Prima di approfondire gli aspetti tecnici e pratici relativi all’utilizzo di sanse olearie per la produzione di biogas è importante precisare che a livello normativo tali matrici vengono classificate come sottoprodotti (non rifiuti) soddisfacendo i requisiti precisati negli articoli 183 184 del Dlgs. 152/2006.
Quindi, nel caso in cui gli impianti di biogas siano autorizzati a utilizzare sottoprodotti agroindustriali è burocraticamente possibile un rapporto diretto di reciproco interesse tra i frantoiani e i gestori dei fermentatori, i primi interessati a realizzare un ricavo dal sottoprodotto e i secondi alla ricerca di alimenti economici alternativi alle colture dedicate.
Un impianto di biogas da 999kW nella pratica può utilizzare da 1 a 10 t/gg di sansa, a seconda delle caratteristiche di essa e degli altri prodotti utilizzati nell’alimentazione.
Tre tipi di sansa
Dal punto di vista tecnico ed economico tale opportunità va attentamente valutata caso per caso in base alle caratteristiche della sansa olearia in questione, poiché esse variano in funzione della tipologia di oleificio. La principale distinzione è quella tra frantoi a ciclo discontinuo e quelli a ciclo continuo: i primi utilizzano per la frangitura delle olive le tradizionale ruote di pietra dette molazze (a volte utilizzate anche nel ciclo continuo) e l’estrazione viene affidata alla spremitura meccanica mediante presse idrauliche; i secondi sono invece caratterizzati da frangitori e decanter in linea.
A loro volta gli oleifici a ciclo continuo posso essere distinti in impianti a tre fasi oppure a due fasi: nel primo caso vi è un decanter a tre uscite (olio, acqua, sanse), nel secondo caso invece solo due (olio, sanse umide). Come anticipato ognuna di queste tre macrocategorie di frantoi genera una diversa tipologia di sansa. L’oleificio a ciclo discontinuo genera una sansa solida avente un’umidità variabile tra il 20 e il 30%.
I frantoi a ciclo continuo invece generano una sansa avente un maggior contenuto di acqua: nel caso degli impianti a tre fasi di circa il 50-60%, mentre nel caso delle due fasi si arriva al 7080%, poiché sia la sansa che l’acqua confluiscono in un unico sottoprodotto. Nella pratica è possibile trovare frantoi a ciclo continuo con soluzioni speciali che prevedono separatori terminali per concentrare la sansa.
Un’altra importante distinzione che riguarda tutte le tre macrocategorie citate è quella tra sansa denocciolata e non denocciolata, a seconda che vengano separati o meno i frammenti di nocciolo delle olive. A questo proposito va detto che la presenza di nocciolino nella sansa rappresenta una tara sgradita per gli impianti di biogas, poiché tale frazione di lignina non comporta nessun apporto metanigeno (la lignina non viene digerita nell’ambiente e nei tempi tipici di un fermentatore) e può causare problemi di sedimentazione nelle vasche e meccanici agli organi di movimentazione. Per questi motivi l’interesse dei gestori degli impianti di biogas è generalmente quello di reperire sansa denocciolata.
È il diverso contenuto di acqua che caratterizza le tre principali tipologie di sanse olearie a influenzare il potenziale metanigeno (Bmp, Biochemical methane potential) di ciascuna. Nella tabella sono riportati i valori indicativi di Bmp ottenuti tramite test di biometanazione in laboratorio; si tratta di dati approssimativi, per la cui valutazione occorre tenere conto delle successive considerazioni, ma allo stesso tempo rappresentano un razionale orientamento del valore di questi sottoprodotti. È facilmente intuibile che più la sansa è concentrata più il potere metanigeno è alto.
Interpretazione dei valori
Come anticipato i valori di Bmp vanno interpretati. Va innanzitutto precisato che il potere metanigeno è un parametro che dipende non solo dalla matrice stessa, ma anche dall’inoculo ossia dalla biodiversità dell’ecosistema batterico all’interno del digestore. Inoltre la qualità di ogni processo di fermentazione deve essere valutata non solo in base alla resa di metano, ma anche considerando il comportamento reologico del digerente ossia il comportamento fisico della miscela in termini di viscosità, tendenza a formare cappello o sedimento, fenomeni di gelificazione, formazione di schiuma e variazioni del coefficiente di scambio termico.
Un altro aspetto fondamentale per valutare l’interesse di una matrice per l’utilizzo nei digestori è il tempo di rilascio del metano correlato alla velocità di digestione. Infatti per un sottoprodotto grasso come la sansa olearia, il potenziale metanigeno si riferisce a un tempo di digestione relativamente lungo a causa della più difficile digestione che un elemento grasso necessita rispetto a uno zuccherino. In altre parole, i valori di Bmp rappresentano un’indicazione corretta solo se il tempo di digestione delle matrici in questione è uguale o minore ai tempi di ritenzione di un impianto di biogas; in caso contrario i valori di Bmp rappresentano un valore sovrastimato rispetto alle rese pratiche.
Indicativamente le matrici grasse per essere completamente digerite necessitano di permanere nell’ambiente tipico di un fermentatore dai 45 ai 60 giorni.
La curva cumulata di produzione di metano della sansa che descrive l’andamento del rilascio in funzione del tempo si caratterizza per una fase di stasi intorno al terzo e quarto giorno, seguita poi da una ripresa. Tale anomalia rispetto alle consuete curve cumulate di produzione di metano tipiche degli insilati spesso viene interpretata come l’effetto dell’azione inibitoria (battericida) dei polifenoli contenuti nei sottoprodotti oleari.
In realtà la spiegazione di tale andamento è di natura fisica; nelle primissime fasi della digestione dei grassi si viene a creare un’emulsione e parziale saponificazione che porta alla formazione di schiuma che intrappola il biogas nelle bolle più o meno persistenti.
È possibile concludere affermando che la sansa olearia è un sottoprodotto potenzialmente interessante per gli impianti di biogas, ma il suo utilizzo va pianificato caso per caso valutando con attenzione tutti gli aspetti descritti.
Allegati
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