I depositi di olio di oliva devono essere assoggettati ai controlli e agli adempimenti di prevenzione incendi previsti ai sensi del punto 12 dell’allegato I del Dpr. n. 151/2011, come qualsiasi altro deposito di liquidi combustibili. La conferma ufficiale, che toglie quindi ogni dubbio interpretativo, è venuta attraverso la risposta del ministero dell’interno ad una specifica interrogazione dell’Onorevole Massimiliano Bernini del Movimento 5 Stelle in merito alle misure antincendio.
Bernini chiedeva, in particolare, di conoscere se siano previste iniziative per l’emanazione di specifiche regole tecniche per le misure antincendio negli impianti di stoccaggio degli olii di origine vegetale che tengano conto del loro ridotto rischio antincendio.
La risposta del ministero dell’Interno in Commissione agricoltura è stata fornita dal Sottosegretario Gianpiero Bocci che ha confermato che nessuna deroga in materia di prevenzione incendi può essere prevista per i depositi di olii vegetali.
La risposta ha lasciato formalmente soddisfatto l’Onorevole interrogante in quanto è stata fatta chiarezza sull’argomento senza dare più adito a dubbi interpretativi e attese inutili sull’emanazione di provvedimenti di deroga ed esclusione dei depositi di olio, ma lo ha lasciato deluso sotto il profilo operativo in quanto i frantoi, soprattutto di piccole dimensioni, vengono così caricati di ulteriori e gravosi oneri che accrescono i costi di produzione.
Scatta l’obbligo sopra ad 1 metro cubo
Secondo il Ministero, infatti, il vigente quadro normativo sulle misure antincendio vede i depositi e le rivendite di liquidi combustibili, di qualsiasi derivazione e di capacità geometrica complessiva superiore a 1 metro cubo, assoggettati ai controlli e agli adempimenti di prevenzione incendi previsti ai sensi Dpr. succitato.
In pratica, sulla certificazione per la prevenzione incendi degli impianti di stoccaggio dell’olio di oliva, i frantoiani devono comportarsi come se stessero conservando una sostanza di origine petrolifera, nonostante le differenti caratteristiche chimico-fisiche, il diverso punto di combustione e la diversa tipologia di rischio incendio.
Infatti, la norma si riferisce esattamente ai Depositi e/o rivendite di liquidi infiammabili e/o combustibili e/o oli lubrificanti, diatermici, di qualsiasi derivazione, di capacità geometrica complessiva superiore a 1 mc.
Ebbene, secondo la regolamentazione comunitaria, si può affermare che l’olio di oliva per le proprie caratteristiche fisicochimiche non rientra in nessuna delle classificazioni precedenti, ma può essere annoverato tra i “combustibili”, ovvero nelle sostanze che, ossidate in un processo di combustione, sprigionano energia termica e il suo basso rischio è confermato dal fatto che la stessa regolamentazione comunitaria afferma che l’olio d’oliva è un prodotto non esplosivo.
Una corsa ai ripari
Sulla questione, il Collegato agricoltura sta tentando di mettere una toppa prevedendo attraverso un emendamento l’elevazione del limite legislativo di 1 metro cubo a 6 metri cubi di capacità della soglia di assoggettamento dei depositi di olio di oliva agli obblighi di prevenzione incendi, al pari di quanto già previsto per i depositi di prodotti petroliferi.
La proposta peraltro è sostenuta dal Governo ed è stato lo stesso sottosegretario Bocci a confermarlo in quanto si tratta di una misura che consente di realizzare un equo contemperamento tra l’esigenza prioritaria di mantenere un elevato standard di tutela della pubblica incolumità e l’obiettivo perseguito dai frantoiani di ridurre gli oneri burocratici e finanziari a loro carico.
Un passo avveduto, quindi, nella direzione auspicata dal M5S e dalle stesse associazioni di categoria. Ma che, a conti fatti, non agevola concretamente un percorso di sburocratizzazione del comparto, dove l’olio di oliva continua ad essere equiparato a tutti gli effetti ai prodotti petroliferi.