Il Mediterraneo è, come scrive un grande storico, Fernand Braudel, il mare degli oliveti. Lungo le sue coste “si ritrova la medesima trinità, figlia del clima e della storia: il grano, l’olivo, la vite, ossia la stessa civiltà agraria, la medesima vittoria degli uomini sull’ambiente fisico”. Da qualunque punto di vista si guardi al suo paesaggio non si può non incontrare, con una evidenza innegabile nel tempo e nello spazio, l’olivo. (…)
L’olivo è specie che, grazie anche all’opera di selezione svolta nei secoli dagli olivicoltori, adattandosi alle condizioni ecologiche anche più estreme delle regioni mediterranee è presente in coltura praticamente ovunque in Italia in sistemi colturali e paesaggi specificamente adattati e molto diversificati che possono ritenersi i più antichi del nostro Paese perché sostanzialmente immutati in termini sia biologici che strutturali e di distribuzione territoriale.
Ciò nonostante è comunque difficile definire un modello olivicolo italiano, al punto che è proprio la diversificazione a costituire la prima e principale caratteristica dei sistemi e dei paesaggi olivicoli del nostro Paese, individuando sia i tratti comuni che i segni di diversità, nell’eterogeneità del patrimonio varietale e nell’adattarsi secolare delle tecniche colturali alle condizioni ambientali (…).
Multifunzionalità e servizi ecosistemici
per potenziare l’olivicoltura marginale
Con il rinnovamento tecnico e lo sviluppo di un’olivicoltura specializzata avviatosi dopo l’ultimo dopoguerra, gran parte dell’olivicoltura italiana ha perso il carattere promiscuo ma nondimeno molte aree indipendentemente dal sistema colturale adottato, mantengono caratteri di marginalità.
In ragione della multifunzionalità che si riconosce ai paesaggi agrari tradizionali giungono però da differenti settori e non più soltanto dal mondo agricolo richieste volte a sollecitare politiche per la loro sopravvivenza.
Cresce la consapevolezza che l’olivicoltura marginale, per sopravvivere, deve sviluppare, a partire dalle costitutive funzioni produttive, funzioni ambientali e culturali, i cosiddetti servizi ecosistemici.
La crisi dell’olivicoltura marginale per ragioni che non risiedono semplicemente nei limiti fisici ed agronomici che determinano l’impossibilità di meccanizzare o di confrontarsi con la scarsa e alternante produttività, ma che riguardano anche il successo di forme di sviluppo e di modelli sociali alternativi a quelli rurali, sta in effetti portando alla scomparsa dei sistemi e dei paesaggi tradizionali.
Questi vengono definiti né attualmente né potenzialmente economicamente validi: un destino segnato se si guarda unicamente alla funzione produttiva ma che può essere positivamente mutato di segno con il riconoscimento della multifunzionalità e del valore di bene collettivo per i benefici ambientali che determinano e il valore culturale che rappresentano (…).
Difesa del paesaggio olivicolo tradizionale
Tralasciando i piccoli appezzamenti a conduzione diretta o part-time che continuano a costituire parte importante del tessuto proprio del paesaggio rurale marginale, i paesaggi tradizionali si difendono, prima di tutto, opponendosi al diffondersi di un’urbanizzazione incontrollata (molti terrazzamenti delle regioni costiere mediterranee ne sono vittime).
Va quindi salvaguardata e valorizzata la funzione produttiva, incrementando i risultati produttivi, se non in termini di resa – cosa difficile a farsi nelle condizioni limitanti della olivicoltura marginale - in termini di qualità: è la strada degli oli di qualità e del riconoscimento del loro legame con il territorio.
La salvaguardia della funzione produttiva necessita, inoltre, del contenimento dei costi di produzione attraverso la diffusione di tecnologie appropriate ai caratteri limitanti dell’ambiente e rispettose del paesaggio: macchine adeguate alla viabilità ed alle sistemazioni collinari, inerbimenti, efficaci strategie di controllo fitosanitario sono già disponibili ma molto ancora può fare la ricerca.
Il problema più rilevante è quello dei grandi impianti olivicoli di pianura che soffrono di una marginalità strutturale per la quale è difficile pensare soluzioni che siano solo agronomiche, legate sia alla produttività sia alla qualità del prodotto. Non è un problema di facile soluzione sia per la difficoltà di individuare tecniche innovative compatibili con la struttura degli impianti e l’architettura degli alberi sia perché, in molti contesti non sempre, per ragioni strutturali e varietali, è possibile perseguire strategie di qualità del prodotto (…).
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