Il linguaggio dell’extra. Troppe parole in libertà

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Olio su verdure
La comunicazione dovrebbe andare oltre gli aspetti salutistici. E, ad esempio, attribuire a fattori comunemente considerati negativi, come l’amaro e il piccante, il valore reale di riconosciuta qualità nutraceutica

Capita molto spesso, a volte anche da parte di addetti ai lavori, di utilizzare un linguaggio non sempre in linea con il vocabolario ufficiale riservato agli oli da olive. Ciò comporta una difficile comunicazione tra il produttore e il consumatore con risvolti tutt’altro che positivi ai fini della commercializzazione e promozione degli oli d’eccellenza.

Con la comunicazione si potrebbe andare anche oltre l’aspetto salutistico entrando nel complesso mondo della gastronomia. E anche in questo caso l’amaro e il piccante presenti negli oli di qualità, elementi che spesso vengono scambiati dal consumatore “medio” come fattori negativi, possono essere efficacemente utilizzati quali caratteri distintivi delle diverse tipologie di oli, da utilizzare con cognizione di causa nelle differenti preparazioni gastronomiche.

Le frasi “tipo”

L’extravergine è più grasso degli oli di semi. Nulla di più falso. Dal punto di vista nutrizionale tutti gli oli, indipendentemente dall’origine della materia prima, apportano circa 9 K/cal per ogni grammo di prodotto. Questa credenza nasce presumibilmente dal fatto che, dal punto di vista tattile, essendo gli oli di semi più ricchi di acidi grassi polinsaturi, si presentano al palato più fluidi e scorrevoli.

Su questo argomento la corretta informazione potrebbe intervenire vantaggiosamente a favore dell’extravergine spiegando al consumatore che l’elevata presenza di polinsaturi, senza un’adeguata protezione di sostanze antiossidanti naturali, peraltro scarsamente contenute negli oli di semi, comporta un elevato rischio di ossidazione e un rapido degrado della materia grassa. Potrebbe essere utile comunicare che la composizione acidica del latte materno, così come la componente grassa ematica di un soggetto sano, siano molto simili a quella dell’extravergine, soprattutto riferita a prodotti di ottima qualità. Senza entrare nei dettagli di un argomento abbastanza controverso, una pubblicità riferita ad un olio di semi che reclamizza e vanta effetti salutistici del prodotto grazie alla sua ricca composizione acidica polinsatura (costituita soprattutto da acido linoleico), realizzata probabilmente in maniera difforme alle regole imposte dal regolamento CE 432/2012, ha consentito all’azienda in questione di vendere il prodotto a un prezzo di oltre 2 volte più alto rispetto a oli pressoché identici.

Nella comunicazione per promuovere l’extravergine si potrebbero utilizzare le conoscenze scientifiche, frutto di ricerche decennali che confermano, senza millantare, reali effetti salutistici per promuovere una campagna collettiva che valorizzi il prodotto anche sotto l’aspetto salutistico.

Pregio, non difetto

Un’espressione comunemente in uso è “questo olio è acido”, alludendo presumibilmente alla sensazione tattile riferita alla percezione del piccante e/o astringente, sovente associata ai buoni oli ricchi di sostanze fenoliche. Con questa espressione si ha chiaramente il senso di come, a volte, un pregio possa essere trasformato in difetto semplicemente non utilizzando correttamente le parole.

Premesso che l’acidità di un olio da olive, indipendentemente dal suo valore, non sia percepibile a livello organolettico in quanto gli acidi grassi liberi, responsabili del livello di acidità, sono molecole di una certa dimensione che non riescono ad interagire con i recettori presenti nella cavità orale, la corretta terminologia dovrebbe essere alla base di un’efficace comunicazione. Può sembrare banale ma ancora oggi non è superfluo ribadire che per determinare l’acidità di un olio sia necessaria un’analisi di laboratorio in quanto ciò che rileva il palato, assimilabile ad una sensazione gustativa che ricorda l’acido (esempio il piccante e/o l’astringente), in realtà è un pregio che rende l’extravergine un prodotto nutraceutico.

Il termine coniato da Stephen De Felice, geniale e immediato nella sua espressione comunicativa, deriva dall’unione delle parole “nutrizione” e “farmaceutica”, alludendo al fatto che l’extravergine ha una funzione nell’organismo che va ben oltre quella nutrizionale, essendo un potente fattore di prevenzione del rischio da patologie degenerative dell’apparato cardiovascolare e non solo. Anche in questo caso la comunicazione potrebbe avvantaggiarsi del corretto uso dei termini facendo leva su una corretta terminologia.n

Il linguaggio dell’extra. Troppe parole in libertà - Ultima modifica: 2015-11-12T11:01:26+01:00 da Lucia Berti

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