L’olivicoltura non contribuisce in maniera eccessiva alla produzione di anidride carbonica (CO2). Anzi favorisce la mitigazione del cambiamento climatico attraverso la fissazione della CO2 atmosferica. Ma può subire danni, anche notevoli, dagli stress idrici e salini connessi al cambiamento climatico. È quanto ha sostenuto Luca Sebastiani, docente della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, nel corso del webinar “Olivo e risposta agli stress ambientali: quali scenari alla luce dei cambiamenti climatici?”, facente parte del secondo ciclo di seminari organizzati dall’Accademia nazionale dell’Olivo e dell’Olio.
L’agricoltura è altamente esposta al cambiamento climatico, poiché le attività agricole dipendono direttamente dalle condizioni climatiche. L’agricoltura contribuisce al cambiamento climatico attraverso il rilascio di gas a effetto serra nell’atmosfera. Ma l’agricoltura può contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici riducendo le emissioni di gas a effetto serra e sequestrando il carbonio, mantenendo al contempo la produzione alimentare.
E, in particolare, l’olivicoltura? «Innanzitutto va detto, come hanno dimostrato diversi studi, – ha chiarito Sebastiani – che la coltivazione dell’olivo non contribuisce in maniera eccessiva alla produzione di CO2. Anche nell’oliveto superintensivo l’impronta di carbonio è positiva: infatti, per ogni litro di olio d’oliva prodotto vengono emessi solo 1,24 kg di CO2. Ma l’olivicoltura può subire danni dal cambiamento climatico. E nello stesso può contribuire alla mitigazione dei suoi effetti».
Cambiamento climatico danneggia produzione olivicola
Il cambiamento climatico incide, quindi, negativamente sulla produzione olivicola, perché è contraddistinto da eventi meteo estremi, la cui frequenza aumenta costantemente e la cui intensità spesso è distruttiva, ha sottolineato Sebastiani.
«Il cambiamento climatico rivela una stretta correlazione fra l’aumento dei gas serra [anidride carbonica (CO2), metano (CH4), diossido di azoto (NO2), nitrato (NO3)] e l’aumento della temperatura, cioè del riscaldamento globale. L'anidride carbonica non ha un effetto negativo sulle piante di olivo, l’aspetto preoccupante è l’effetto sugli olivi dell’aumento delle temperature causato dai gas serra.
Inoltre il cambiamento climatico è legato alla degradazione del suolo e all’inquinamento, con impatto negativo sulla produzione e positivo sullo sviluppo di patogeni e fitofagi. Nel 2014 l’olivicoltura italiana ha registrato cali di rese a due cifre nelle regioni olivicole italiane sia per i danni causati dalla siccità alla fioritura, sia per l’alta presenza della mosca delle olive, favorita da un clima caldo-umido.
Il cambiamento climatico causa, quindi, forti stress idrici, non solo per carenza, ma anche per eccesso di acqua. Ad esempio le sommersioni per piogge molto intense, alle quali l’olivo non resiste, poiché risente moltissimo delle condizioni di allagamento dei terreni in cui è coltivato».
Olivicoltura non produce troppa anidride carbonica
Eppure l’olivicoltura non contribuisce in maniera eccessiva alla produzione di CO2. Anzi può contribuire a mitigare gli effetti del cambiamento climatico.
«Ricordo, in proposito, che il Layman’s Report evidenzia il ruolo positivo degli oliveti nella mitigazione del cambiamento climatico attraverso la fissazione della CO2 atmosferica. La scelta della pratica della irrigazione è il fattore principale, oltre alla frequenza di potatura, per aumentare il potenziale ruolo degli olivi nella mitigazione del clima nel periodo attuale e in quello futuro. Inoltre la selezione di varietà che mostrano un’elevata stabilità in ambienti diversi può rappresentare la strategia più efficiente per lo sviluppo di nuovi sistemi di coltivazione sostenibile.
Solo la fertilizzazione è una pratica agronomica favorevole ai cambiamenti climatici. Sottolineo questo aspetto perché anche in olivicoltura c’è la tendenza a somministrare più fertilizzanti di quanti siano necessari. E la produzione dei fertilizzanti contribuisce, come è noto, all’emissione di CO2. Quindi è importante ridurne l’apporto. Peraltro un eccesso di fertilizzanti aumenta lo sviluppo vegetativo, ma non fa crescere la produzione di olive e non migliora la qualità dell’olio, oltre a rendere le piante più suscettibili a eventuali malattie».
Olivicoltura mitiga effetti cambiamento climatico
Stress idrico dovuto alla siccità e stress salino per la disponibilità di acque tendenzialmente salmastre sono i principali effetti del cambiamento climatico che l’olivicoltura dovrà affrontare, ha evidenziato Sebastiani.
«Per superare tali difficoltà occorre mettere in atto strategie di adattamento. Adattamento significa anticipare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici e intraprendere le azioni appropriate per prevenire o ridurre al minimo i danni che questi possono causare, ma anche sfruttare le opportunità che possono sorgere.
L’olivo è una pianta molto tollerante alla carenza idrica, possiede caratteristiche innate per resistere a lunghi periodi di siccità e sopravvivere in zone con limitate precipitazioni annuali (150-200 mm). Le foglie regolano l’apertura e la chiusura degli stomi per resistere bene in ambienti siccitosi. L’apparato radicale è adattato a piogge scarse e intermittenti, esplora gli strati superiori del suolo ma è altresì in grado di raggiungere i 6-7 m di profondità. Ma tali caratteristiche a volte non bastano.
Perciò il miglioramento genetico sta cercando di individuare varietà già esistenti o di produrre nuove varietà che potrebbero rivelarsi molto più resistenti agli stress climatici di quelle attualmente coltivate. E si sta cercando di capire quali sono i geni più interessanti e il loro ruolo nella resistenza allo stress idrico. Altrettanto si sta cercando di fare per aumentare la resistenza allo stress salino».