La difesa della purezza e della qualità dei prodotti alimentari rappresenta una grande sfida per chi debba stabilire regole: da un lato si desidererebbero standard rigidi per garantire il massimo livello possibile di difesa contro pratiche illecite, dall’altro però, se è relativamente semplice stabilire standard rigidi per manufatti umani, molto meno lo è quando si tratti di prodotti della natura.
Il caso degli oli ottenuti dalle olive e, in particolare, per gli oli extra vergini risulta emblematico sotto questo punto di vista, trattandosi di prodotti che a differenza di altri non sono formulati dall’uomo (anche per il vino, in fin dei conti, sono ammesse molte pratiche atte a modificarne le caratteristiche, sia pur sotto controllo legale, vedi l’arricchimento dei mosti per i vini non Doc), ma le cui caratteristiche dipendono direttamente dalle caratteristiche della materia prima e dalla “buona scienza” che l’uomo può applicare per mantenerle.
Nonostante tutto, però, la fissazione degli standard è necessaria e di ciò si occupano più fonti di normazione che spesso è difficile trovino una armonizzazione.
Il quadro normativo
Per tutti gli Stati membri dell’Unione Europea valgono, naturalmente, i relativi Regolamenti che, come noto, sono obbligatori e hanno valore di legge, per quanto riguarda gli oli ottenuti dalle olive, la prima normazione risale al 1966 con il Reg. (Cee) 136/66, poi si deve arrivare al 1991 per avere un Regolamento completo, che rende obbligatorie molte determinazioni chimico analitiche (acidità, numero di perossidi, spettrofotometria nell’UV, composizione degli acidi grassi, composizione degli steroli, composizione degli acidi grassi saturi nella posizione 2 del trigliceride, alcanoli, in seguito sostituiti dalle cere) e una valutazione sensoriale (il panel test) che in realtà entrerà in vigore un anno dopo.
Vale dunque la pena ricordare ancora una volta l’obbligatorietà sin da allora del panel test, che essendo previsto da un regolamento comunitario è stato legalmente in vigore sin da allora e non è stato reso obbligatorio da nessuna successiva legge nazionale.
In seguito (1995), si adottò il metodo per la determinazione degli stigmastadieni, quello del ∆ECN42 e nel 2011 col reg 61/2011 quello degli alchil esteri, poi modificato in etil esteri.
Un aspetto a parte riguarda il cosiddetto “global method” adottato dalla Ue e non dal Coi.
Ciò ci porta ad introdurre un altro attore della definizione del quadro normativo, ovvero il Consiglio Olivicolo Internazionale (Coi), di cui per molti anni hanno fatto parte i singoli Paesi europei ed extra europei, con la Cee e poi la Ce col ruolo di osservatore, il che significava che in sede di decisioni, qualora di fosse giunti ad una votazione ogni singolo Paese valeva un voto; con la transizione da Ce ad Ue, però, quest’ultima è diventata membro del Coi, e ciò ha avuto alcune importanti conseguenze: a livello di voti, la Ue vale un voto (ovvero tutti i Paesi Ue nel loro insieme valgono un voto, anche se la Ue contribuisce in maniera maggioritaria al bilancio del Coi stesso, essendo le quote legate alla produzione di olio e di olive) ed inoltre ogni parametro e relativo metodo analitico e limite stabilito dal Coi diventa obbligatorio per la Ue che deve recepirlo nei suoi regolamenti.
A livello mondiale, tutti gli alimenti sono tenuti a rispettare le caratteristiche stabilite dal Codex Alimentarius (emanazione della Fao/Oms) e ciò vale anche per gli oli da olive.
Se da un lato ciò è positivo, in quanto il Codex è la norma di riferimento per il Wto, dall’altro pone seri problemi di armonizzazione. Va tuttavia detto che solo una parte delle caratteristiche stabilite dal Codex sono obbligatorie, le altre essendo ad applicazione volontaria.
A questo punto, sembrerebbe naturale pensare che una così lussureggiante vegetazione di norme abbia raggiunto la massima efficacia nel garantire qualità e purezza degli oli offerti ai confezionatori e dunque ai consumatori, ma è veramente così? Il lavoro è veramente terminato o la frontiera si sposta sempre più in avanti?
Il caso dell’acido linolenico
Se iniziamo a prendere in considerazione le differenze tra le fonti normative citate, argomento che è anche una delle attività del progetto “Oleum” finanziato dalla Ue, notiamo che alcuni parametri obbligatori per il Coi (e dunque per le Ue), non lo sono per il Codex Alimentarius: emblematico è l’annoso caso del limite per l’ acido linolenico.
Questo parametro, è ben noto, può eccedere il limite stabilito per gli oli d’oliva a causa della miscelazione con olio di soia, il limite originario della Ue era 0,9%, poi elevato all’1,0% nel tentativo di trovare un accordo con altri Paesi (Australia, Argentina, Marocco) che reclamavano un valore massimo più elevato: l’Australia arrivò a chiedere 1,6%.
A fronte di queste richieste, il Codex Alimentarius incaricò il Coi di svolgere un’indagine sul contenuto medio di questo acido grasso, a tal fine l’Italia presentò circa 6000 dati analitici, raccolti grazie al contributo degli organi di controllo e delle aziende private dimostrando come la produzione nazionale raramente arrivasse a 0,9%.
Analogamente si comportarono gli altri Paesi produttori della Ue e si propose un compromesso a 1,0%, tuttavia dopo una prima disponibilità ad accettare questo limite, Australia ed Argentina si irrigidirono sulla richiesta di valori limite più elevati e poiché il Codex lavora sulla base del consenso, venne stabilito che in attesa di raggiungere un accordo, rimanessero in vigore i valori dei singoli Paesi e non venisse stabilito nessun limite obbligatorio in ambito Codex.
Per Coi ed Ue, quindi, il limite è 1,0%, ma recentemente è stata di nuovo chiesta una revisione in ambito Coi, di cui è entrata a far parte anche l’Argentina che nella sua norma nazionale ha un limite più elevato.
Sempre in ambito Coi, anche il Marocco ha recentemente di nuovo sollevato il problema.
La questione non è di poco conto, in quanto trattasi di un parametro di purezza, non è tuttavia l’unico, in quanto anche il contenuto di ∆-7-stigmasterolo, parametro utile a mettere in evidenza la miscelazione con olio di Compositae (girasole o cartamo ad alto oleico) presenta valori eccedenti il limite di 0,5% in alcune aree geografiche, per risolvere il problema, la norma Coi e i Regolamenti Ue hanno adottato un albero decisionale che prevede limiti di garanzia più restrittivi per gli altri parametri analitici che potrebbero non rispettare i limiti stabiliti per gli oli extra vergini d’oliva qualora l’elevato contenuto dello sterolo in oggetto derivasse da non genuinità.
Risolto questo problema per gli oli extra vergini, però, esso si è ripresentato per gli oli lampanti di alcune zone, in particolare della Siria, per i quali un corrispondente albero decisionale non è stato ancora elaborato.
Anche il campesterolo presenta il medesimo problema in alcune aree geografiche, anche all’interno della Ue ed anche per esso è stato costruito un albero decisionale.
Dipartimento di Scienze Agroalimentari, Ambientali ed Animali, Università degli Studi di Udine
Leggi l’articolo su Olivo e Olio n. 4/2018