Gli oliveti intensivi a parete adatti alla raccolta meccanica in continuo sono una realtà relativamente recente per l’olivicoltura: se si considera che la loro comparsa risale a circa 25 anni fa il sistema si è dimostrato in continua evoluzione, con perfezionamenti e innovazioni che a più riprese hanno riguardato l’intera impostazione del sistema colturale.
Attualmente gli oliveti a parete si stanno sviluppando principalmente in funzione di due tipologie di macchine di raccolta: le vendemmiatrici-scavallatrici e le raccoglitrici laterali. Entrambe operano in continuo ma le differenze fra i due sistemi risultano sostanziali.
Le vendemmiatrici sono macchine molto efficienti e veloci che richiedono un solo operatore nell’esecuzione della raccolta; per contro necessitano di impianti perfettamente predisposti, con pareti produttive di dimensioni molto contenute (chioma compresa tra 0,6 e 1 m di larghezza e 2 e 2,7 m di altezza). Ad oggi possono essere realizzati solo con pochissime cultivar dotate di bassa vigoria.
Diversamente, le raccoglitrici laterali necessitano di almeno tre operatori, ma possono lavorare su pareti più ampie, fino a circa 5 m di altezza; inoltre richiedono potature meno costrittive e soprattutto consentono l’impiego di tutte le cv tradizionali, anche quelle più vigorose.
Allevamento dell’olivo, dalla palmetta alla parete
Di fatto, negli ultimi decenni stiamo assistendo al concretizzarsi di quanto ipotizzato già 50 anni fa, quando alla fine della mezzadria anche per l’olivo furono proposte soluzioni che si ispiravano alla frutticoltura. Tra queste la più innovativa sembrava appunto l’allevamento a palmetta, un sistema che avrebbe permesso di meccanizzare l’olivicoltura rendendola moderna e razionale. Il sistema però non si dimostrò all’altezza delle aspettative, poiché l’impostazione “rigida” della palmetta e l’impiego di cv perlopiù vigorose non diede i risultati sperati, tanto che finì per essere abbandonato.
Il recente successo del sistema intensivo a parete sfrutta invece la capacità della pianta di adattarsi più o meno liberamente allo spazio assegnatole attraverso il controllo periodico esercitato dalla potatura. L’entità di potatura e la predisposizione della cv al sistema intensivo (vigoria, habitus di fruttificazione) risultano pertanto essere gli elementi chiave per il successo di questo sistema, e fanno intravedere soluzioni d’impianto molto diversificate tra di loro, che possono oscillare dalle circa 800 fino a 3.000 piante/ha.
In ogni caso, si tratta di nuovi modelli olivicoli che richiedono attenzioni colturali ben maggiori rispetto alle tradizionali forme di allevamento espanse come quelle a vaso, nelle quali invece è possibile procrastinare la potatura anche in turni biennali o più.
Le recenti sperimentazioni, dall’intensivo alla parete
Per quanto riguarda gli impianti intensivi in Toscana sono da ricordare alcune esperienze effettuate nel passato che hanno permesso d’iniziare a comprendere potenzialità, e limiti, del sistema intensivo basato su cv autoctone.
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Tra queste l’esperienza condotta dall’Azienda Muricce nel Valdarno, dove già nel 1995 fu realizzato il primo oliveto intensivo con 1.000 piante/ ha. L’oliveto venne raccolto in seguito con una vendemmiatrice trainata e quell’episodio fu considerato un successo, di fatto costituì un primo test utile per verificare l’adattabilità di alcune cv toscane alla coltivazione intensiva. In quelle prove vennero utilizzate una decina di varietà, tra queste si distinsero per adattabilità al sistema le cv Maurino e Leccio del Corno.
Successivamente, altre prove furono condotte nella Toscana interna; più precisamente nel senese, dove presso l’Azienda Giganti vennero testate ulteriori cv toscane. In quell’occasione furono anche messi a confronto sesti e forme di allevamento differenti, tra cui l’allevamento ad asse centrale ed ipsilon. In questi impianti, che avevano l’obiettivo della raccolta con vendemmiatrice, apparve chiaro fin da subito che per assecondare la vigoria delle cv toscane si sarebbe dovuto optare per distanze più ampie sulla fila rispetto a quelle comunemente adottate nel sistema super-intensivo. Come pure fosse necessario contenere l’altezza delle piante attraverso potature mirate, in modo da facilitare la distensione della chioma lungo l’asse del filare.
La scelta da parte degli imprenditori di realizzare oliveti intensivi con cv autoctone è dettata principalmente dalla volontà di mantenere un’identità territoriale del prodotto, anche a costo di ottenere produzioni minori rispetto all’impiego di cv internazionali più produttive e meglio adattabili a questo sistema. Proprio seguendo queste esigenze oggi si continuano a valutare i modelli intensivi e si verifica l’adattabilità di sistemi come quello in parete al territorio e al germoplasma autoctono.
Accortezze all’impianto
Per realizzare gli impianti in parete si possono utilizzare olivi giovani, quali talee radicate di un anno di 40-60 cm di altezza. L’impiego di questo materiale vivaistico di taglia più piccola, oltre a consentire un risparmio economico (in genere si utilizzano piante di 17-24 mesi per gli oliveti tradizionali), permette di velocizzare la formazione della struttura definitiva della pianta già in 2-3 anni. Generalmente, in termini di risultati di crescita nelle piantagioni effettuate in primavera e con disponibilità di fertirrigazione, le piante anche se piccole riescono a raggiungere già a fine autunno altezze medie di 160-180 cm.
È importante che durante il periodo vegetativo, soprattutto dei primi anni, sia posta attenzione nei confronti di eventuali parassiti quali tignola, margaronia e oziorrinco, i quali in poche settimane possono provocare defogliazioni gravi e anche compromettere la crescita degli apici.
Potatura di allevamento
Complessivamente, in questi impianti, le operazioni nel primo anno di sviluppo sono modeste, ovvero si limitano ad accompagnare la crescita della pianta con legature al tutore per formare il futuro asse centrale nella corretta posizione verticale, e al controllo delle erbe infestanti nel sotto-fila. Saltuariamente, se necessario, si interviene con potature durante la stagione vegetativa per eliminare dicotomie o rami vigorosi e troppo sviluppati in direzione ortogonale rispetto al filare.
In queste operazioni, già al primo anno, sono apparse evidenti le diversità di comportamento tra le cultivar, sia per quanto riguarda lo sviluppo complessivo della pianta sia per la formazione dei rami anticipati. Nelle cultivar più vigorose come il Frantoio, Leccino, Correggiolo, lo sviluppo dei rami anticipati è stato generalmente modesto e le piante hanno assunto un portamento espanso lasciando la fascia della parete piuttosto rada e sguarnita. Questa tendenza si è dimostrata ancora più accentuata nel Moraiolo, il quale seppur meno vigoroso del Frantoio ha mostrato un portamento assurgente ancora più marcato. Tali caratteristiche sono apparse via via sempre più evidenti negli anni successivi di crescita, quando a seguito dei primi interventi importanti di potatura, le piante hanno finito per generare numerosi succhioni e rami vigorosi, vanificando così i tentativi di contenimento ad opera della potatura stessa. Anche i tentativi di correggere la verticalità delle branche principali con tagli di ritorno hanno sortito il medesimo effetto.
Diversamente nelle altre cv quali il Maurino, il Rossellino Cerretano, ed anche lo stesso Leccio del Corno (che pure è ritenuto una cv vigorosa) hanno manifestato un portamento più incline alla forma di allevamento a parete ad asse centrale.
Soluzioni per cultivar più vigorose
La forma di allevamento a ipsilon è stata impiegata per tentare di adattare anche le cultivar più vigorose alla forma di allevamento a parete. Per lasciare più spazio alle singole piante sono stati adottati sesti di 2,4 m sulle file, invece di 1,6 m distanza comunemente utilizzata nel sistema superintensivo.
Per la realizzazione delle due branche che costituiscono la struttura dell’ipsilon, all’inizio del secondo anno di crescita si è provveduto ad accorciare l’asse centrale della pianta, in modo da lasciare solo i due rami basali prescelti; con una modalità simile a quanto avviene nel vaso ritardato. Le branche sono state poi fatte sviluppare lungo la direzione del filare ed inclinate di circa 45° rispetto all’asse centrale. Di frequente si sono resi necessari tagli di ritorno per riportare le branche alla corretta inclinazione. In generale comunque durante la potatura di formazione, si è cercato di evitare tagli troppo drastici, preferendo piccoli interventi distribuiti anche durante la stagione vegetativa, così da eliminare precocemente rami e succhioni che avrebbero preso il sopravvento nella parete. La realizzazione della parete ad ipsilon ha richiesto due anni per ottenere delle branche sufficientemente strutturate, tuttavia una volta formate, anche in questo caso, è stato poi possibile gestire la parete con potatura meccanica e qualche taglio manuale di rifinitura. In questi impianti la precocità di fruttificazione delle cv si è dimostrata un requisito molto importante sia per velocizzare l’entrata in produzione, sia per contenere lo sviluppo vegetativo della chioma.
Osservazioni e primi risultati
Limitatamente alle prove osservate in questi anni, le migliori produzioni delle cv toscane coltivate in oliveti a parete sono state conseguite dal Maurino e dal Leccio del Corno, con medie produttive rispettivamente attorno ai 70 - 60 q/ha. A seguire il Pendolino con 40 q/ha, mentre decisamente più bassi il Frantoio, il Correggiolo e il Moraiolo intorno ai 30 q/ha.
Si tratta ovviamente di dati indicativi e limitati alle poche zone dove sono state compiute le prove. Maggiori informazioni saranno disponibili nei prossimi anni man mano che entreranno in produzione nuovi impianti realizzati anche in altri areali della Toscana.
Per concludere, l’interesse recente per gli oliveti intensivi adatti alla raccolta meccanica in continuo, ci riporta a rivalutare la potatura, per il suo ruolo fondamentale nella corretta gestione agronomica dell’oliveto. È chiaro ormai quanto questa pratica rappresenti uno degli elementi chiave per il successo dei nuovi impianti intensivi. Allo stesso tempo andrà anche tenuto presente che rispetto alle forme espanse tradizionali questi nuovi sistemi richiedono modalità esecutive e tempistiche diverse da quanto finora operato, novità che dovranno essere recepite prontamente dalle figure professionali che si occuperanno della gestione di questi nuovi impianti.
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