La ricostituzione degli oliveti salentini distrutti dal batterio Xylella fastidiosa subsp. pauca ST53, all’interno del Piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia, è iniziata e sta continuando senza alcuna pianificazione che tenga conto delle differenti realtà aziendali e in assenza totale di linee guida agronomiche che l’amministrazione regionale avrebbe dovuto imporre per l’utilizzo di fondi pubblici. Il risultato di molti reimpianti nel territorio salentino devastato dalla Xylella è l’adozione di scelte prive di fondamenta tecniche che in molti casi si stanno ripercuotendo negativamente sui risultati attesi, vanificando così gli investimenti e il reale obiettivo di ricostruire la filiera olivicola salentina. È il richiamo lanciato da Luigi Catalano, agronomo di Agrimeca Grape and Fruit Consulting, in occasione del convegno su “La rigenerazione dell’olivicoltura in Salento in un contesto di innovazione” organizzato dall’Ordine dei dottori agronomi e dei dottori forestali della provincia di Lecce presso l’IIS “Presta – Columella” del capoluogo salentino.
Xylella, reimpianti senza pianificazione e linee guida
Attualmente, ha ricordato Catalano, la ricostruzione dell’olivicoltura salentina ha il vincolo delle due varietà resistenti a Xylella, Leccino e Fs-17 o Favolosa.
«Ambedue, contraddistinte da precise caratteristiche agronomiche, sono presenti da decenni nel Salento, mostrando un buon adattamento alle condizioni pedoclimatiche del territorio.
La varietà Leccino è presente da tempo in tutti gli areali di coltivazione salentini senza aver mai dato alcun segno di sofferenza per difficoltà fisiologiche e/o di particolare suscettibilità agli organismi nocivi che interessano l’olivo.
Per la varietà Fs-17, originatasi da libera impollinazione della Frantoio, pur avendo una più esigua presenza e diffusione, si possono estendere le positive valutazioni sul comportamento e adattabilità del suo genitore.
Premessi questi vincoli varietali, e in attesa di altre varietà che in futuro potranno essere ammesse al reimpianto in zona infetta, la ricostituzione degli oliveti salentini è partita e sta continuando senza alcuna pianificazione che tenga conto delle differenti realtà aziendali e in assenza totale di linee guida agronomiche che l’amministrazione regionale avrebbe dovuto imporre per l’utilizzo di fondi pubblici».
Oliveti “familiari” e oliveti “professionali”
Un grande equivoco risiede nella differente capacità gestionale di quanti hanno reimpiantato l’olivo e nelle differenti organizzazioni e dotazioni tecniche aziendali in termini di impianti irrigui, meccanizzazione, disponibilità di manodopera specializzata, ecc.
«Ogni olivicoltore agisce come ritiene meglio, ma spesso le sue decisioni tecniche non si rivelano le più consigliabili e quindi le più adatte per il suo specifico tipo di azienda. Leccino e Fs-17, in considerazione della loro vigoria e del loro habitus vegetativo, non vanno bene per qualsiasi modello di impianto. Inoltre la scelta delle piante da mettere a dimora varie in funzione delle diverse condizioni aziendali.
La grande richiesta di materiali di propagazione di Fs-17 ha ristretto la disponibilità di piante adulte, cosicché molti impianti sono stati realizzati con piantine che hanno trovato gli agricoltori impreparati alla loro corretta gestione.
Per impianti estensivi, senza irrigazione, o per oliveti familiari condotti secondo criteri hobbistici, occorrono piante più strutturate, adulte e meglio lignificate, che abbiano un apparato radicale maggiormente sviluppato.
Per oliveti intensivi allevati a vaso basso (400-600 piante/ha, con sesto 6 x 4 m o 5 x 3 m) e con irrigazione vanno bene entrambe le varietà, anche con piante di dimensioni minori.
Per gli impianti a parete con raccolta in continuo per mezzo di macchine scavallatrici (superintensivo con sesto 4 x 1,5 m e 1.666 piante/ha), mentre Fs-17 è utilizzabile, pur con alcuni limiti dovuti al suo comportamento vegetativo, Leccino non può essere considerata per la sua elevata vigoria».
Un sistema di impianto errato della Fs-17
Catalano ha citato, fra altri, l’esempio di diversi sistemi di impianto della Fs-17.
«Un primo sistema adottato nel Salento, negli anni 2018-2019, è stato l’impianto con sesto 5 x 2,5 m e densità di 800 piante/ha, struttura costituita da pali 1,6-1,8 m fuori terra e due fili reggenti in ferro zincato.
Un impianto così realizzato richiede un grande ricorso a interventi di potatura manuale, potendo intervenire meccanicamente con topping solo al di sopra della struttura di sostegno e parzialmente sulle pareti laterali.
Questo sistema d’impianto, adottato in altre aree olivicole, non sembra rispondere a scelte pianificate e ragionate per i seguenti motivi:
- non tiene conto della difficoltà della Fs-17 a ramificare e riempire subito la parete, per cui risulta eccessiva la distanza di 2,5 m tra le piante sulla fila;
- rende parzialmente meccanizzabile la gestione della chioma per la presenza della struttura, richiedendo manodopera specializzata non disponibile;
- la distanza di 5 m sull’interfila è eccessiva, considerando che le raccoglitrici-scavallatrici operano senza problemi anche con distanza di 3,8 m tra le fila, che farebbe aumentare la densità di impianto del 20%».
I vantaggi del sesto di impianto di 4 x 1,5 metri
Un nuovo sistema di impianto della Fs-17 adottato nel 2022 ha previsto invece il sesto di impianto di 4 x 1,5 metri, la densità d’impianto di 1.666 piante/ha, il rispetto dell’orientamento dell’impianto nord-sud per consentire una piena e regolare illuminazione delle piante, l’assenza di struttura portante, la presenza di un palo tutore per pianta, emergente 60 cm fuori terra, e la completa meccanizzazione della potatura.
«Un impianto con tali caratteristiche, guidato con la gestione precoce della chioma per una rapida formazione della parete, – ha sostenuto Catalano – è corretto, perché:
- cresce nelle dimensioni e nella forma volute,
- entra prima in produzione,
- ha densità della chioma più elevata per una produttività maggiore, non richiedendo precoci pesanti interventi di ricostituzione della struttura e predisponendo le piante a durare più a lungo».
Difesa fitosanitaria nei reimpianti dopo Xylella
Per una crescita regolare e sana dei giovani olivi dei nuovi impianti è fondamentale un’attenta gestione della difesa fitosanitaria, ha infine riferito Catalano. «Alcuni fitofagi una volta ritenuti secondari, in molti casi assurgono a causa maggiore di danni ingenti e distruzione di giovani impianti:
- l’oziorrinco (Otiorrhynchus cribricollis), che svolge attività trofica in due periodi dell’anno (primavera-inizio estate e fine estate-autunno), ma può risultare attivo durante tutto l’anno;
- la margaronia (Palpita unionalis), che presenta più generazioni a partire dal periodo primaverile: l’azione trofica delle larve danneggia gli apici vegetativi. È perciò molto importante il suo controllo nei sistemi in allevamento ad alta densità. Efficace risulta il tempestivo controllo delle larve giovani con Bacillus thuringiensis; altri prodotti utilizzabili sono l’olio minerale paraffinico e le piretrine pure;
- la cicala (Cicada orni), che causa grandi danni sulle giovani piante. Poiché le larve hanno una vita media, sotto terra, di alcuni anni, sono importanti le lavorazioni del suolo. Per limitare parzialmente i danni suggerisco di programmare la messa a dimora delle piante a fine estate/autunno quando l’insetto non è più presente;
- il moscerino suggiscorza dell’olivo (Resseliella oleisuga), le cui larve causano danni sui giovani piantoni;
- gli scolitidi (Phloeotribus scarabeoides, Hylesinus oleiperda), che sono stati causa di danni importanti, ma, purtroppo, non ci sono prodotti validi registrati per la coltura dell’olivo».
Gestione delle infestanti
Grande attenzione va posta anche alla gestione delle infestanti.
«Per evitare fenomeni erosivi e limitare l’ulteriore impoverimento dei terreni, è consigliabile l’inerbimento nell’interfila. Negli impianti superintensivi, – ha sostenuto Catalano – la soluzione migliore è il diserbo sulla fila, considerato che le piante sono provviste di shelter.
Per impianti condotti con il metodo biologico, per i primi anni è possibile utilizzare la pacciamatura sulla fila, operando poi con sarchiatrici meccaniche provviste di tastatore dal terzo anno in poi, con piante ormai ben ancoratesi nel terreno».