Una corretta difesa fitosanitaria è il punto di partenza per la tutela e la conservazione dell’olivicoltura tradizionale ad alta densità (cioè costituita da oliveti di età variabile da alcune decine di anni a qualche secolo, ma realizzati con sesti regolari e spesso rinfittiti, tali da portare a una densità di impianto di oltre 200 piante/ha) che anima la pianura che si stende da Bari fino ad Andria e oltre. Corretta difesa dell’olivo significa, oggi, innanzitutto agire per contrastare l’avanzata del batterio Xylella fastidiosa e impedire che arrivi nel cuore dell’olivicoltura pugliese e successivamente dilagare in tutta la Puglia e persino nelle vicine regioni olivicole. Ma, oltre a tenere lontano il micidiale batterio, significa anche informare sui cambiamenti intervenuti (e spesso ignorati) nella vita di alcune sostanze attive insetticide, come clorpirifos etile e imidacloprid, prima registrate sull’olivo ma da qualche tempo revocate e quindi non più utilizzabili. Sono state queste le indicazioni operative emerse dalla tavola rotonda “Olivicoltura tradizionale ad alta densità, un patrimonio da preservare e valorizzare” organizzata a Nova Agricoltura in Oliveto.
Xylella a nord di Bari?
Discutere in termini propositivi di Xylella in un territorio, a nord-ovest di Bari, compreso nella zona indenne (area priva di piante infette dal batterio, che quindi è assente), ma lontano dal focolaio più prossimo (l’olivo accertato infetto tra Monopoli e Castellana Grotte) circa 70 chilometri in linea d’aria, non è vano.
«Ha un senso, anche molto rilevante, – ha affermato Enza Dongiovanni, ricercatrice del Centro di ricerca, sperimentazione e formazione in agricoltura (Crsfa) “Basile Caramia” di Locorotondo (Ba) – per più ragioni, fra esse intrecciate.
In primo luogo, l’epidemia causata da Xylella avanza a una velocità di 20 km all’anno, tanto che nel giro di sei anni, dalla scoperta del primo focolaio a Gallipoli nell’ottobre del 2013, ha percorso circa 120 km, estendendosi, oltre che all’intero territorio leccese, alle province di Brindisi e Taranto, fino a raggiungere la zona meridionale del Barese. Se manterrà questo passo, potrebbe teoricamente arrivare a Corato e dintorni fra tre-quattro anni, ma nulla esclude tempi più rapidi, dato che il più importante vettore del batterio, la sputacchina media (Philaenus spumarius), può essere inconsapevolmente trasportato da persone e mezzi meccanici provenienti dalla zona infetta».
In secondo luogo perché anche per la zona indenne valgono le misure di contenimento. «Obbligatorie come: il monitoraggio; l’eliminazione delle piante ospiti che possono risultare infette a seguito delle attività di monitoraggio promosse dal Servizio fitosanitario regionale; l’eliminazione delle piante ospiti, pur non infette, presenti nei 100 metri intorno alle piante infette. Raccomandate come: il controllo delle forme giovanili del vettore mediante la gestione del suolo e delle erbe infestanti con le lavorazioni del terreno, la trinciatura delle malerbe, il diserbo chimico o il pirodiserbo; il controllo degli adulti del vettore con due trattamenti insetticidi da eseguirsi da maggio a giugno, sulla base di specifiche indicazioni che saranno fornite dal Servizio fitosanitario; la potatura ordinaria e l’eliminazione annuale dei polloni».
Il batterio insediato in Puglia, diverso da tutti gli altri trovati in Europa, è Xylella fastidiosa subspecie pauca genotipo ST53, ospitato da ben 34 specie di piante fra cui olivo, ciliegio, mandorlo, alloro, oltre a numerose piante arbustive tipiche della macchia mediterranea (mirto, cisto, rosmarino, ginestra, fillirea) e ornamentali (oleandro, poligala, geranio, lavanda) e qualche specie erbacea infestante (chenopodio, conyza, ecc.).
L’unico mezzo di lotta è quello al vettore della xylella
«Benché siano stati sperimentati numerosi prodotti e metodi per la lotta contro il batterio, al momento – ha chiarito Dongiovanni – non è stato ancora individuato e ufficialmente registrato, né in Italia né altrove nel mondo, alcun metodo/prodotto per curare le piante infette da Xylella fastidiosa. Perciò gli unici mezzi attualmente a disposizione per rallentarne l’avanzata e limitarne la diffusione sono il controllo dei vettori e l’eliminazione delle piante infette.
Il Crsfa è stato incaricato dalla Regione Puglia di monitorare, in 40 campi ubicati nelle zone demarcate e nella zona indenne, la presenza dei tre vettori del batterio finora accertati (P. spumarius, Philaenus italosignus, Neophilaenus campestris), effettuando rilievi sulle loro fasi di sviluppo/ciclo biologico, e di valutare l’efficacia di strategie di controllo che saranno adottate dalle aziende selezionate».
Tale monitoraggio è molto importante: ad esempio studi recenti hanno evidenziato che la maggiore efficacia della lotta al vettore con gli interventi meccanici di aratura superficiale o trinciatura si ha in corrispondenza del III e IV stadio delle forme giovanili, perché a questi stadi quasi tutte le uova sono schiuse e potenzialmente aggredibili.
«Pertanto, anche se la lotta al vettore con mezzi meccanici è obbligatoria nel periodo dal 1° marzo al 30 aprile di ogni anno, è fondamentale effettuare l’intervento meccanico soprattutto in corrispondenza di tali stadi, in modo da colpire l’intera popolazione giovanile. Gli interventi precoci potrebbero risultare parzialmente inefficaci, soprattutto in annate particolarmente piovose, quando le infestanti riemergono permettendo il completamento del ciclo delle ninfe più tardive della sputacchina. Interventi tardivi, perché collegati alle indicazioni mensili ma non alle fasi biologiche dell’insetto, possono invece rivelarsi gravemente insufficienti perché molti individui possono essere già sfarfallati».
Le sostanze attive revocate
Difesa fitosanitaria dell’olivicoltura tradizionale ad alta densità non significa solo contenimento della diffusione del batterio Xylella. Anche altri pericoli minacciano la sanità degli oliveti tradizionali intensivi, ma non sempre, ha sostenuto Antonio Guario, agronomo fitoiatra, gli olivicoltori sono pienamente consapevoli di quali siano gli effettivi strumenti disponibili e rischiano a volte di utilizzarne alcuni vietati.
È il caso, ad esempio, di due sostanze attive, il clorpirifos etile e l’imidacloprid, che prime erano registrate sull’olivo, ma poi sono state revocate, sicché il loro utilizzo ora è vietato.
«Da circa dieci anni in diverse partite di olio extravergine di oliva, in Puglia e altrove, a seguito di segnalazioni e contestazioni di produttori e commercianti, è stata riscontrata presenza di residui di clorpirifos etile, sostanza attiva revocata dal 12 giugno 2012 per decisione del Ministero della Salute, poiché è molto liposolubile, cioè capace di legarsi fortemente ai grassi, per cui, seppur presente in piccola quantità, viene facilmente rintracciata: a differenza di altre sostanze attive idrosolubili, non viene allontanata con la frazione acquosa durante l’estrazione dell’olio».
Dalle indagini a suo tempo avviate dal Servizio fitosanitario della Regione Puglia, furono individuati i punti critici relativi all’uso di tale sostanza attiva: la presenza di deriva per l’impiego su oliveti e/o su altre colture limitrofe (vigneti e fruttiferi); il suo diffuso utilizzo nel periodo di inoliazione delle olive; l’inquinamento durante le fasi di trasformazione delle olive, per la promiscuità nella lavorazione presso i frantoi di partite trattate e non trattate, con riscontro della sostanza attiva sull’intera produzione di olio.
«Sulla base di tali criticità e delle difficoltà produttive e commerciali, che in alcuni territori a forte vocazione olivicola avevano assunto aspetti sociali, il Servizio fitosanitario – ha ricordato Guario – varò un programma basato su tre punti: la conferma della revoca dell’impiego sull’olivo del clorpirifos etile già stabilita dal Ministero della Salute e, quindi, il divieto assoluto del suo utilizzo sull’olivo in qualsiasi momento dell’anno; la limitazione, nelle norme di difesa eco-sostenibile regionali, dell’impiego della sostanza attiva per un massimo di un intervento all’anno sulle altre colture su cui essa è registrata; il divieto, nelle stesse norme, di utilizzarla dopo il 30 giugno per qualsiasi coltura al fine di evitarne l’uso in periodi di inoliazione delle drupe».
Clorpirifos, il problema dei residui
Inoltre il Servizio fitosanitario suggeriva di mettere in atto sistemi di controllo, da parte dei soggetti coinvolti nella filiera, per verificare: usi impropri del clorpirifos etile durante i trattamenti fitosanitari delle colture; la vendita presso le fitofarmacie oltre il 30 giugno e il suo utilizzo in campo oltre tale data; la presenza di residui nelle fasi di ingresso delle olive nei frantoi per evitare l’inquinamento di oli sani.
«È un fatto, tuttavia, – ha evidenziato Guario – che, malgrado tali divieti e raccomandazioni, il problema dei residui del clorpirifos etile in diverse partite di olio è presente ancora oggi. Si tratta di un problema veramente serio, poiché la sgradita presenza di tali residui sta determinando complessi problemi nella commercializzazione dell’olio extravergine, sia sui mercati nazionali sia, in particolare, su quelli internazionali, minando seriamente gli sforzi che da decenni compiono onesti e seri operatori di una tra le più importanti filiere agroalimentari. Infatti diversi territori olivicoli, già in difficoltà per ragioni commerciali, hanno visto il loro principale prodotto agricolo messo ulteriormente in discussione nelle vendite. Il problema ha determinato maggiori danni nelle produzioni di qualità che rispettano il disciplinare regionale di produzione integrata e nelle produzioni di olio biologico, in quanto in esse non è assolutamente consentita la presenza anche minima di residui di agrofarmaci non ammessi».
Sono comunque in atto, da parte delle organizzazioni olivicole, a livello nazionale e locale, attività di informazione sul corretto uso del clorpirifos etile e sulle possibili alternative meno impattanti per il controllo dei fitofagi su altre colture per le quali è ancora registrato.
«Le organizzazioni olivicole nazionali hanno chiesto ai propri associati maggiore attenzione nel suo utilizzo per evitare conseguenze commerciali. In particolare hanno evidenziato che l’impiego maggiore del clorpirifos etile viene fatto sulla vite per il controllo della tignoletta (Lobesia botrana), ma che tale utilizzo non ha alcuna giustificazione tecnico-scientifica in quanto l’etichetta riporta che può essere impiegato fino alla fioritura, non dopo, mentre la tignoletta della vite si contrasta quando gli acini sono già ben formati!»
L’imidacloprid non è più utilizzabile contro la mosca delle olive
Altro principio attivo da poco tempo non più utilizzabile contro la mosca delle olive, ha informato Guario, è l’imidacloprid, neonicotinoide il cui impiego è stato vietato su tutte le colture arboree, olivo compreso.
«Come è noto, l’Unione europea ha vietato, da aprile 2018, l’utilizzo di tre insetticidi neonicotinoidi, imidacloprid, clothianidin e tiamethoxam, limitandone l’utilizzo solo all’interno delle serre permanenti, poiché sono considerati responsabili della moria delle api, indispensabili, come tutti gli insetti impollinatori, per garantire la biodiversità e l’equilibrio dell’ecosistema di cui fanno parte gli esseri umani. Tale divieto interessa perché l’imidacloprid prima era utilizzabile contro la mosca delle olive, ma da un anno non più».
Leggi l’articolo pubblicato su Olivo e Olio n. 3/2019
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