L’eriofide dell’olivo (Aceria oleae), conosciuto già nel 1900, è un acaro monofago, infatti lo si ritrova solo sull’olivo. Molto piccolo (meno di 2 decimi di millimetro) e di aspetto vermiforme, è originario del bacino mediterraneo, nel quale è diffuso dovunque, ma è noto anche in Arabia Saudita, Iran, Sudafrica e Argentina. Per anni questo eriofide è stato avvistato e segnalato in Italia, in genere con popolazioni poco numerose e quindi poco avverse, ma da qualche tempo ha cominciato a essere più comune, anche se le ragioni non sono ancora ben chiare.
È perciò opportuno conoscere meglio questo fitofago, sostiene Enrico de Lillo, professore ordinario di Entomologia generale e applicata presso il Dipartimento di scienze del suolo, della pianta e degli alimenti (DiSSPA) dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.
Deformazioni a carico di germogli, foglie e drupe
«Aceria oleae, pur essendo una specie vagante, è associato spesso a deformazioni a carico dei germogli, delle foglie e delle drupe, con danni particolarmente rilevanti per le varietà da mensa.
In particolare è associato a ondulazioni e riduzioni del lembo fogliare e modificazioni più o meno importanti dei margini fogliari. In corrispondenza di queste aree sulla pagina superiore si evidenziano una certa gibbosità e una decolorazione.
Nella pagina inferiore si osservano concavità appena accennate in corrispondenza della lamina fogliare, che perdono la colorazione argentata tipica della foglia dell’olivo in seguito al distacco e alla caduta dei peli stellati. Queste aree, a causa dell’attività alimentare degli acari, possono andare incontro a imbrunimenti, cioè alterazioni cellulari fini che si verificano in corrispondenza delle cellule dell’epidermide.
Le foglie interessate dall’infestazione sono quelle più giovani, ma tutte le foglie infestate, sia quelle più giovani sia quelle più vecchie, infestate precedentemente, manifestano sintomi evidenti.
L’eriofide dell’olivo è associato anche a deformazioni delle drupe. Sintomi simili, però, sono stati segnalati anche in occasione di infezioni da Strawberry Latent Ringspot Virus (SLRV). Questi sintomi sono rilevabili su olive da mensa e da olio e queste ultime possono manifestare una variazione della concentrazione dei polifenoli negli oli estratti».
Interazioni fra Aceria oleae e cultivar di olivo
Negli ultimi anni si è cercato di comprendere eventuali interazioni fra A. oleae e caratteristiche morfologiche della pianta, ha aggiunto de Lillo.
«È emerso che le cultivar di olivo caratterizzate da uno spessore maggiore della cuticola, come la Picholine, sembrano essere meno suscettibili alle infestazioni. Anche se questo aspetto non è stato pienamente confermato, è interessante, perché comincia a fornire elementi potenziali di valutazione per una diversità di impatto di questo eriofide».
Durante l’anno l’eriofide occupa siti diversi
L’eriofide dell’olivo, puntualiza de Lillo, è sempre presente sulla pianta, ma durante l’anno occupa siti diversi.
«Nell’inverno in piccola misura all’interno delle gemme e di più in corrispondenza delle foglie; prima e durante la fioritura all’interno dei fiori; nelle prime fasi dopo l’allegagione si trova sui frutticini per poi abbandonarli e ritornare sulle foglie. Il ciclo si svolge, quindi, soprattutto sulle foglie, ma in parte anche su fiori e frutticini. Come tutti gli eriofidi anche A. oleae ha bisogno di organi teneri, cioè fiori, frutticini e giovani foglie».
Gli antagonisti naturali di Aceria oleae
Ci sono ancora poche conoscenze su questo eriofide. È evidente però, osserva de Lillo, che è un organismo difficile da controllare anche perché si sposta attraverso il vento e il materiale di propagazione.
«In natura esistono antagonisti naturali di A. oleae, come ad esempio gli acari fitoseidi Neoseiulus californicus e Amblyseius barkeri. Ma sull’olivo in corrispondenza della presenza di A. oleae sono state trovate anche numerose altre specie di acari predatori e alcuni tripidi. Prove di lanci di N. californicus si sono dimostrate in grado di esercitare un buon controllo. Tuttavia questa strategia richiede ulteriori approfondimenti per costi e gestione.
Per il momento è più opportuna un’adeguata tutela degli organismi utili presenti in natura, dato che le sostanze attive attualmente autorizzate su olivo contro altri fitofagi potrebbero deprimere gli antagonisti naturali dell’eriofide con il conseguente aumento della sua popolazione. Perciò, se i sintomi della presenza di A. oleae sono certi e notevoli, è opportuno intervenire con prodotti poco impattanti verso i suoi antagonisti naturali».
Il monitoraggio di un fitofago complesso
Per potersi accertare del livello di presenza di A. oleae nell’oliveto occorre partire dal monitoraggio, che, ha evidenziato de Lillo, «deve essere basato sul controllo visivo della comparsa dei sintomi sulle foglie e sul campionamento dei nuovi getti prima della fioritura con controllo al microscopio per verificare la presenza della popolazione sulle foglie.
L’eriofide dell’olivo è un problema complesso per più ragioni: la dimensione degli individui, che costituisce un reale impedimento al rilievo di campo, la presenza dei peli stellati, che possono nascondere molti esemplari, la numerosità del campione e la mancanza di una soglia di intervento».