Mantenere in equilibrio l’ecosistema oliveto, “vivere” fra gli olivi per capire e affrontare in tempo tutti gli eventuali problemi, trasformare, bene, le olive appena possibile. Sono questi gli accorgimenti che hanno permesso ai bravi olivicoltori, anche in un’annata, il 2014, climaticamente difficile, di produrre olio extravergine di oliva biologico di alta qualità.
L’apprezzamento per gli agricoltori capaci di superare le aspre difficoltà climatiche nella produzione biologica di olive e di extravergine è venuto da Alfredo Marasciulo, esperto universitario in valutazione organolettica degli oli di oliva vergini, in occasione dell’incontro su “Oli biologici dalla Puglia e dalla Tunisia: competizione o cooperazione”, nell’ambito del 20° premio internazionale Biol, organizzato a Bari dal Consorzio italiano per il biologico, che pone a confronto in Puglia i migliori extravergini di oliva biologici al mondo.
Importante la tecnica
«Il titolo è volutamente provocatorio. Lo spirito del premio non è la competizione fra zone geografiche diverse, ma presentare ai consumatori di tutto il mondo extravergini di alta qualità, prerogativa non strettamente connessa all’area geografica di provenienza ma legata alle pratiche agronomiche adottate. Oggi si produce un ottimo olio in Italia, Spagna, Tunisia e altrove, ma negli stessi posti, a distanza di 100 metri, si può produrre ugualmente olio di qualità scadente.»
«Infatti, proprio in un’annata tragica in tutto il bacino del Mediterraneo, segnata da fortissimi attacchi di mosca delle olive, siccità, piogge continue e intense, tanto da far crollare dovunque la produzione di olio di oliva (in Spagna da 1,8 milioni a 750mila t, in Italia da 500mila a 300mila t), si è avuta la riprova che chi sa coltivare e trasformare ha ottenuto oli eccellenti, all’altezza di quelli prodotti nelle annate climaticamente migliori».
Una valutazione condivisa in pieno dalla giuria internazionale. «È stato rilevato - ha dichiarato il coordinatore di Biol, Nino Paparella - come, malgrado mosca olearia e problemi climatici, alla fine la perfetta conoscenza delle tecniche colturali possa sopperire a tutto, portando a oli di altissima qualità, che sono trasversali a vari Paesi abbattendo di fatto le frontiere dell’eccellenza. Non a caso gli oli in gara sono stati ben 300, provenienti da 14 Paesi: Albania, Arabia Saudita, Argentina, Austria, Croazia, Grecia, Israele, Italia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Tunisia, Turchia e Usa».
Biodiversità
Oli ottimi, frutto di una sapiente gestione dell’oliveto e in particolare della difesa, ma con caratteristiche organolettiche diverse.
«Le distinzioni - ha spiegato Marasciulo, coordinatore della giuria internazionale - derivano dalle varietà coltivate, cioè dalla biodiversità locale, e dai diversi ambienti pedoclimatici che originano, per la medesima varietà, profili aromatici differenti. E poi conta molto anche il processo di trasformazione, per definire l’esito organolettico finale.»
«Sono distinzioni che non sfuggono a una giuria qualificata di 24 assaggiatori la cui esperienza è riconosciuta a livello internazionale, tutti capi panel e responsabili del controllo qualità di grosse aziende importatrici, provenienti da mercati di riferimento, come Giappone, Cina, Germania, Gran Bretagna, Usa, Spagna, Grecia, Tunisia, Slovenia e Italia.»
«In più, allo scopo di evitare errori, i giurati utilizzano una scheda, da me ideata per Biol, con la quale non solo valutano ma descrivono nei minimi dettagli ogni olio: così se qualche giurato non dimostra una piena competenza, in seguito non lo chiamiamo più».
Aziende a rischio
Eppure, almeno nel Salento, malgrado la competenza degli olivicoltori operanti secondo le regole dell’agricoltura biologica, il Complesso del disseccamento rapido dell’olivo (Codiro), rischia di mettere in discussione, più che la qualità dell’olio extravergine, la sopravvivenza stessa delle aziende olivicole biologiche leccesi che, ha ricordato Paparella nell’incontro su “Olivo, Xylella e biologico” «sono state colpite dal Codiro.
Queste aziende, di fronte alla ventilata prospettiva di massicci trattamenti obbligatori con diserbanti e prodotti fitosanitari per cercare di eliminare o almeno ridurre la presenza del batterio Xylella fastidiosa subsp. pauca ceppo Codiro e del suo vettore, l’insetto detto sputacchina media (Philaenus spumarius), temono di perdere la certificazione biologica che sicuramente hanno conseguito e meritato con tanto impegno».
Consigli per il biologico
Effettivamente, ha concordato Antonio Guario, ex dirigente del Servizio fitosanitario della Regione Puglia ed esperto fitopatologo, «non esistono attualmente prodotti registrati in Italia che possano consentire di controllare la sputacchina, per cui il rischio di perdere la certificazione c’è.
Tuttavia agli olivicoltori biologici operanti nell’area che va dalla zona infetta al cordone fitosanitario, come gruppo di lavoro sul Codiro consigliamo di effettuare subito arature, sfalci, interventi con pirodiserbo e decespugliatori, per eliminare le erbe spontanee possibile ricovero della sputacchina, e a quelli attivi in particolare nella zona infetta e nella fascia di eradicazione di rimuovere le piante infette.
Inoltre, stiamo sperimentando prodotti di origine vegetale che si possono utilizzare anche in agricoltura biologica. Infine la ricerca sta lavorando per individuare varietà eventualmente resistenti alla Xylella: la Cellina di Nardò è molto suscettibile, mentre la Leccino, ad esempio, sembra abbastanza tollerante, mostra sintomi blandi o non ne presenta affatto».