”. Di qui nasce il progetto “Olivo e Olio nel bacino Mediterraneo dalla Preistoria al Medioevo”: idea premiata dal “bando competitivo Horizon Seeds”, aperto dall’Università di Bari, e maturata da un gruppo interdisciplinare del medesimo Ateneo (archeologi, archeometristi, agronomi, architetti)».
Patrimonio elaicolo da tutelare e valorizzare
Il patrimonio elaicolo peraltro sta subendo molteplici fattori di rischio che ne compromettono risorsa fisica e memoria storica, ha aggiunto Custode Silvio Fioriello, docente dell’Università di Bari.
«Pertanto la ricerca intende studiare e tutelare il paesaggio dell’olivo/olio negli aspetti naturali, antropici, economico-produttivi e adottare una metodologia interdisciplinare capace di discernere un integrato paniere di dati e di condividerli con la comunità secondo forme divulgative orientate a comprensione e co-partecipazione. L’obiettivo è quindi molteplice:
- ricomporre il quadro spazio-temporale per operare una cucitura tra passato e presente;
- utilizzare il paniere delle fonti storiche, le potenzialità delle ICT (Information and Communication Technologies), le valutazioni economiche multiattributo per trasferire il paesaggio elaicolo nella conoscenza delle comunità;
- esaltare i legami fra tradizioni stratificate e assetti contemporanei per abilitare il riconoscimento degli indicatori qualitativi del patrimonio olivicolo-oleario, riducendovi criticità informative e generando valore pure nel settore turistico e manifatturiero».
Dai frantoi ipogei agli ultrasuoni
I frantoi ipogei, particolarmente diffusi nell’Italia meridionale e in Sicilia, erano ingegnosi luoghi sotterranei, chiamati “trappeti” (dal latino trapētum), in cui veniva estratto l'olio delle olive, ha spiegato Maria Lisa Clodoveo, docente dell’Università di Bari.
«Realizzati dall’XI-XIII secolo fino agli inizi del XVIII secolo, erano scavati interamente nella pietra calcarea o nel tufo. Lavorare in un ambiente sotterraneo serviva per ottimizzare la conservazione dell’olio di oliva prodotto in un ambiente dalla temperatura costante: la temperatura doveva infatti essere bassa per evitare la degradazione dell’olio di oliva, ma più alta di quella (4-5 °C) della sua solidificazione. Da allora il processo di molitura delle olive e di estrazione dell’olio di oliva ha compiuto passi da gigante, arrivando all’impiego degli ultrasuoni.
L’idea di sperimentare gli ultrasuoni nel processo di estrazione dell’olio extra vergine di oliva è nata da una duplice esigenza:
- da un lato sviluppare una soluzione impiantistica che rappresentasse una innovazione di tipo radicale idonea a eliminare la fase di gramolazione;
- dall’altro recuperare la percentuale di grasso (circa il 3%) che, a causa delle tecnologie attualmente disponibili sul mercato, si disperde nella sansa, alimentando il mercato di un grasso vegetale a più basso valore nutrizionale ed economico, che rappresenta un prodotto sostitutivo a basso costo dell’extravergine, e quindi un competitor interno alla filiera».