Il sistema olivicolo superintensivo è ad oggi l’unico modo di coltivare l’olivo che permette di produrre olio extravergine abbattendo i costi di produzione ben al di sotto del prezzo all’ingrosso e rappresenta il frutto del know-how internazionale, scientifico e tecnologico, nel campo dell’olivicoltura.
Il sistema superintensivo sta affiancando i sistemi tradizionali ed intensivi nei Paesi di antica coltivazione come l’Italia e la Spagna, portando una ventata di novità in un comparto produttivo ingabbiato e sofferente e soprattutto margini significativi di reddito agli imprenditori olivicoli. Prezzi dell’extravergine all’ingrosso superiori a 5-6 euro/kg sono durati l’espace d’un matin, come prevedibile, e oggi le quotazioni sono tornate ai livelli di 3-4 euro/kg al massimo.
La ricerca internazionale ha ormai validato la sostenibilità agronomica ed economica degli impianti superintensivi. Al pari delle altre specie arboree da frutto, la gestione colturale dell’oliveto (di qualsiasi oliveto) richiede preparazione tecnica ed esperienza professionale, personalizzate all’ambiente di coltivazione.
La ricerca sta dando buoni frutti e in tempi brevi, anche riguardo alla sostenibilità ecologica degli oliveti superintensivi, noti anche come “ad altissima densità”. La presente nota illustra ed evidenzia alcuni aspetti cruciali riguardanti la sostenibilità ambientale degli impianti olivicoli superintensivi.
Vi sono evidenze scientifiche, ed esperienze di campo diretta che rispondono ad alcuni interrogativi, mossi da legittimi dubbi, ma anche ad accuse ingiustificate, frutto talvolta di un approccio ideologico, ottuso o interessato, per fortuna sempre più raro.
La nostra sperimentazione, oramai quasi ventennale, ha dimostrato che un impianto olivicolo superintensivo richiede apporti agronomici identici a quelli di qualsiasi altro oliveto diffuso nella medesima zona, di pari livello produttivo, e che la sua gestione presuppone la conoscenza e l’applicazione del Codice di Buone Pratiche Agricole di cui al D.M. del 19 aprile 1999 (pubblicato sulla G.U. n. 102 S.O. n. 86 del 4 maggio 1999) e dei Disciplinari di Produzione Integrata che le Regioni aggiornano annualmente e pubblicano sui rispettivi siti istituzionali.
La gestione degli oliveti superintensivi
I volumi irrigui stagionali variano notoriamente con l’andamento termo-pluviometrico annuo e con le caratteristiche pedologiche dell’azienda. Per un impianto superintensivo si possono superare i 2.000 metri cubi per ettaro nelle annate siccitose; tuttavia, i volumi di adacquamento sono ordinariamente al di sotto di tale valore.
Recentissime ricerche condotte in Sicilia, in ambienti ad elevata domanda evapotraspirativa, hanno evidenziato che 1.300 metri cubi per ettaro sarebbero sufficienti per soddisfare il fabbisogno idrico annuo degli impianti olivicoli superintensivi.
Le dosi di fertilizzante sono funzione dei livelli produttivi attesi, che normalmente superano le 12 tonnellate di olive per ettaro, ed esse prevedono valori ordinari di 130 unità di azoto, 30 di fosforo e 110 di potassio.
La gestione fitosanitaria, condotta secondo le aggiornate Linee Guida di Difesa Ecosostenibile/Disciplinari di Difesa Integrata, prevede al massimo 2-3 trattamenti rameici, ammessi in agricoltura biologica, e 2-3 trattamenti insetticidi, effettuati secondo i principi del controllo guidato, sempre in funzione dell’andamento climatico dell’annata.
La gestione del suolo negli impianti superintensivi è effettuata secondo criteri di ecosostenibilità/gestione integrata, prevedendo tra l’altro apporti di concimi ed ammendanti organici, sovescio, inerbimento controllato dell’interfila (foto 1), trinciatura dei sarmenti in situ, pacciamatura della fila con materiali biodegradabili senza il ricorso al diserbo chimico. Infine, a partire dal quarto anno dall’impianto, la conversione in biologico degli oliveti superintensivi è ormai una realtà diffusa.
Bioindicatori di Natura 2000
Le tecniche agronomiche previste negli impianti olivicoli superintensivi ne innalzano a tal punto la sostenibilità ambientale da favorire, anziché ostacolare, la costituzione di habitat idonei al ciclo vitale di specie vegetali ed animali presenti, ad esempio, nelle aree SIC/ZPS, secondo il Formulario Natura 2000, e che rappresentano bioindicatori specifici delle aree naturali.
Sotto i filari di un oliveto superintensivo adulto è stata osservata nella tarda primavera la fioritura di orchidee spontanee tipiche della Murgia barese, appartenenti al genere Serapias (foto 2). Prati aridi ed incolti, garighe, radure boschive costituiscono, in ecosistemi naturali, l’habitat di queste orchidee, le quali posseggono un sistema di impollinazione entomofila. La presenza di tali specie vegetali è stata osservata per due anni consecutivi.
L’agrosistema olivicolo superintensivo, gestito secondo i criteri ecosostenibili prima esposti, non inquina l’ambiente e non danneggia gli insetti pronubi, tanto da permettere il costituirsi e lo stabilizzarsi dell’habitat idoneo per specie vegetali delicate ed esigenti dal punto di vista ecologico.
Corpi fruttiferi di funghi basidiomiceti appartenenti al genere Coprinus, noti bioindicatori dell’assenza di inquinamento da metalli pesanti, sono stai osservati sui filari di oliveti superintensivi pacciamati con materiali organici (foto 3).
Chiome ospitali per l’avifauna
Anche le specie animali non si sottraggono alle evidenze scientifiche. Nidi attribuibili all’occhiocotto (Sylvia melanocephala) sono stati fotografati sempre nello stesso impianto (un caso?) per più anni consecutivi, all’interno della vegetazione particolarmente fitta delle varietà adatte al sistema superintensivo (foto 4).
L’occhiocotto, infatti, vive generalmente nella macchia mediterranea, caratterizzata da densi e bassi cespugli, e si rinviene anche in ambienti di bosco che presentino un rigoglioso strato arbustivo. L’habitat idoneo alla nidificazione di questo uccello nell’oliveto superintensivo è stato favorito non solo dalle caratteristiche vegetative delle cultivar, ma soprattutto dalla forma di allevamento e dai criteri di potatura che tali impianti richiedono.
Infatti, la forma ad asse centrale determina una struttura ‘piena’ dell’albero, mentre l’assenza completa di interventi cesori all’interno delle branche fruttifere permette la formazione di una chioma bassa e uniformemente densa.
Inoltre, tra le sue prede più comuni vi sono insetti di diverse specie, larve di lepidotteri, ortotteri ed afidi, ragni che, evidentemente non mancano nell’oliveto superintensivo. La disponibilità di tale pabulum è quindi un ulteriore indicatore di una entomofauna ricca ed equilibrata. Infine, nella tarda estate ed in autunno l’occhiocotto si ciba anche di frutti e semi di numerose piante, e non è escluso che abbia approfittato anche delle olive.
Impronta del carbonio e dell’acqua
La coltivazione tradizionale ed in asciutto dell’olivo rappresenta notoriamente un sistema colturale con bilanci passivi da un punto di vista economico. E dal punto di vista ecologico?
Quando si misura l’impatto ambientale di un processo produttivo, anche agricolo, con indicatori sintetici avanzati, quali l’impronta di carbonio (carbon footprint - CF) e l’impronta dell’acqua (water footprint - WF), si rimane spesso sorpresi dai risultati numerici.
È stato dimostrato che la coltivazione intensiva in irriguo dell’olivo può anche raddoppiare la quantità di gas serra immobilizzata nelle biomasse vegetali e nel suolo (carbon sinks) rispetto quella tradizionale in asciutto. D’altra parte, l’aumento della scarsità di acqua dolce e l’importante ruolo che essa riveste nella produzione agroalimentare enfatizzano la necessità e l’urgenza di ottimizzare l’uso dell’acqua nelle attività umane e, in particolare, in agricoltura.
Le attività agricole e dell’agroindustria, infatti, possono arrivare a consumare il 70% dell’acqua dolce disponibile a livello mondiale; in Italia la percentuale si attesta a livelli più bassi, intorno al 30% del totale, che corrispondono comunque a quantità importanti (circa 15 miliardi di metri cubi l’anno) e risultano concentrate nelle due aree agricole a maggiore vocazionalità: la Pianura Padana e la Puglia (dati FAO).
In questo contesto, l’impronta dell’acqua è in grado di quantificare in modo corretto sia il consumo che l’inquinamento delle acque dolci da parte di una attività produttiva.
Uso efficiente della risorsa idrica
La stima della WF consente di mettere in atto le necessarie misure di mitigazione dell’impatto e quindi un uso più sostenibile della preziosa risorsa naturale non rinnovabile.
Un recente lavoro ha dimostrato che la WF degli oliveti superintensivi è paragonabile a quella degli oliveti intensivi in irriguo, valutata intorno a 2.700-2.800 metri cubi per tonnellata di olive prodotte per anno.
Un oliveto tradizionale in asciutto, nelle stesse situazioni pedo-climatiche, ha una impronta dell’acqua superiore, misurata intorno a 3.400 metri cubi per tonnelata di olive l’anno, legata ad una minore efficienza d’uso dei fertilizzanti in aridocoltura.
La situazione peggiora se convertiamo in irriguo gli oliveti tradizionali: la loro WF sale a 5.700 metri cubi per tonnelata di olive l’anno, a causa dell’incremento di produzione meno che proporzionale rispetto all’input di risorsa idrica disponibile. In altre parole, sembra proprio che irrigare un oliveto tradizionale determini uno spreco di acqua dolce!
I sistemi colturali più moderni, invece, presentano in irriguo una minore domanda di acqua dolce. Infatti, la componente maggiore della WF è la quota blu, cioè quella legata all’irrigazione, che rappresenta quasi il 77% del totale per gli impianti tradizionali ed intensivi in irriguo, contro il 74% per i superintensivi.
La conoscenza della WF potrebbe contribuire ad una migliore trasparenza e conoscenza del prodotto finale, fornendo ai consumatori un supporto per effettuare decisioni ben informate. Questi risultati, insieme a quelli che stanno evidenziandosi dalla stima della CF degli oliveti e dell’olio, potrebbero essere utili anche nel promuovere e migliorare la coltivazione dell’olivo in un contesto di agricoltura e di agroindustria ecosostenibili.
Non ultima per importanza è la difesa dei versanti che gli impianti superintensivi possono offrire, se si tiene conto che la superficie di suolo coperta, e quindi protetta, negli impianti tradizionali è al massimo del 50%, mentre supera il 60% negli oliveti superintensivi. Se poi si considera che negli spazi vuoti di questi impianti è praticato l’inerbimento controllato, non è difficile comprendere il contributo prezioso che l’olivicoltura superintensiva può mettere a disposizione della lotta al dissesto idrogeologico nelle aree collinari, così come sta mostrando di fare nel sud della Spagna.
Sostenibilità e qualità
Il sistema colturale olivicolo superintensivo possiede numerosi e notevoli requisiti di sostenibilità ecologica, derivanti dalle tecniche colturali che lo caratterizzano: cultivar e sesti di impianto, gestione della chioma, del suolo, dell’acqua e dei nutrienti.
La presenza accertata e costante nel tempo di specie vegetali ed animali di interesse comunitario costituisce la risposta più immediata ed eloquente sui possibili impatti ambientali derivanti della realizzazione di un oliveto superintensivo, anche in aree agricole ricadenti in zone SIC/ZPS.
L’elevata densità di alberi rappresenta paradossalmente il motivo essenziale della ecosostenibilità di questo sistema colturale. A ciò si aggiunga, infine, che il risultato agronomico degli impianti olivicoli superintensivi è costituito da un prodotto di Alta Qualità, anche Biologico, a basso costo di produzione. A questo punto sarebbe necessario ribattezzare gli oliveti superintensivi in oliveti supersostenibili!
Tali informazioni, combinate con altri aspetti fondamentali come quelli economici e sociali, potrebbero costituire un punto di partenza per la formulazione di linee guida sia per la gestione razionale dell’oliveto, sia per le politiche agricole regionali, nazionali e comunitarie.
L’articolo è pubblicato su Olivo e Olio n. 1/2020
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