Quando seimila anni fa nel Mediterraneo iniziò la coltivazione dell’olivo, probabilmente anche in Valtellina e in Valchiavenna furono messe a dimora un buon numero di piante perché queste aree rappresentavano un importante collegamento per i commerci con il nord dell’Europa: qui l’olivo trovò un microclima ideale per il suo sviluppo, grazie alla vicina presenza del lago di Como.
Con la caduta dell’impero romano la produzione e la commercializzazione dell’olio diminuirono drasticamente. Solo dopo l’anno Mille le necessità religiose riattivarono la coltivazione dell' olivo – grazie anche alle donazioni di oliveti fatte alla Chiesa dai Longobardi, dai Normanni, dagli Svevi e dagli Angioini – che continuò fino alla seconda metà del millesettecento, quando il susseguirsi di annate molto fredde distrusse quasi tutte le piante.
La prevalente cultura del burro e del grasso animale, il ruolo secondario rispetto alle coltivazioni tradizionali che davano sostentamento alle popolazioni locali come i cereali e i prati da foraggio, lo sviluppo della viticoltura e l’interesse economico legato alla vendita del vino hanno di fatto monopolizzato nei secoli la sponda retica valtellinese escludendo in questo modo tutte le altre specie.
Il recupero dei terrazzamenti
Il versante retico della Valtellina, esposto verso sud, è stato trasformato nei secoli da impervie scoscese boschive e franose in un susseguirsi interminabile di muretti a secco che sorreggono piccoli lembi di terra, tanto belli e suggestivi quanto delicati, difficili e veramente onerosi da conservare.
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