Tecniche colturali per una gestione sostenibile e di qualità dell’oliveto

gestione sostenibile
In Italia non esiste una sola olivicoltura, ha evidenziato il professor Enrico Lodolini, ma tante diverse olivicolture. E per ciascuna di esse occorre considerare tutti gli aspetti legati alla sostenibilità ambientale, agronomica ed economica. Nella foto oliveto plurisecolare senza un preciso sesto di impianto nella Piana degli olivi monumentali, compresa fra le province di Bari e Brindisi
Le raccomandazioni operative di Enrico Lodolini, professore associato dell'Università Politecnica delle Marche di Ancona, in un webinar organizzato dall’Accademia nazionale dell’olivo e dell’olio

Tecniche colturali per una gestione sostenibile e di qualità dell'oliveto sono state al centro del quarto di un ciclo di cinque seminari  a distanza telematici dedicati alla filiera olivicolo-olearia e organizzati dall’Accademia nazionale dell’olivo e dell’olio per l’autunno 2025. Lo ha tenuto Enrico Lodolini, professore associato presso il Dipartimento di scienze agrarie, alimentari e ambientali (D3A) dell'Università Politecnica delle Marche di Ancona.

Non un’olivicoltura, ma tante olivicolture

Oliveto promiscuo
Oliveto promiscuo in agro di Fasano (Br). Olivi secolari sono consociati con la coltivazione di ortaggi

L’olivicoltura italiana presenta tante sfaccettature che definiscono, in realtà, olivicolture diverse, ha introdotto Lodolini.

«Numerosi sono i fattori che richiedono non una tecnica colturale valida sempre e dovunque, ma tante tecniche colturali, ognuna delle quali è specifica per un preciso territorio olivicolo.

Non esiste quindi un unico modello di olivicoltura, dobbiamo parlare di olivicolture:

  • olivicoltura tradizionale o promiscua: circa 100 piante/ha, dove gli olivi, spesso di grandi dimensioni, persino secolari e/o plurisecolari, o non hanno un sesto regolare oppure hanno un sesto regolare ma ampio, 10 x 10 m, e sovente vengono coltivati con altre specie, come vite, drupacee, cereali, ortaggi o leguminose;
  • olivicoltura specializzata a bassa densità: sesto 6 x 6 m, circa 277 piante/ha allevate a vaso, per le quali è possibile un sia pur limitato livello di meccanizzazione;
  • olivicoltura specializzata a media densità: circa 400 piante/ha, organizzate ad asse centrale e più facilmente meccanizzabili;
  • olivicoltura specializzata ad alta o altissima densità: oltre 1000 piante/ha, allevate a filari in parete, con meccanizzazione completa di potatura e raccolta.

Queste diverse olivicolture possono anche convivere, tuttavia per ciascun modello di impianto occorre

  • scegliere tecniche colturali che siano coerenti con lo specifico modello di impianto,
  • considerare tutti gli aspetti legati alla sostenibilità ambientale, agronomica ed economica,
  • individuare le varietà che meglio si adattano allo specifico modello di impianto,
  • valutare i livelli di meccanizzazione più adeguati e le produzioni possibili, anche con diversa destinazione ma sempre di alta qualità».

Leggi anche: Altissima densità o altissima sostenibilità?

Nella direzione dell’intensificazione colturale

olivicolura in parete
Obiettivo della ricerca di una parete continua è ottimizzare le pratiche colturali, cercando di meccanizzare alcune operazioni colturali, prima fra tutte la raccolta. Nella foto raccolta con scavallatrice in un oliveto ad altissima densità in agro di Foggia

Si sta andando nella direzione dell’intensificazione colturale, cioè dell’aumento della densità di impianto e, quindi, della ricerca di una parete continua, per ottimizzare le pratiche colturali e cercare di meccanizzare alcune operazioni colturali, prima fra tutte la raccolta, ha spiegato Lodolini.

«Il passaggio dall’albero singolo a bassa densità ai sistemi in parete produttiva permette di meccanizzare/velocizzare alcune operazioni colturali. I livelli di meccanizzazione della raccolta oggi possibili prevedono:

  • la raccolta agevolata, con l’utilizzo da terra di un agevolatore manuale telescopico (tuttavia discontinuo, perché richiede lo spostamento della macchina, tempi morti per spostamento reti, aggancio della pinza, ecc.);
  • la raccolta con vibro-scuotitore al tronco e ombrello rovescio intercettatore applicabile su piante singole allevate a vaso (anch’esso discontinuo);
  • la raccolta con macchina by-side, che agisce in continuo lateralmente su una parete olivicola;
  • la raccolta con macchina scavallatrice della parete, che opera anch’essa in continuo.

Naturalmente occorre costruire e poi mantenere la parete nelle sue dimensioni per consentire il passaggio di queste macchine operatrici in continuo».

Altri vantaggi del passaggio a sistemi in parete

Il passaggio da piante singole a piante a sistemi in parete, ha aggiunto Lodolini, ha anche altri vantaggi:

  • disporre di una superficie esterna della chioma esposta alla luce più ampia rispetto al volume interno e quindi realizzare una maggiore efficienza produttiva della chioma;
  • applicare reti multifunzionali per creare microclimi migliori soprattutto in estate;
  • utilizzare reti apposite per proteggere le piante dalla mosca delle olive, dalla tignola delle olive e dalla grandine».

Gestione sostenibile della copertura del suolo

erosione
In terreni anche in leggera pendenza su cui non si è instaurato un buon inerbimento si può verificare una forte erosione sotto la pressione del ruscellamento delle acque superficiali e l’azione battente della pioggia

Per riuscire a mantenere/aumentare la sostenibilità dell’oliveto nei diversi modelli di impianto un primo approccio deve essere sicuramente la gestione di impianti già esistenti o la progettazione di impianti nuovi seguendo un approccio di paesaggio integrato, ha raccomandato Lodolini.

«Bisogna mantenere le fasce di bordo naturali e all’interno di queste maglie fatte dalle bordure naturali inserire il nostro oliveto. Così si aumenta la biodiversità complessiva dell’intero agroecosistema. Tutta la tecnica agronomica deve ruotare attorno alla cura della biodiversità, in primo luogo con una gestione sostenibile della copertura del suolo nei diversi modelli di impianto. La gestione non conservativa del suolo nell’oliveto, con le lavorazioni tradizionali o il diserbo chimico che lasciano il terreno nudo per un periodo molto lungo, facilita l’erosione dello strato superficiale del suolo, che è quello più fertile, porta alla perdita di una quantità notevole di terreno e, con esso, di biodiversità, sostanza organica ed elementi nutritivi e, quindi, semplifica troppo l’agroecosistema. In terreni anche in leggera pendenza su cui non si è ancora instaurato un buon inerbimento si può verificare erosione fin dai primi anni dalla messa a dimora dell’impianto olivicolo, sotto la pressione del ruscellamento delle acque superficiali e l’azione battente della pioggia».

Controllo dell’inerbimento

inerbimento
Inerbimento spontaneo sotto la fila in un oliveto a Canosa di Puglia (Bt)

Lodolini ha perciò consigliato di gestire il suolo con l’inerbimento, che può essere naturale o seminato.

«L’inerbimento va poi controllato o mediante trinciatura periodica e/o a file alterne o attraverso allettamento con rulli sagomati (roller crimper) che realizza un effetto mulching, cioè impedisce alle erbe spontanee di riprendersi rapidamente, mantiene una maggiore umidità del suolo e una minore escursione termica in estate e inverno. Nella semina degli inerbimenti si possono utilizzare miscugli di leguminose perenni per rinforzare l’inerbimento naturale, che nel tempo tende a indebolirsi. Nell’interfila si può utilizzare un decompattatore per arieggiare il terreno senza rivoltarlo. Sulla fila sono utili lavorazioni minime sotto l’albero o nel sottofila; tuttavia soprattutto su terreni pesanti si possono creare fratture, punti di discontinuità fra la parte lavorata e quella inerbita che le radici non riescono ad attraversare: in tale caso lavorazioni anche minime rendono le radici più superficiali e, quindi, aumenta la suscettibilità dell’apparato radicale a stress idrico ed elevate temperature estive. Peraltro si sta anche cercando di non eliminare completamente le erbe spontanee lungo la fila, ma di controllarle con una serie di attrezzi che possono svolgere questa funzione, oppure di mantenere un inerbimento specifico, ad esempio con leguminose o altre specie in modo da conservare biodiversità sotto la fila».

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Gestione sostenibile della chioma

In qualsiasi oliveto, tradizionale o moderno, è fondamentale la gestione sostenibile della chioma. «A tal fine bisogna curare con attenzione sia la potatura di allevamento sia quella di produzione. In Italia cresce il numero degli oliveti abbandonati: perciò per recuperare vecchi olivi è necessaria un’adeguata potatura di riforma, a volte anche una potatura radicale in oliveti collassati. È comunque sempre importante ottenere chiome che presentino volume, cioè branche produttive».

L’olivicoltura di precisione

L’ultima frontiera è quella dell’agricoltura di precisione in olivicoltura, ha concluso Lodolini. «L’acquisizione di dati temporali e spaziali, mediante sensori distali e prossimali, è fondamentale per gestire la variabilità in campo, monitorare, ottimizzare l’utilizzo delle risorse e la tecnica agronomica, in sostanza per migliorare la sostenibilità agronomica, ambientale ed economica».

Tecniche colturali per una gestione sostenibile e di qualità dell’oliveto - Ultima modifica: 2025-11-03T09:37:24+01:00 da Giuseppe Francesco Sportelli

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