All’inizio dell’autunno la campagna olivicola italiana si preannunciava critica, a novembre pessima e ora non si aspetta altro che girare pagina in attesa di annate migliori.
È di 200 mila tonnellate, infatti, l’ultima stima Ismea relativa alla produzione di olio 2016/2017, il 58% in meno rispetto all’annata precedente. Tale dato, elaborato a partire dalle dichiarazioni dei frantoi a tutto gennaio 2017, delinea un quadro peggiore rispetto a quello previsto a metà novembre. Per gli operatori non solo si sono materializzati tutti i fantasmi di due stagioni fa, ma a questi sembrano essersene aggiunti degli altri. Non bastavano infatti le bizzarrie atmosferiche della primavera scorsa, gli attacchi di mosca dell’estate e dell’autunno che avevano già portato a pensare ad un anno simile al 2014, annus horribilis per l’olivicoltura italiana. A dare il colpo di grazia sono arrivate le pessime condizioni meteo di dicembre e gennaio, soprattutto, che hanno provocato un’ulteriore perdita di prodotto. Questo candida seriamente la 2016/2017 ad essere una delle peggiori campagne degli ultimi decenni.
Crollo delle produzioni
Sono molte le regioni, peraltro, che hanno subito flessioni oltre il 60%, soprattutto nel Centro-Sud. Anche la Liguria, comunque, ha avuto una pessima annata. Umbria e Toscana, pur mostrando delle perdite importanti, hanno contenuto la flessione intorno al 30%, mentre nel Nord si stima un aumento dovuto anche alla progressiva entrata in produzione dei nuovi impianti.
Anche in Spagna le cose sembrano peggiori di quanto si pensasse qualche mese fa e le previsioni fatte ad inizio campagna si stanno rilevando a dir poco ottimistiche. Dai dati forniti da Madrid, a tutto dicembre 2016 l’olio ottenuto era il 25% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. A due cifre, secondo rilevazioni Ismea, la flessione stimata in Grecia dove a pesare è soprattutto l’isola di Creta, mentre negli altri areali si prevedono volumi in crescita rispetto allo scorso anno. Nel frattempo sembrano essersi ridimensionate anche le attese flessive in Tunisia (-7%). Stabile invece, secondo le ultime indicazioni fornite dal COI, la produzione turca e marocchina (rispettivamente 143 mila e 130 mila tonnellate). Tra i nuovi produttori, che essendo nell’emisfero Sud hanno già contabilizzato la produzione 2016, si segnala l’incremento dei volumi di Argentina e Australia.
Stando così le cose la produzione mondiale potrebbe attestarsi sulla soglia dei 2,5 milioni di tonnellate, ma l’incognita Spagna potrebbe far spostare il volume finale.
Andamento dei prezzi
Sul fronte del mercato si stanno consolidando gli aumenti in atto già da mesi. Nelle prime settimane di marzo il prezzo medio dell’extra italiano ha sfiorato i 6 euro al chilo, in crescita di 12 centesimi su gennaio e di 2 euro al chilo su settembre, quando era già evidente che la campagna in corso sarebbe stata quantitativamente scarsa. Nel barese sono stati superati i 6 euro al chilo con livelli addirittura superiori a quelli dello stesso periodo del 2015. Prezzi elevati, in media 5,75 euro al chilo anche in Calabria, mentre in Sicilia le quotazioni non scendono sotto i 6,40 euro/kg. I prezzi attuali dell’extra risultano in aumento di oltre il 50% se confrontati con lo stesso periodo dello scorso anno, mentre sono sostanzialmente in linea con i primi mesi del 2015 quando la disponibilità di prodotto era simile a quella attuale, vista la poca produzione del 2014.
In aumento, ma in maniera meno accentuata, anche i prezzi dell’extra spagnolo che da settembre ad ora ha guadagnato 66 centesimi al chilo attestandosi a 3,87 euro al chilo. I 4 euro raggiunti a febbraio, invece, segnano un record per l’extra tunisino, almeno negli ultimi dieci anni.
Cresce l’export
Intanto arrivano buone notizie sul fronte commercio estero. Da gennaio a novembre sono diminuite le importazioni italiane di olio di oliva e sansa, mentre sono cresciute le esportazioni. Gli acquisti oltre frontiera sono fermi a 503 mila tonnellate, il 4% in meno dello stesso periodo dello scorso anno, mente la spesa corrispettiva, pari a 1,56 miliardi di euro, è scesa del 7%. Di contro, l’export in volume ha mostrato una progressione del 10%, accompagnata da un +6% degli introiti. Tra i Paesi clienti non si possono non nominare gli Usa che, con +13% a volume e +9% a valore, si confermano sempre più leader delle destinazioni dell’export italiano. Molto bene anche la domanda canadese, cresciuta di oltre il 40%. A due cifre anche gli incrementi in Cina e Russia, mente segna il passo la richiesta tedesca.
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