Tra i Paesi olivicoli, dopo la Spagna, l’Italia occupa stabilmente il secondo posto, anche se nella campagna 2016/2017 è scivolata alla terza posizione, dopo la Grecia. A determinare il crollo della produzione, oltre all’annata di scarica, sono stati gli effetti negativi determinati dal pessimo andamento meteorologico.
In realtà è da circa 20 anni che nell’olivicoltura italiana si registrano carenze di produzione, tanto che per soddisfare la domanda complessiva di olio il nostro Paese importa ingenti quantitativi di olio, soprattutto dalla Spagna.
Intensificazione, chiave di volta per il comparto
Le leve strategiche individuate per il rilancio dell’olivicoltura nel nostro Paese fanno perno, dal punto di vista agronomico, sull’innovazione del sistema produttivo.
Così come è avvenuto per la frutticoltura, anche per l’olivicoltura si rende necessario aggiornare i criteri agronomici cui fare riferimento per progettare e gestire i nuovi impianti, che non possono prescindere da alcuni requisiti fondamentali quali:
- breve periodo improduttivo,
- elevate produzioni unitarie,
- costanza di produzione
- e riduzione dei costi di produzione.
Per soddisfare i suddetti obiettivi non si può prescindere dal processo di intensificazione degli impianti che devono comunque consentire la meccanizzazione integrale della raccolta.
Il modello superintensivo non sembra però quello più adatto per ridare all’olivicoltura italiana adeguata competitività nei confronti degli altri Paesi produttori. L’esiguo panorama varietale che si adatta a questa tipologia d’impianto comporterebbe infatti la perdita di una gran parte della biodiversità olivicola e dei relativi prodotti, molti dei quali tutelati da marchi di riconoscimento collettivi (Dop, Igp). In tale contesto bisogna, quindi, trovare il giusto compromesso tra la salvaguardia della tipicità e la redditività dell’olivicoltura.
Il modello siciliano
Malgrado l’Italia vanti un ampio patrimonio genetico che rappresenta un notevole valore aggiunto in termini di tipicità ed esclusività del prodotto, risulta necessaria una estesa e coordinata attività di ricerca per individuare, nei diversi distretti olivicoli, le cultivar autoctone adatte ai modelli colturali intensivi.
In Sicilia, nel 2014 sono state avviate prove volte a valutare, comparativamente con altre cultivar consolidate nel territorio dove le prove stesse sono state condotte (fascia costiera della Sicilia Sud-occidentale) il comportamento della Calatina in varie tipologie di impianto con piante disposte secondo sesti rettangolari o in quadro e con chiome allevate in volume o in parete.
Le due cultivar di riferimento adotatte, per la valutazione comparativa, sono la Nocellara del Belice e la Biancollilla, rappresentata da un clone con frutto grosso. (….)
Leggi l’articolo completo su Olivo e Olio n. 1/2020
Dall’edicola digitale al perché abbonarsi