«La politica nazionale ha investito molto interesse nel mondo delle organizzazioni dei produttori (OP). Il ruolo delle OP deve estendersi anche alla fase di commercializzazione dei prodotti dei soci e non limitarsi all’assistenza tecnica e alla formazione.
In questo modo potranno contribuire in maniera significativa al processo in atto di ristrutturazione del settore che ci auguriamo possa continuare».
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Pietro Gasparri, dirigente Mipaaf, ha così introdotto i risultati del primo task del progetto Olivemap in occasione del webinar organizzato dal Crea e dal Mipaaf in collaborazione con Edagricole, finalizzato a offrire un quadro conoscitivo della realtà delle OP, per comprendere sia i fattori che limitano la loro operatività come strumenti di aggregazione dell’offerta sia quelli maggiormente incentivanti la loro evoluzione in soggetti economici attivi e propulsivi per lo sviluppo del settore.
«È uno dei primi grandi progetti portati avanti dal Crea nella sua conformazione attuale – ha aggiunto Roberto Henke, direttore del Crea Centro di Politiche e di Bioeconomia (PB), che ha curato la ricerca – e si caratterizza per la multidisciplinarietà e per la sua forma “ibrida” di supporto alle decisioni politiche e di ricerca “pura”».
«Sono state analizzate oltre 300 mila aziende olivicole associate in 134 OP, partendo da dati Agea, Istat e Rica per fornire il quadro più completo ed esaustivo possibile. L’analisi finanziaria ha cercato di studiare lo stato di salute delle associazioni, proprio per capire poi come la politica può rispondere alle problematiche del settore».
«Serve, infatti, con la futura Pac un avvicinamento ai territori, altrimenti la politica finisce con il rimanere troppo distante. Ci troviamo di fronte a una realtà estremamente differenziata, a diverse olivicolture e ognuna ha bisogno di una risposta specifica. Infine, la competitività: oggi si gioca per un paese come il nostro sulla differenziazione, sulla capacità di esprimere una storia del territorio e sulla qualità».
Caratteristiche strutturali
«Il 32% delle aziende olivicole italiane aderisce a OP, con punte di oltre il 50% come in Puglia – ha riferito nella sua presentazione Maria Rosaria Pupo d’Andrea, del Crea-PB – e il 40% superficie olivetata italiana ricade in aziende OP. La distribuzione per classi delle aziende OP è simile a quella delle “non OP”, anche se spostata verso le classi più alte (>10 ettari)».
«Oltre la metà delle aziende OP e relativa superficie olivicola sono localizzate in collina, con una maggiore rilevanza della pianura rispetto a distribuzione ‟non OP”. Nelle aziende OP ricade, poi, circa la metà della superficie a olivo irrigata e le aziende OP hanno mediamente più superficie a olivo irrigato delle “non OP”».
«Sempre nelle OP ricade poco meno della metà della superficie di olivo biologico e le aziende OP hanno mediamente più superficie a olivo biologico di quelle “non OP” (7,0 ha vs 4,5 ha). Lo stesso dicasi per le produzioni Dop e Igp. Il 63% degli oliveti delle aziende OP ha 50 anni di età o più e il 46% degli oliveti delle aziende OP ha una densità inferiore a 140 piante ad ettaro, mentre soo il 5% supera le 400 piante/ha».
«Dal confronto tra OP e non OP non sono emerse significative differenze nel margine lordo, ma i costi variabili di produzione delle aziende OP sono risultati più bassi di quelle non OP; il Margine operativo lordo, invece, assume valore negativo, a prescindere dalla localizzazione geografica e dall’appartenenza o meno a OP, ed è il costo della manodopera elevato a erodere il reddito che la coltura dell’olivo è in grado di assicurare».
«C’è quindi necessità di rivedere i fattori di formazione del reddito, e quindi le strategie aziendali e le modalità di gestione dell’oliveto, al fine di conseguire un risultato positivo – ha concluso Pupo d’Andrea – e l’analisi realizzata rappresenta uno strumento conoscitivo a disposizione dei decisori pubblici, nazionali e regionali, per la definizione e programmazione degli interventi in favore del settore olivicolo e delle OP».
«Conoscere il settore è anche fondamentale per orientare le scelte da compiere nel Piano strategico nazionale previsto dalla prossima riforma della Pac, dove la nuova logica dell’intervento e l’approccio orientato ai risultati richiedono sia la corretta individuazione dei fabbisogni che la definizione di obiettivi realisticamente raggiungibili».
Analisi finanziaria
Le caratteristiche strutturali sono state completate, come detto, da un’analisi economico-finanziaria.
«Il 40% delle OP intervistate svolge principalmente attività di servizi – ha riferito Roberto Solazzo, del Crea-PB – mentre il 12% ha come attività principale quella commerciale. La redditività del capitale proprio (ROE) è risultata negativa (0,4 nel 2016), ma per le OP l’obiettivo non è massimizzare i profitti, bensì fornire ai soci beni e servizi a condizioni più favorevoli. Anche la redditività del capitale investito (ROI) ha registrato valori bassi («indebitamento interno», totale impieghi), mentre la redditività delle vendite (ROS) nel complesso è risultata positiva (0,6 nel 2016 e 0,2 nel 2017)».
«In sintesi, la ricerca ha evidenziato un’elevata variabilità dei ricavi sul territorio tra i due anni considerati, maggiore per le OP del Sud. Solo al Sud sono presenti OP con meno di 10.000 euro di fatturato, mentre al Nord e al Centro non sono presenti OP con meno di 50.000 euro di fatturato».
«Le OP olivicole, nel complesso, presentano una buona solvibilità, in quanto le entrate a breve sono sufficienti a coprire le uscite a breve (meglio Centro e Sud rispetto a Nord e Isole). Maggiori problemi si riscontrano, invece, sul fronte della solidità patrimoniale, che mette in evidenza una situazione finanziaria tendente allo squilibrio, legata, tuttavia, a caratteristiche specifiche delle OP (sottocapitalizzazione e indebitamento interno). Gli indici rivisti, per escludere i ricavi diversi da quelli derivanti dalla vendita e prestazione di servizi, evidenziano l’importanza dei ricavi provenienti dalla partecipazione ai programmi di attività triennale (attenuamento all’aumentare delle classi di ricavo), risultato di particolare importanza alla luce delle proposte di riforma della Pac».
Decisioni future più consapevoli
«La qualità e la diversificazione del prodotto italiano vanno evidenziate, ma la questione dei ricavi va risolta – ha avvertito Alessandra Gentile dell’Università di Catania – soprattutto in riferimento al costo della manodopera. Bisogna capire come ridurre questo costo, perché ci sono scarti molto ampi, tanti casi di vecchia olivicoltura ed è ora di valutare alcune varietà italiane da utilizzare in nuove forme di allevamento. Questo anche attraverso il trasferimento delle tecnologie alle OP».
«La prima innovazione nelle filiere agroalimentari è disporre di dati – ha concluso Michele Pisante dell’Università di Teramo – e il progetto Olivemap dà una fotografia che consentirà alle Regioni e al Ministero di assumere decisioni con maggiore consapevolezza. In questa fase di trasformazione le OP hanno nuovi compiti che esigono nuove competenze, per cui assume molta importanza la “servitizzazione” del prodotto olio, cioè la qualità del servizio aggiunto, che l’olio deve adesso annunciare non solo con le vecchie politiche di marketing. Oggi effettivamente grazie alle tecnologie digitali siamo in grado di portare nel prodotto le diverse olivicolture italiane, valorizzando, oltre ai parametri di qualità, anche quelle olivicolture finora misconosciute, perché non hanno la massa critica che raggiunge anche il consumatore più avveduto».
Scarica la presentazione di Maria Rosaria Pupo d'Andrea
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