Una campagna olearia al ribasso, con una produzione scarsa e nettamente inferiore a quella dell’annata 2018-2019, non solo in Italia, ma in tutta l’area del Mediterraneo (a eccezione della Spagna, che potrà contare su quantitativi importanti di olio d’oliva). Con effetti negativi sul comparto, sul quale già pesa fortemente l’emergenza sanitaria da Coronavirus (dalla quale dipende la crisi dell’Horeca). Sono, in sintesi, le previsioni di Assitol, l’Associazione italiana dell’industria olearia, sulla campagna olearia appena avviata. Previsioni che delineano uno scenario profondamente segnato dal Coronavirus e dalle criticità strutturali del comparto.
Le stime produttive di Assitol in Italia e all’estero
Secondo le stime di Assitol, la produzione italiana nella campagna 2020-2021 si attesterà sulle 250mila tonnellate, informa Anna Cane, presidente del Gruppo olio d’oliva di Assitol. «Ma la situazione non è identica per tutto il territorio nazionale. In particolare la Puglia, da sempre considerata “l’oliveto d’Italia”, vede dimezzare i suoi quantitativi, seguita da buona parte delle regioni del Sud. Fa eccezione la Sicilia, mentre sono in crescita le regioni del Centro, in particolare Toscana e Umbria. Vanno bene anche le regioni del Nord, soprattutto Liguria, Emilia Romagna e il Garda. Il calo nel Mezzogiorno incide notevolmente sulla quantità complessiva di olio prodotto in Italia, ma, grazie anche al clima che si è mantenuto mite, riducendo così i rischi legati alla mosca delle olive, la qualità sarà di buon livello. Non va bene neanche nei Paesi di storica vocazione olearia: la Grecia prevede di fermarsi a 210mila tonnellate, il Portogallo a 125mila, mentre la Tunisia dovrà accontentarsi di 150mila. In controtendenza la Spagna, con una produzione di 1.600.000 tonnellate, che ne conferma il ruolo di leader sul mercato, e il Marocco, con 140mila tonnellate».
Il peso sulle previsioni Assitol dell’emergenza da Covid-19
Sulle previsioni incide pesantemente l’emergenza da Coronavirus, sottolinea Cane. «Le criticità di spostamento e le restrizioni alla mobilità hanno causato forti difficoltà nel reperimento della manodopera. Ciò ha comportato ritardi e rallentamenti nell’organizzazione del lavoro. Inoltre la crisi dell’Horeca a causa dell’emergenza sanitaria pesa anche sul comparto oleario. Finora i consumi domestici e il buon andamento dell’export ci hanno permesso di sostenere il rallentamento delle vendite nella ristorazione, che vale circa un terzo del mercato interno. Ma l’ennesimo stop ci fa temere ulteriori ripercussioni negative sul comparto che, nonostante le difficoltà, ha continuato a creare valore in questi mesi complessi».
Modernizzare i processi produttivi di tutta la filiera
Per dare impulso al comparto, sostiene Cane, è necessario ammodernarne l’intera struttura produttiva. «È la stessa filiera a riconoscere che gli impianti attuali hanno un urgente bisogno di essere rinnovati e ampliati. Soltanto così si potrà incrementare la produzione di olio d’oliva che, anche nelle campagne migliori, difficilmente supera le 350mila tonnellate ed è quindi del tutto insufficiente rispetto al fabbisogno interno e a quello estero, pari nel complesso a quasi un milione di tonnellate. Attualmente la risposta dell’industria olearia italiana al deficit produttivo è il blending: le aziende, accostando oli diversi per provenienza e gusto, hanno ideato prodotti unici, costanti nel tempo e apprezzati dai consumatori italiani ed esteri. Ma per remunerare in modo adeguato il comparto occorre modernizzare i processi produttivi. Si tratta di uno sforzo che per Assitol deve riguardare tutti gli attori della filiera».
L’avvio produttivo della cultivar Favolosa
Fra tante difficoltà, una buona notizia, conclude Cane, «è che finalmente si scorge la luce nella lunga vicenda della Xylella in Puglia, grazie all’avvio produttivo di cultivar come la Favolosa, capace di resistere al parassita che provoca il disseccamento degli olivi. È un traguardo che si deve alla ricerca scientifica e all’innovazione in agronomia. Puntare tutto sulla tradizione, infatti, ha significato, per troppo tempo, emarginare la scienza e le buone pratiche agricole, che possono fare molto non soltanto contro la Xylella, ma anche per aiutare il comparto a produrre di più, con costi ragionevoli e maggiore redditività per tutti, senza trascurare l’attenzione all’ambiente».