Quali scenari si prospettano all’olivicoltura italiana nei prossimi anni? E come dovrà organizzarsi per rispondere alle sfide di un mercato sempre più difficile?
A queste complesse domande ha cercato di offrire risposte esaurienti il convegno “L’olivicoltura che verrà: sfide e scenari del prossimo futuro” che ha inaugurato Evoo Trends 2020, appuntamento digitale nato come anteprima, presentazione e lancio della prima edizione di Evoo Expo Roma, manifestazione interamente dedicata alla filiera del settore dell’olio extravergine di oliva, prevista per il 2022.
Borriello: «Italia, ottime capacità produttive e commerciali»
La previsione degli scenari futuri non può non partire dall’analisi del passato e del presente del comparto, ha suggerito Raffaele Borriello, direttore generale di Ismea, offrendo una sintetica panoramica storica.
«Il Bacino mediterraneo detiene circa il 95% della produzione mondiale di olio extravergine di oliva, l’Italia è il maggior paese per consumi al mondo e il secondo per produzione e vanta un patrimonio di
- oltre 500 cultivar,
- 42 oli Dop,
- 5 Igp
- e 76 Presidi Slow Food.
A fronte di questa grande ricchezza, gli ultimi dati Ismea sono discreti, ma indicano una strada da percorrere ancora lunga.
La produzione nazionale di olio di oliva della campagna 2019/2020 è stata pari a circa 365mila tonnellate, cioè più del doppio rispetto alla scarsissima annata precedente (175mila tonnellate), ma parecchio inferiore alle oltre 400mila tonnellate del 2015/16 e del 2017/18.
Gli incrementi produttivi registrati la scorsa campagna si sono concentrati nelle regioni del Sud, alcune delle quali, come Puglia e Calabria, hanno più che raddoppiato i volumi, ma è stato positivo anche il trend delle regioni del Centro Italia; in calo il Nord. Invece per la campagna 2020-2021, della quale sta per iniziare la raccolta, si prevede una produzione di circa 290.000 tonnellate, con un calo del 20% rispetto alla precedente».
L’Italia olivicolo-olearia ha ottime capacità non solo produttive, ma anche commerciali, ha aggiunto Borriello. «Evidenzio che nei primi sei mesi del 2020 le esportazioni sono notevolmente aumentate, con una crescita dei volumi del 25% e del valore del 7%. Addirittura la crescita dei volumi sul mercato Usa è stato del 28%, un risultato dovuto sicuramente ai dazi imposti sul prodotto spagnolo, ma chiara dimostrazione di come sul mercato americano vengano apprezzati i nostri oli extravergini.
Sul mercato italiano e su quelli esteri il problema che spesso si presenta è quello dei bassi prezzi: ebbene il calo produttivo previsto in Italia e cali ancora più consistenti nei maggiori paesi competitor (in Grecia e Tunisia per scarica fisiologica, in Spagna non sarà comunque all’altezza delle aspettative), prefigurano, nel confronto tra offerta bassa e domanda in crescita, un buon rialzo dei prezzi.
In Italia, la Gdo è il canale di vendita che ormai veicola l’80% del prodotto, ma è in crescita la vendita diretta da parte delle aziende olivicole, come dimostrano i dati del primo semestre 2020, una tendenza agevolata dal lockdown e dalle difficoltà dei consumatori di accesso a super e ipermercati».
Granieri: «Crescita export in valore, un dato contingente»
L’Italia è stata leder assoluta della filiera olivicolo-olearia per tanto tempo, ma da alcuni anni non lo è più: da questo dato di fatto bisogna partire per riflettere sul futuro, ha considerato David Granieri, presidente di Coldiretti Lazio e Unaprol.
«Per la prima volta negli ultimi tempi assistiamo a una crescita di valore all’estero. Plaudiamo, perché prima abbiamo assistito a un autentico esproprio della nostra ricchezza, ma, attenzione, quello non è un dato strutturale, bensì contingente, legato all’imposizione dei dazi Usa. Vedo perciò prospettive in un futuro proiettato sui territori, sulla valorizzazione delle varietà italiane e dei luoghi di loro produzione.
Purtroppo i territori producono oli eccellenti, ma con velocità diverse, per cui, dove è necessario, bisogna strutturare in chiave più moderna e intensiva la filiera produzione-trasformazione-confezionamento.
Purtroppo gli stessi consumatori italiani non sanno che il primo nostro olio evo si produce in Sicilia e spesso non conoscono e non apprezzano le nostre eccellenze, per cui occorre lavorare alla loro crescita culturale. Per promuovere il rilancio dell’olivicoltura nazionale, abbiamo bisogno non solo accrescere le competenze di olivicoltori e frantoiani, ma anche di educare i consumatori a una scelta consapevole, la cui molla all’acquisto non sia il prezzo ma la qualità».
Ben vengano, quindi, ha aggiunto Granieri, i progetti finalizzati alla diffusione della cultura dell’olio evo e delle olive da tavola, soprattutto quando sono fondati sul coinvolgimento e sul confronto propositivo fra tutti gli attori della filiera olivicolo-olearia, della ricerca, delle istituzioni.
«Il progetto sviluppato con Fiera Roma esprime esattamente questo approccio virtuoso, perciò lo sosteniamo con piena convinzione. Per garantire la giusta remunerazione e la crescita delle aziende olivicole e dei frantoi è fondamentale e imprescindibile svolgere un’ampia e profonda azione culturale e formativa che coinvolga, accanto alle imprese, anche i consumatori, gli studenti e i professionisti. Per affrontare con successo un mercato sempre meno trasparente dobbiamo far comprendere e riconoscere il valore di un olio di qualità, lavorando al tempo stesso, come già stiamo facendo, per rendere più stringenti le soglie di classificazione dell’olio extravergine di oliva per offrire maggiori garanzie ai consumatori e giustificare un prezzo di acquisto più equo».
Sonnessa: «Olio evo non commodity, ma prodotto differenziato»
Alla necessità di elevare il livello culturale dei consumatori nell’approccio all’olio evo ha plaudito Michele Sonnessa, presidente dell’Associazione nazionale Città dell’Olio. «L’olio extravergine di oliva non è una commodity, è un prodotto che si differenzia. Purtroppo la maggior parte dei consumatori lo percepisce come un prodotto sempre uguale, indifferenziato, perciò tende ad acquistare basandosi sul prezzo, spesso cercando quello più basso. Il prezzo viene fissato da lobby che detengono le quantità e le leve del mercato, ma nulla hanno da spartire con chi, negli oliveti e nei frantoi, l’olio evo lo produce davvero.
Ebbene noi proponiamo di attuare una sorta di rivoluzione culturale sull’olio evo, che racconti il paesaggio, la storia di un territorio, che faccia capire l’unicità di un olio che si produce solo là. Per noi ripartire dai luoghi di produzione, dalla cultura legata a ciascun olio italiano autenticamente evo è la strada da battere per valorizzare la nostra variegata offerta di oli extravergini di oliva e venderli al giusto prezzo che meritano. Solo così per l’olivicoltura italiana si può prospettare un futuro radioso».