Si sente spesso parlare dell’importante ruolo ambientale dell’olivicoltura. Ma in concreto cosa vuol dire? È noto che gli olivi hanno un’azione protettiva sul terreno sia trattenendo le particelle di suolo tramite gli apparati radicali sia schermando con le loro chiome il suolo stesso dall’azione battente della pioggia.
Riducono perciò il ruscellamento, la compattazione e l’erosione soprattutto nei terreni declivi, ove esercitano una funzione fondamentale nella regimazione idrologica. L’erosione delle particelle di suolo da parte dell’acqua e del vento è uno dei maggiori fattori di degradazione della fertilità dei terreni nei terreni collinari e montani e si stima che porti via da 1 a 6 tonnellate di suolo ad ettaro all’anno dall’oliveto. L’erosione del suolo è una vera emergenza a livello planetario al pari dello scioglimento dei ghiacciai, l’esaurimento delle risorse naturali, l’inquinamento, il surriscaldamento dell’atmosfera e degli oceani.
Proprio sul riscaldamento globale, l’olivicoltura può avere un impatto positivo sequestrando carbonio. Sappiamo che ogni volta che si produce un bene o fornisce un servizio si ha l’emissione di gas ad effetto serra, dall’inizio della produzione fino al consumo o smaltimento. L’impronta carbonica è l’indice che misura tali emissioni, e quindi l’impatto sul clima, e può essere calcolata per tutte le attività umane. Una bassa impronta carbonica è sinonimo di qualità ambientale e, pertanto, può servire a produrre valore aggiunto per le aziende.
La produzione di olio extra-vergine di oliva ha una bassa impronta, come ben spiegato nell’articolo a firma di Proietti et al. a p. 18, per cui l’oliveto è in grado di generare dei crediti di sostenibilità analogamente a quanto avviene nel settore forestale. Una volta recepiti dalle normative europee in materia ambientale i crediti di carbonio potranno rappresentare una fonte di reddito integrativo per la filiera. Non sono ancora realtà, ma lo diventeranno una volta attivati i mercati volontari di scambio.
Dal punto di vista tecnico il mercato dei crediti di carbonio sarà un sicuro incentivo ad indirizzare la gestione dell’oliveto e del frantoio verso quelle pratiche virtuose per la sostenibilità ambientale, quali la trinciatura dei residui di potatura in campo, la concimazione organica o il recupero del nocciolino dalle sanse.
Alla impiantistica e alla gestione del frantoio è dedicato lo Speciale di questo numero. Avvicinandosi il periodo di frangitura, la imminente campagna olivicola inevitabilmente si preannuncia sotto il segno dell’incertezza legata all’andamento della pandemia da Covid-19. Le misure per il controllo e il contenimento della diffusione del virus impongono una serie di protocolli e precauzioni relativamente semplici da adottare in campo, ma più complessi in frantoio. Bisogna pensarci per tempo. Ce lo ricorda l’esauriente articolo a firma di Barracane a p. 50, che si sofferma su come rimodulare gli spazi e l’organizzazione del lavoro in modo da rispettare le norme sul distanziamento e sulla prevenzione dei rischi. Gran parte di queste regole valgono anche nei piccoli frantoi aziendali, la cui diffusione rappresenta uno dei fenomeni di maggior cambiamento per la filiera negli ultimi 15 anni. Il frantoio aziendale non è la soluzione ad ogni problema e la sua introduzione richiede un’attenta valutazione preliminare delle competenze, dei costi e dei calendari di lavoro, come riportato nell’articolo di Morozzo della Rocca a p. 46. È però indiscutibile che, consentendo di controllare tutte le fasi del ciclo produttivo a partire dall’epoca di raccolta e frangitura, diano la massima flessibilità nelle scelte aziendali per il conseguimento dei massimi risultati qualitativi. Frantoi aziendali: una tendenza che continuerà.
Editoriale di Olivo e Olio n. 5/2020
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