Tra tutte le colture forse l’olivo è la meno esigente in elementi nutritivi, lavorazioni, trattamenti antiparassitari ed esigenze idriche. Nel tempo ha dimostrato grande adattabilità e resistenza alle avversità. Poche volte non ce l’ha fatta ed è stato solo a causa delle basse temperature.
È proprio per questi motivi che tutto è sempre stato fatto in nome del risparmio, a volte saltando addirittura certe operazioni, rimandandole all’anno seguente. Questo però non vuol dire che non giova di cure adeguate e costanti. Infatti quando si interviene ad anni alterni, anche le risposte produttive sono alternanti.
Spesso in nome dell’agricoltura biologica non concimiamo e non trattiamo, ma in nome delle regole della potatura siamo capaci di fare opere da certosino e ad una pianta siamo in grado di dedicare molto del nostro tempo fino a rendere questa pratica la più onerosa e da super specialisti del settore.
Antica esigenza
Dimentichiamo che fu per necessità di approvvigionarci di legna che nacque la potatura. Tagliando rami, quelli più cresciuti, ci si rese conto che la pianta era stimolata a rigenerare nuova vegetazione adatta alla produzione, contenendo così anche la dimensione della pianta stessa. Era stata scoperta la potatura.
Soltanto a partire dai primi del ‘900, in seguito alla nascita delle scuole di agricoltura, si misero a punto regole e sistemi di potatura dell’olivo, che a seconda degli ambienti differenziarono stili e forme di allevamento diverse.
Questo prevedeva però una competenza sulla pianta attraverso il riconoscimento dei tipi di rami, delle varietà, della loro fisiologia e dell’andamento climatico annuale.
Le forme date all’olivo non seguirono l’accrescimento naturale, basitono e cespuglioso proprie dell’olivo, ma si usarono forme forzate ottenute attraverso tagli costrittivi, da cui sono scaturite le forme a “vaso policonico”: da un tronco unico si sviluppano più branche principali fino a formare un vaso, con molteplici varianti, determinate da esigenze soprattutto climatiche e varietali, nonché dalla necessità di appoggiare la scala che richiede punti di appoggio sicuri.
Ne è venuta fuori una iper specializzazione del sistema, esasperata dall’uomo che dimentica come, invece, questa pianta abbia bisogno di tagli semplici, volti non solo al raggiungimento e mantenimento della forma, ma anche al rispetto dell’equilibrio vegeto-produttivo.
La potatura, strettamente legata all’attività dell’apparato radicale, regola la fotosintesi con l’orientamento della vegetazione verso la luce e sempre attraverso il taglio mantiene alto il rapporto tra superficie fogliare e legno, contiene l’eccesso di produzione e si controlla l’equilibrio tra parte aerea e sistema radicale.
È importante tener conto dell’età della pianta per stabilire la severità del taglio sapendo che i momenti dell’anno per tagliare sono due, fine inverno e fine estate, quando la pianta è in riposo.
Attualmente in olivicoltura, l’incidenza economica della potatura rimane il fattore limitante per il conseguimento del reddito, visto che già da tempo, la raccolta è stata meccanizzata con l’uso degli scuotitori del tronco, che ne hanno permesso la riduzione dei costi.
Un po’ di storia
Meccanizzare la potatura è stato un obiettivo che molti studiosi si sono dati, già da tempo.
Negli anni ’50 Alessandro Morettini iniziò a fare prove con una rudimentale barra applicata ad un trattore e dette lo spunto per future sperimentazioni che furono riprese negli anni ’80 quando, subito dopo la disastrosa gelata del 1985, si propose una nuova e moderna olivicoltura a reintegro di quella distrutta dal freddo (Fontanazza, 1990).
Il sistema prevedeva una forma di allevamento semplice ad asse unico (monocaule) alla quale sarebbe stato facile applicare lo scuotitore per la raccolta e la barra falciante per la potatura.
In anni di sperimentazione, si mise così a punto un sistema ciclico di potatura meccanica combinata con tagli manuali (Fontanazza, 1990).
Il taglio meccanico, nonostante la mancanza di precisione e di selettività, rispetto al taglio manuale, rappresenta una semplificazione e consente di accelerare i tempi d’intervento riducendo conseguentemente i costi. Inoltre non occorre più manodopera specializzata, oggi sempre più costosa e di difficile reperibilità.
La tecnica si basa su tagli della cima (topping) e laterali (hedging) attraverso barre falcianti e/o a seghe circolari. I cicli previsti sono triennali in cui si alternano potature meccaniche, manuali e non potature.
I risultati ottenuti sia in fase sperimentale sia dalle aziende che l’hanno adottata, sono stati più che positivi, registrando non solo abbattimento dei costi, ma anche incrementi di produzione. Dopo tre cicli triennali (9 anni) una buona potatura di riforma ristabilisce la struttura scheletrica nonché l’equilibrio vegetativo.
Le piante allevate a monocaule possono essere potate a macchina dal 7°-8° anno di età, quando la struttura scheletrica e la chioma sono già ben formate e la pianta presenta una produzione abbondante.
Osare di più
Perché fermarsi a queste forme semplici di allevamento e non osare di più? Visto che gli oliveti italiani sono quasi tutti impostati a vaso policonico o globo, perché non applicare il taglio meccanico anche a queste forme?
È da qualche anno, e non solo in Italia, che i tecnici (agronomi) hanno iniziato a utilizzare la potatrice anche su piante impostate a vaso policonico, visto che quasi la totalità degli impianti in Italia hanno tale forma di allevamento; in questo caso parliamo per lo più di pre-potatura meccanica e rifinitura manuale.
La barra falciante, opportunamente inclinata verso l’interno, fa contemporaneamente un taglio di topping e uno di hedging, riducendo la dimensione della chioma attraverso tagli di ritorno indiscriminati. Internamente alla chioma, a causa della mancanza di luce, si sviluppano quasi sempre rami assurgenti detti succhioni, che devono essere però asportati manualmente.
Impostando, anche nel caso del vaso policonico, cicli triennali, si sono ottenute buone risposte sia vegetative sia produttive delle piante già dal primo anno di potatura meccanica.
In questi cicli si alternano anni di potatura meccanica e manuale con anni di non potatura o solo di abbassamento della chioma, non seguendo comunque regole precise, ma di adattamento alle risposte vegetative che cambiano in funzione della varietà e dell’ambiente.
Tecnicamente il taglio elimina soltanto una parte esterna dei rami destinati alla produzione, lasciandone comunque un tratto, prodotto l’anno precedente, su cui si differenziano gemme a fiore.
Contemporaneamente si ha così un effetto cimatura che stimola lo stesso ramo a nuova vegetazione fruttifera. In tal modo non si provocano tagli di diradamento che diversamente contribuirebbero a ridurre la produzione.
Il risultato che si ottiene è ridimensionamento della chioma, presenza di frutti già nello stesso anno e formazione di nuova vegetazione a frutto per l’anno seguente.
L’eliminazione manuale dei succhioni interni, contribuisce poi a migliorare la forma della chioma sia favorendo la penetrazione della luce che la trasmigrazione dei nutrimenti. Da questo scaturisce la presenza di fruttificazione costante negli anni riducendo al minimo l’alternanza.
Su terreni scoscesi
Al momento diverse ditte meccaniche progettano e realizzano differenti modelli di potatrice a coltelli, a catena, a lame, applicandole a trattori gommati o a cingoli normalmente usate nelle aziende.
Volendo utilizzare, però, la potatura meccanica anche in oliveti giacenti su terreni molto scoscesi, che caratterizzano molti areali della nostra olivicoltura, Assoprol Umbria, associazione della Confagricoltura di produttori olivicoli umbri, ha presentato un prototipo di potatrice, self cutting, radio comandata da terra e con spostamento su cingoli che consente di raggiungere un duplice obiettivo: una più agevole accessibilità nell’oliveto e una migliore movimentazione su pendenze superiori al 25% garantendo sicurezza all’operatore, che in questo caso opera da terra e a una certa distanza dalla macchina.
Attraverso la misura 1.2.4. del Psr per l’Umbria 2007-2013 è stata realizzata una macchina potatrice di questo tipo su cingoli gommati con un’ottima stabilità in grado di affrontare diverse tipologie di oliveti e diverse pendenze.
La sfida non è stata soltanto quella di abbattere i costi di potatura, ma anche quella di osare di meccanizzare oliveti appartenenti a quella olivicoltura marginale, destinata forse ad essere abbandonata.
Dalle prove fatte in diverse aziende, si è verificato che con circa tre ore/ha, usando self cutting si riesce a fare una pre-potatura a cui vanno aggiunti appena cinque minuti a pianta di potatura manuale di completamento.
Sicuramente non sarà facile conquistare la fiducia degli olivicoltori più tradizionali, proponendo sistemi alternativi di tale impatto innovativo, ma pensiamo che, ove non sia presente una nuova olivicoltura, per conservare e proteggere dall’erosione genetica intere aree di difficile giacitura, questa macchina potrebbe essere un aiuto sia economico che operativo rispetto ad una gestione totalmente manuale.