Per le olive da mensa si può parlare di terroir come già si fa per l’olio extravergine di oliva e ancora di più per il vino? Per Salvatore Camposeo, docente del Dipartimento di scienze agro-ambientali e territoriali (Disaat) dell’Università di Bari, la risposta è senza alcun dubbio affermativa, come ha illustrato nel corso del webinar “La difesa fitosanitaria dell’olivo” organizzato dal Crea nell’ambito del progetto Alive.
Terroir e qualità delle olive da mensa
«Premesso che l’intera filiera, costituita da olivicoltore, conciatore e commercializzatore, è responsabile della qualità finale delle olive da mensa, è necessario precisare – ha introdotto Camposeo – che tale qualità, intesa come merceologica, sensoriale e salutistica, nasce e si forma innanzitutto in campo, con l’applicazione delle opportune tecniche colturali.
I fattori che determinano la qualità in campo delle olive da mensa sono diversi: la varietà coltivata (o cultivar), la gestione degli olivi con l’irrigazione, la concimazione e la difesa fitosanitaria, infine l’olivagione, cioè l’epoca e il metodo di raccolta delle olive. La cultivar ha una impronta genetica che influenza fortemente la qualità delle olive da mensa attraverso le loro caratteristiche merceologiche: il peso medio dell’oliva, la resa in polpa, il rapporto polpa/nocciolo».
Uno studio comparativo dell’Università di Bari
L’effetto dell’areale di coltivazione e di produzione, quindi del terroir, sulla cultivar è stato dimostrato da uno studio comparativo realizzato dal gruppo di ricerca del professor Camposeo sulla Termite di Bitetto, nota varietà pugliese di olivo da mensa.
«In Puglia l’olivicoltura da mensa è diffusa su appena 3-4 mila ettari per una produzione di 12-14 mila tonnellate, che costituisce l’1% della produzione regionale totale di olive e circa il 20% della produzione nazionale di olive da mensa. Vanta però eccellenti varietà: la Bella di Cerignola, che è prodotta soprattutto nella parte meridionale della provincia di Foggia e da 20 anni gode della Dop; la Sant’Agostino, coltivata nel nord barese per la produzione di olive per la concia in verde, e la Termite di Bitetto, coltivata con impianti tradizionali specializzati su una superficie non trascurabile e per la quale è in via di sottomissione la domanda a Dop, alla scrittura del cui disciplinare abbiamo contribuito direttamente. A queste seguono alcune cultivar minori, di più o meno recente introduzione, che completano la superficie interessata a olive da mensa. Nella domanda di registrazione della Dop “Termite di Bitetto” abbiamo dimostrato che le caratteristiche del prodotto conciato sono differenti a seconda dell’areale di coltivazione».
La Termite di Bitetto a confronto in tre areali diversi
Lo studio ha messo a confronto le caratteristiche del prodotto conciato della cultivar Termite di Bitetto coltivata in tre areali diversi: quello della Dop, che comprende Bitetto (Bari) e alcuni paesi limitrofi, quello di Andria (Bt) e quello di Castellaneta (Taranto).
«Dallo studio è emerso che nell’areale tipico di coltivazione la Termite di Bitetto ha, rispetto agli altri due, un maggiore peso medio della drupa, una minore percentuale di grassi, un contenuto percentuale di zuccheri riduttori intermedio e un contenuto in polifenoli nettamente più basso. Quindi nelle altre due aree i valori di tali caratteristiche sono diversi da quelli inseriti nel disciplinare della Dop; è come se si parlasse di varietà di olive da mensa differenti».
Questi dati hanno spinto il gruppo di lavoro del professor Camposeo ad approfondire il legame fra olive da mensa e terroir con studi ancora in corso che stanno cominciando a dimostrare l’effetto del suolo sulla cultivar.
«Ad esempio terreni a scheletro prevalente riducono la pezzatura, anticipano la maturazione e aumentano i polifenoli. Inoltre, suoli con deficienze di potassio determinano la riduzione della pezzatura, con deficienze di boro e magnesio provocano malformazioni, con molto calcare causano la riduzione della pezzatura e la formazione dell’epicarpo clorotico. Abbiamo anche verificato l’effetto geografico sulla cultivar: come è già noto dalla bibliografia, andando da sud verso nord e dal mare verso la collina aumentano l’acido oleico e i polifenoli e si riduce la pezzatura».
L’andamento climatico: temperatura e umidità
L’attenzione poi, ha riferito Camposeo, è stata puntata sull’andamento climatico, in particolare sulla temperatura e sull’umidità. «Se l’andamento termometrico si discosta da quello ideale per la cultivar, può causare problemi: temperature molto basse (-3 °C) determinano la rottura dei tessuti del frutto, invece temperature alte aumentano i difetti dell’epicarpo e la sovramaturazione e riducono la pezzatura.
Ma è l’andamento dell’umidità dell’aria che è fondamentale, poiché condiziona la popolazione microbica epifita, presente sulla superficie delle olive, costituita da lieviti, funghi e batteri; in particolare dai batteri lattici, responsabili della successiva fermentazione delle olive da mensa e la cui composizione è specifica di ciascuna cultivar. Ebbene, è stato dimostrato che, a seconda del contenuto in pruina e altri essudati del frutto, cambia la composizione microbica; in areali diversi, sulla stessa cultivar, se cambia l’andamento climatico, soprattutto pluviometrico e igrometrico, cambia la composizione in batteri lattici e lieviti».
La gestione colturale e l’olivagione
La composizione microbica varia anche in funzione sia della gestione colturale, ad esempio dei turni e volumi irrigui o della forma di allevamento, che modifica l’arieggiamento e l’illuminazione della chioma e dei frutti, sia della olivagione.
«L’andamento climatico e la gestione in campo modificano direttamente la composizione microbica delle olive, prima che le olive arrivino in concia. Evidenzio, altresì, che l’andamento termo-pluviometrico modifica ogni anno anche lo sviluppo delle infestazioni della mosca delle olive e quindi gli attacchi del fitofago alle drupe. Sulla composizione microbica incide fortemente anche il sistema colturale adottato: tradizionale come per la Termite di Bitetto, intensivo come per la Bella di Cerignola, e superintensivo, perché anche per l’olivo da mensa è possibile fare ricorso a tale sistema colturale. Infatti, a breve sarà brevettata dall’Università di Bari, una cultivar per olive da mensa a bassa vigoria adatta per gli impianti superintensivi, i cui frutti potranno essere raccolti sia a mano sia meccanicamente. Infine, anche l’epoca e la modalità di raccolta, manuale o meccanica, modificano la composizione microbica delle olive. In sostanza tutta la gestione agronomica è responsabile del risultato finale, per cui l’olivo da mensa non può non essere considerato un vero e proprio albero da frutto e come tale deve essere trattato».
Terroir determina qualità industriale delle olive da mensa
Pertanto, ha concluso Camposeo, quando le olive da mensa arrivano nell’industria di lavorazione, portano con loro lo specifico patrimonio microbico che deriva dal terroir, cioè dalla cultivar, dal suolo, dall’andamento climatico, dalle tecniche colturali adottate e dall’olivagione.
«Quindi il terroir determina la qualità della successiva lavorazione industriale del prodotto raccolto in campo. Il tecnologo alimentare dovrà tenere conto del particolare patrimonio batterico che gli arriva e dovrà gestire la successiva fermentazione perché una determinata cultivar ha prodotto nello specifico areale quelle olive e non altre, con un preciso patrimonio microbico, al pari di quanto avviene con le bacche dell’uva da vino!».