Giunti praticamente alla fine della raccolta 2018-19, emerge con chiarezza il calo produttivo, che già era stato stimato nel corso della stagione di crescita. Una delle cause del calo, e sicuramente la principale in alcune zone, vedi la Puglia interna, sono stati i danni da gelo dovuti al repentino abbassamento termico verificatosi alla fine del febbraio 2018. Di questi eventi si è già scritto (Olivo e Olio n. 3 e 4 del 2018) ma è interessante sottolineare che questa gelata è stata abbastanza particolare almeno al confronto con quelle storiche del 1956 e del 1985. Infatti le temperature sono, sì, calate bruscamente, ma non hanno raggiunto i minimi delle gelate storiche; si parla infatti di -10, -12 °C al minimo, che sono certo dannose, ma che non giustificano i grossi danni anche alle parti permanenti della pianta (foto 1).
Burian e la gelata 2018
Vale la pena di ripercorrere l’andamento climatico che ha preceduto la gelata dello scorso anno. Novembre e dicembre del 2017 erano stati mesi caratterizzati da temperature piuttosto fredde, a cui era seguito un periodo (gennaio e inizio del mese di febbraio) con temperature più miti, non tipicamente invernali. Sembrava, dunque, dover essere un inverno particolarmente breve e atipico che poteva avviarsi rapidamente ad una primavera e un risveglio vegetativo regolare. In questo contesto, con una vegetazione già pronta per uscire dalla dormienza invernale, l’arrivo del vento gelido Burian dalla Siberia, spirando da Nord-est, è stato particolarmente deleterio, ed ha colpito particolarmente le regioni adriatiche e quelle peninsulari interne. L’ondata di freddo si è manifestata con un abbassamento molto rapido delle temperature, ma la gravità è stata accentuata dal forte vento, che ha unito al congelamento anche il danno fisico-meccanico sulle chiome.
A differenza delle gelate da inversione termica i danni maggiori si sono verificati nelle fasce olivetate più esposte al vento, dove soprattutto i filari più esterni degli oliveti, battuti dal vento da nord e nord-ovest hanno portato nei mesi successivi i segni visibili su rami e branche completamente necrotizzate, soprattutto nella fascia media e bassa della chioma.
Effetti diretti e indiretti del gelo
Nei tessuti legnosi sottoposti a temperature di -8/-10° C (per i rami, alcuni gradi in meno per branche più robuste e tronco), si sono verificati progressivamente il distacco degli strati più superficiali, e la spaccatura dapprima della corteccia e successivamente dei tessuti sottostanti, compreso il cambio responsabile dell’accrescimento. Si tratta di danni fisici dovuti alla formazione di ghiaccio, la cui espansione provoca la rottura cellulare. Gli organi colpiti più gravemente hanno manifestato da subito una evidente necrosi.
Tuttavia, in alcune aree come quelle generalmente più miti, il decorso climatico favorevole che è succeduto alla gelata, con una buona disponibilità idrica e temperature miti, ha ritardato l’emergere dei sintomi, che si sono palesati solo quando le piante hanno ripreso l’attività in primavera inoltrata.
A peggiorare le condizioni già critiche di rami e branche colpite dal freddo, sono stati, nei mesi successivi, i danni da rogna (Pseudomonas savastanoi pv. savastanoi), che laddove presenrte anche in piccole popolazioni, si è diffusa fino a devastare completamente branchette e rami, compromettendone la vitalità. Inoltre, in molte aree si sono manifestati danni da moscerino suggiscorza (Resseliella oleisuga) durante la stagione vegetativa. Pur di natura completamente diversa, queste due avversità si sono avvantaggiate della presenza di ferite sugli organi più esposti al vento.
Gelate, quale prevenzione?
Sebbene siano raccomandabili alcune misure di precauzione, da prendersi soprattutto in fase di progettazione e impianto, come la scelta di varietà tolleranti al freddo e l’esclusione di siti pianeggianti dove si verificano fenomeni di inversione termica che possono provocare danni anche in inverni non particolarmente freddi, la prevenzione per le gelate straordinarie come quella verificatasi lo scorso anno è praticamente impossibile.
Tuttavia, in linea generale sono consigliabili alcuni accorgimenti sulla tempistica di interventi agronomici come concimazione e potatura di produzione.
Per quanto riguarda l’apporto di fertilizzanti, è sempre bene rimandare alla primavera l’apporto di elementi minerali, ed in particolare di azoto, evitando quindi le concimazioni autunnali. L’azoto, infatti, in concomitanza con fattori climatici favorevoli (precipitazioni e temperature miti), tende a promuovere l’attività vegetativa della pianta, tale da ritardare la fase di acclimatazione della pianta e ridurne la tolleranza alle basse temperature dell’inverno successivo.
Anche le potature effettuate troppo precocemente, come quelle fatte in concomitanza o subito dopo le operazioni di raccolta, inducono uno stimolo dell’attività vegetativa, che espone i nuovi germogli ad eventuali temperature rigide.
Infine, gli interventi di potatura dovrebbero essere ritardati il più possibile tra fine inverno e inizio primavera, prevenendo così eventuali danni da gelo sui tessuti esposti dal taglio.
Recupero dei danni da gelo
Sebbene le gelate siano imprevedibili e si disponga di scarsi mezzi preventivi, è importante, a seguito di un evento climatico di questo tipo, in modo appropriato per limitare i danni ed evitare che gli effetti negativi si ripercuotano sull’oliveto e la sua produzione per troppi anni a venire.
Innanzitutto, dopo una gelata è bene attendere la ripresa vegetativa per effettuare una stima definitiva dei danni, e solo successivamente intervenire con la potatura per rimuovere la vegetazione che risulta compromessa.
Se la rogna è già presente nell’oliveto, bisognerà infine programmare interventi fito-sanitari idonei, e in particolare operare la disinfezione degli attrezzi con cui si effettuano i tagli per limitare la diffusione del batterio attraverso le ferite di potatura.
Caratteristiche della gelata 2018
- Temperature fredde nei mesi di novembre e dicembre, seguite da un periodo (gennaio e inizio febbraio) piuttosto mite;
- Abbassamento repentino delle temperature, fino a minime tra i -10 e -12 °C, verificatosi alla fine di febbraio;
- Effetto aggravante del vento;
- Gli olivi colpiti in particolare sono stati quelli sui crinali, versanti esposti al vento da nord, e piante di bordo o lungo le strade;
- Danni sulle strutture permanenti (rami e branche), diminuzione di produzione.
L’articolo è pubblicato su Olivo e Olio n. 1/2019
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