Da Marsiglia alla Puglia, dall’olio fetido all’olio fine

olio fine pugliese
Parte e si conclude a Bitonto l'esperienza di Pierre Ravanas come imprenditore e innovatore dell'olio fine pugliese.
Un approfondimento storico dedicato a Pierre Ravanas, che nella prima metà del 1800 rivoluzionò il settore oleicolo pugliese avviando la conversione della produzione di olio di oliva dall’uso industriale ed energetico a quello alimentare

L’esportazione dell’olio del Sud Italia destinato all’illuminazione, alla pettinatura della lana e al saponificio disegna un trend assai positivo ancora a fine Settecento. Ma è un successo che inquieta intellettuali e amministratori perché non arreca alcun vantaggio ai produttori e non induce «commercio attivo». La necessità di sfuggire alla trappola dell’«olio fetido» diventa allora una vera e propria ossessione, secondo la definizione dell’agronomo meridionale Giovanni Presta (in “Degli ulivi, delle ulive e della maniera di cavar l’olio” del 1794). L’innovazione arriverà grazie all’iniziativa di un piccolo imprenditore straniero, il provenzale Pierre Ravanas. Nato ad Aix-en-Provence nel 1796, Pierre Etienne Toussaint era figlio di un negoziante e proprietario di oliveti, cisterne e frantoi, attivo nel circuito commerciale dell’olio da tavola, un prodotto mai sufficiente a soddisfare la domanda internazionale, soprattutto dopo quel terribile inverno del 1709 che aveva colpito duramente settori importanti dell’olivicoltura mediterranea, in particolar modo provenzale.

Ma quello dell’olio fine resta comunque un circuito minore rispetto ai grandi assi del negozio di Marsiglia, dominati dall’olio comune, destinato principalmente al saponificio, il settore produttivo più importante della città (Masson, 1911)(…).

Idee rivoluzionarie per l’olio pugliese

Negli anni Venti dell’Ottocento, quando l’espansione secolare della domanda di olio industriale declina e, d’altro canto, la domanda dell’olio commestibile non riesce a trovare un’offerta in grado di soddisfarla, il giovane Ravanas scende nel Mezzogiorno d’Italia. Il suo progetto è di occupare gli spazi da cui proviene un olio «fetido» oramai difficile da collocare sul mercato, modificandone tecniche e scopi di produzione.

L’innovazione che porta è nella sostanza un bricolage di tecniche ampiamente diffuse. La frantumazione delle olive, invece che con la massiccia macina singola ruotante nella vasca in pietra, prevalente nel Mezzogiorno, verrebbe realizzata con la ben nota doppia macina «alla genovese ». La spremitura avverrebbe in tre tempi: le prime due strette, realizzate con semplici torchi in legno, darebbero rispettivamente il fiore, ovvero l’olio di prima qualità, e l’olio di seconda qualità; la terza stretta sarebbe invece realizzata con un torchio idraulico in ferro, assai più potente degli altri e quindi capace di spremere altro olio, di qualità inferiore, da una pasta che, privata di gran parte delle sue sostanze grasse dalle due precedenti strette, non traboccherebbe fuori dai fiscoli…

Leggi l’articolo completo pubblicato su Olivo e Olio n. 2/2019

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Da Marsiglia alla Puglia, dall’olio fetido all’olio fine - Ultima modifica: 2019-03-21T10:24:42+01:00 da Barbara Gamberini

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