Nel superintensivo la varietà fa la differenza

oliveto superintensivo
L’Università di Bari è alla ricerca di genotipi autoctoni adatti all’olivicoltura superintensiva, areale per areale, in grado di rispondere positivamente alla potatura meccanica. Il confronto con alcune cultivar estere

Nel 2001 l’Università di Bari ha intrapreso con decisione lo studio dell’olivicoltura superintensiva e ha collezionato dieci giornate dimostrative di raccolta in continuo delle olive e tre di potatura meccanica. In tutti questi anni di sperimentazione è emerso sempre più chiaramente che la questione varietale rimane il punto cruciale per la sostenibilità agronomica, economica e ambientale di questo innovativo sistema colturale.

L’oliveto superintensivo è caratterizzato da due elementi fondamentali inseparabili: il filare continuo e la ridotta dimensione degli alberi. Solo entrambi, infatti, permettono l’efficiente raccolta meccanica in continuo con scavallatrice, di 2 ore per ettaro con due soli operai. Le altissime densità di impianto, superiori a 1.200 alberi per ettaro, sono una caratteristica conseguente le prime due.

La potatura è essenziale per la gestione dell’intero sistema colturale superintensivo: infatti in tale olivicoltura, la potatura ha il compito fondamentale di:

  1. formare rapidamente il filare continuo,
  2. mantenerlo il più agevolmente possibile nei limiti dimensionali massimi imposti dalla macchina raccoglitrice utilizzata, generalmente 3 m in altezza e 2 m di larghezza,
  3. garantirne la stabilità produttiva il più a lungo possibile, con almeno 8-10 t di olive per ettaro e per almeno 15 anni.

Le problematiche legate alla meccanizzazione della potatura di produzione dell’oliveto superintensivo sono generate dalla necessità di soddisfare queste due esigenze conflittuali: restringere le dimensioni trasversali della chioma (altezza e larghezza) entro i limiti spaziali compatibili con le dimensioni del tunnel di raccolta e contemporaneamente conservare le branchette produttive, che invece ordinariamente sono quelle più esterne.

La risposta varietale alla potatura

La risposta varietale alla potatura, quindi, è il vero argomento cruciale, anche perché, una volta introdotta la raccoglitrice in continuo, la potatura diventa l’operazione colturale più dispendiosa, potendo assorbire da sola anche la metà dei costi totali di produzione. Conseguenza: le varietà di olivo adatte ad essere coltivate secondo il sistema colturale superintensivo devono possedere precisi requisiti, vegetativi e produttivi.

Quali? Accrescimento della chioma molto contenuto, precoce, buona e costante produttività. In generale, questi requisiti sono tipici delle varietà a medio-bassa vigoria, che purtroppo sembrano non abbondare nel panorama elaiografico italiano, almeno delle cultivar più note e diffuse finora studiate.

Il Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali e Territoriali dell’Università di Bari Aldo Moro ha messo a dimora nel 2006 presso il Centro Didattico Sperimentale “Martucci”, in agro di Valenzano (Ba), un oliveto sperimentale ad alta densità (1.670 alberi per ettaro) con 15 differenti varietà: 12 italiane e 3 estere, 2 spagnole ed 1 greca. In questo oliveto si sono svolte le ultime otto giornate dimostrative di raccolta meccanica, dal 2008 al 2015 (vedi l’ultima giornata in campo nell’articolo di seguito di G.F. Sportelli). L’obiettivo principale di questa sperimentazione pluriennale, ancora in corso, è quello di individuare varietà italiane adatte alla coltivazione in oliveti superintensivi.

La risposta delle cultivar estere

Dopo dieci anni di osservazioni, le cultivar estere sulle quali è stato calibrato finora il sistema, Arbequina, Arbosana e Koroneiki, hanno confermato la loro piena adattabilità al modello sia per parametri vegetativi e, soprattutto, produttivi (...)

L’articolo completo è disponibile su richiesta presso la redazione di Olivo e Olio

Nel superintensivo la varietà fa la differenza - Ultima modifica: 2016-01-28T16:03:00+01:00 da Lucia Berti

2 Commenti

    • Gentile lettore,
      si parla genericamente di una durata di 15 anni per tali tipi di impianto (superintensivi o SHD), con una longevità maggiore per quelle cultivar che si adattano particolarmente bene a questo sistema di impianto.
      Per il caso specifico della Coratina, le valutazioni a lungo termine sono tuttora in corso all’Università di Bari. Non è pertanto possibile dare un’indicazione sulla durata dell’impianto; tuttavia la sperimentazione ha, sulla base di risultati agronomici e produttivi finora valutati, classificato la Coratina come varietà non del tutto idonea al superintensivo a causa della sua vigoria media.
      Nell’articolo, di cui trova un estratto al seguente link ( https://olivoeolio.edagricole.it/ricerca-scientifica/superintensivo-le-cultivar-piu-adatte/ ), che si riferisce alla sperimentazione sul SHD in Puglia, sono riportate alcune considerazioni aggiuntive sulla valutazione agronomica delle varietà italiane tra cui anche Coratina.
      Coratina è entrata in produzione al terzo anno, e, al 2017, la produzione cumulata del primo decennio produttivo ammontava a 40 t/ha, a fronte delle 70 circa osservate nelle varietà spagnole di riferimento, e un indice di alternanza piuttosto elevato.

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