L’olivo può ritenersi una specie molto plastica che si adatta a numerosi modelli di piantagione degli alberi e gestione della chioma, ma con risultati produttivi soggetti a notevole variabilità in funzione del grado di soddisfazione dalle sue naturali esigenze fisiologiche. La plasticità, ritenuta una vantaggiosa prerogativa della specie rappresenta, invece, il suo principale problema poiché non lascia percepire al produttore la perdita di produzione che si verifica quando le piante sono sottoposte a condizioni di coltivazione non ideali.
La scelta della densità di piantagione si ritiene influenzata in primo luogo da capacità e modalità di crescita della varietà, poi dalla posizione geografica (latitudine ed altitudine) dell’oliveto, dalle condizioni ambientali (clima e terreno) e dalla tecnica colturale che si intende praticare. Aggiustamenti possono essere praticati a partire da una densità standard compresa tra 250 e 400 piante/ha circa (da 6 x 7m a 6 x 4m), ritenuta il limite entro cui praticare una olivicoltura moderna, in funzione delle attuali conoscenze.
L’olivo è ritenuto capace di sopportare numerose forme di allevamento, ma più queste si allontanano dal modello naturale di vegetazione meno sono efficienti, in quanto si rendono necessari interventi di potatura costanti e severi che riducono le potenzialità produttive della pianta. Pertanto, la forma ideale è ritenuta quella che rispetta il portamento naturale della specie, che permette una elevata efficienza fotosintetica e che adatta la pianta alle esigenze della tecnica colturale, con particolare riferimento al sistema di raccolta prescelto.
Il vaso policonico
Il vaso policonico nasce con Alfredo Roventini (1889-1950) che iniziò la sua opera nel 1914 in provincia di Ascoli Piceno, per proseguire poi in provincia di Pisa e, infine, in quella di Livorno. Nel 1936 con una pubblicazione su “Nuovi Annali dell’Agricoltura”, espone dettagliatamente il proprio sistema di potatura avente quale presupposto, per l’incremento della produzione, la riforma degli olivi, per la necessità di riportare l’albero il più vicino possibile al suo sviluppo naturale.
Partendo dalla tradizionale forma a vaso dicotomico o tronco di cono rovescio, propone che all’eccessivo numero di branche che i soggetti di solito presentano e all’acefalia periodicamente praticata per ridurre l’altezza degli alberi, debba essere sostituito un limitato numero di branche primarie equidistanti tra loro e fino a conclusione naturale, cioè senza mai più cimature e/o divisioni dicotomiche.
La forma proposta consente quindi lo sviluppo della chioma fino all’altezza desiderata, ma su di un solo germoglio “signoreggiante” per ognuna delle originarie branche primarie (variabile in funzione di varietà, età e stato sanitario degli alberi, ambiente e tecnica colturale).
La chioma appare formata da altrettanti coni inclinati di 30-45° circa, vuoti internamente, uniti per la base ma separati nettamente al vertice, in modo tale da assegnare ad ognuno di essi la “funzione di cima”. Così facendo le piante evitano l’affermazione della porzione superiore di chioma escludendo la riforma periodica, mentre esprimono pienamente il potenziale produttivo nella porzione inferiore, ricca di branche secondarie pienamente funzionali e rinnovabili.
Anche alla luce delle attuali migliorate conoscenze di fisiologia vegetale, tutti i suddetti insegnamenti sono confermati, sia per soddisfare il naturale desiderio di sviluppo della chioma che per salvaguardare una benché minima parte della sua porzione apicale.
La prima necessità deriva dal rapporto chioma/radici che, dovendo produrre un risultato tendenzialmente stabile, consente di condizionare gli equilibri tra attività vegetativa e produttiva.
Nel secondo caso le piante esercitano il fenomeno fisiologico della dominanza apicale mediante il quale le foglie e le gemme apicali regolano l’entità della crescita, l’angolo d’inserzione, il numero e la lunghezza dei rami e delle branche determinando, nel complesso, le dimensioni e la forma dell’albero.
Interventi manuali ad hoc
Il vaso policonico può ritenersi la migliore forma di allevamento, dovrà, però, essere resa aderente alle attuali necessità agronomiche, economiche e sociali, praticando da terra rapidi interventi cesori con attrezzatura eventualmente prolungabile (potatura agevolata), su una struttura legnosa limitata all’essenziale (potatura semplificata).
Al vaso policonico “semplificato” nella struttura primaria e nelle modalità di gestione è riconosciuto il merito di assecondare per decenni il naturale modello di sviluppo dell’olivo, di consentire l’intercettazione di una elevata quantità di energia radiante e l’esposizione alla luce delle foglie e della superficie fruttificante, di presentarsi compatibile con le esigenze sia dei sistemi di raccolta con pettini agevolatori che meccanica con vibratori del tronco.
Questa versatilità deriva dalla possibilità di modificare la forma dell’albero da un cilindro basso e largo ad uno stretto ed alto, semplicemente orientando diversamente le cime e modificando l’espansione laterale delle branche secondarie, senza incidere sullo sviluppo volumetrico della chioma.
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