La scorsa annata ha segnato un nuovo calo per la produzione di molte aree olivicole del territorio nazionale. Benché i cali produttivi, come già nel 2014, vadano imputati per buona parte a cause fisiologiche (annate di scarica) e climatiche, è un fatto che a determinarli abbiano contribuito anche gli attacchi della mosca. La mosca delle olive (Bactrocera oleae) è considerata il fitofago chiave in olivicoltura, soprattutto negli ultimi anni. Pur disponendo di protocolli o linee di controllo, essa continua a causare notevoli danni in numerosi areali italiani. Qual è, dunque, il fattore critico? Non esistono adeguati metodi di lotta alla mosca delle olive? Oppure manca un’adeguata divulgazione dei metodi di riconosciuta efficacia verso gli olivicoltori? O ancora gli olivicoltori, pur conoscendoli, non li impiegano nella maniera dovuta?
Per Bruno Bagnoli, ex ricercatore del Cra, attualmente docente incaricato di Entomologia applicata presso l’Università della Tuscia (Viterbo) ed esperto di mosca delle olive, «tutte e tre le ipotesi sono vere, pur variando il peso di ciascuna di esse da zona a zona. Lo sono nell’olivicoltura convenzionale, e appaiono ancor più fondate in quella biologica, dove la “coperta” delle metodologie disponibili per difendere la produzione olivicola controllando la mosca delle olive è molto più corta».
Sviluppi della ricerca e assistenza tecnica
Negli ultimi 10-15 anni, sostiene Bagnoli, «la ricerca sulla mosca non è mancata, ma è stata più di base, cioè con prospettive applicative a medio-lungo termine, che applicata, basata quindi su sperimentazioni volte a mettere a punto e confrontare nuove strategie ecocompatibili. In effetti ancora oggi esistono carenze nello sviluppo di ricerche sull’applicazione di strategie agronomico-colturali e fitoiatriche efficaci per un controllo sempre più sostenibile della mosca, capaci, cioè, di evitare sia danni all’ambiente sia presenza di residui di agrofarmaci nell’olio. I servizi regionali di assistenza fitosanitaria sicuramente fanno molto, come in Toscana, dove da molti anni la Regione cura la ben strutturata piattaforma informatica AgroAmbiente.info che provvede, fra l’altro, all’emissione di bollettini e di avvisi settimanali sugli andamenti dell’infestazione della mosca nelle molte stazioni di monitoraggio. Tuttavia ritengo in generale che sia necessario fare di più sul piano dell’assistenza tecnica e della comunicazione, soprattutto nei confronti degli olivicoltori biologici. Infine gli olivicoltori non di rado mancano di preparazione adeguata e non gestiscono la lotta in maniera corretta». Fra le armi più efficaci da molti anni a disposizione degli olivicoltori operanti in agricoltura integrata per la lotta curativa ovo-larvicida rimane «in primo luogo il dimetoato, estere fosforico neurotossico, la cui idrosolubilità limita i rischi della presenza di suoi residui nell’olio».
Olivicoltura integrata
«Da quando, tra fine giugno e inizi di luglio, le olive diventano recettive alla mosca - prosegue Bagnoli - l’olivicoltore può utilizzare il dimetoato, per uno o più trattamenti, quando la percentuale di olive con uova e larve giovani vive supera una determinata soglia di tolleranza (1-3% per olive da tavola, 5-15% per olive da olio). Fondamentale, per la corretta determinazione delle soglie di tolleranza, è il lavoro di monitoraggio e campionamento da parte dello stesso olivicoltore. Infatti i modelli predittivi e i bollettini per la mosca sono uno strumento di appoggio essenziale, ma non sostituiscono la necessità di un attento monitoraggio dell’infestazione reale in corso nell’oliveto. Fine agosto-settembre è di solito il periodo più opportuno per questo tipo di lotta, ma in anni di forte e precoce attacco può essere indispensabile intervenire già contro la prima generazione estiva, specialmente se le condizioni climatiche (temperature inferiori ai 30°C e piogge frequenti) sono favorevoli alla mosca».
Altri insetticidi utilizzabili in olivicoltura convenzionale per una lotta curativa ovo-larvicida della mosca, sempre modulata sulla base del monitoraggio delle olive e l’adozione di soglie di tolleranza (o di intervento), continua Bagnoli, «sono l’estere fosforico fosmet e il neonicotinoide imidacloprid. Ovviamente, a prescindere dai formulati, ogni tipo di trattamento deve essere eseguito nel rispetto della normativa vigente, in aderenza alle indicazioni riportate nell’etichetta del prodotto (tempi di sicurezza in particolare) e tenendo debitamente conto del disciplinare di produzione integrata di riferimento. La lotta curativa applicabile in olivicoltura convenzionale, proprio perché basata su soglie di tolleranza, è assai duttile ed efficace, ma le sostanze attive di sintesi utilizzate presentano rischi non trascurabili».
Olivicoltura biologica
Nell’olivicoltura biologica i più diffusi mezzi ammessi per il controllo della mosca delle olive e la difesa delle produzioni, sottolinea Bagnoli, hanno carattere preventivo e trovano negli insetti adulti il proprio principale target.
«Caolino, sali di rame, poltiglia bordolese e altri prodotti a base di calce (in certi casi non registrati come agrofarmaci, ma utilizzabili anche in agricoltura biologica) agiscono sostanzialmente come deterrenti nei confronti delle femmine, “mascherando” fisicamente la chioma, inibendo le popolazioni batteriche sul filloplano e rendendo le drupe meno suscettibili all’ovideposizione. In particolare, si ritiene che i prodotti a base di rame possano avere un’azione diretta sulla popolazione dacica andando a interferire negativamente sulla specifica simbiosi batterica di cui le larve di mosca si avvalgono per i propri processi digestivi. I limiti comuni a questi mezzi di difesa sono gli alti dosaggi, i notevoli volumi di acqua richiesti per la distribuzione delle miscele, la loro maggiore o minore dilavabilità e un’efficacia protettiva comunque relativamente modesta. Per alcuni prodotti, come il caolino, anche il costo costituisce un problema non indifferente, mentre per i composti a base di rame non è da tralasciare la questione dell’impatto del metallo sull’ambiente e dei limiti massimi ammessi per ettaro e per anno (6 kg)».
Aggiunge Bagnoli che «da anni in olivicoltura biologica possono essere utilizzati anche dispositivi di mass trapping e attract & kill, innescati con sostanze attrattive di varia natura (sali di ammonio, proteine, feromone sessuale, ecc.) e volti alla cattura fisica degli adulti o al loro abbattimento per contatto degli stessi su superfici opportunamente trattate con piretroidi a lunga durata. Il principale aspetto positivo di questi mezzi è che l’eventuale insetticida utilizzato rimane confinato nel dispositivo. Vari sono invece i limiti, tra i quali meritano di essere ricordati il numero e il corrispondente costo dei dispositivi a ettaro, il loro smaltimento e un’efficacia piuttosto modesta, che tende a ridursi nel corso della stagione».
Mezzi ecosostenibili
Il metodo preventivo adulticida attualmente più avanzato, utilizzabile anche in olivicoltura biologica, «è quello che fa ricorso a esche zuccherine e proteiche avvelenate con spinosad, da distribuirsi sul 50-100% delle piante dell’oliveto, attraverso l’irrorazione, limitata a una piccola porzione di chioma, di soli 20-40 ml di miscela a pianta (pari a 1 litro di prodotto e 4 litri di acqua per ettaro), per realizzare sulle piante un’area (di 20-30 cm di diametro) coperta da grosse gocce attrattive avvelenate. Con questo metodo sono ammessi fino a 8 interventi per anno, il che indica una buona ecocompatibilità e selettività della tecnica, ma al tempo stesso anche una breve durata di azione e una facile dilavabilità. Nel complesso anche questo metodo, che ha come principali aspetti positivi i modestissimi quantitativi di prodotto e di miscela necessari e la rapidità di esecuzione dei trattamenti, gode di una efficacia relativamente modesta».
Mentre l’utilizzo di formulati a base di funghi entomopatogeni, come Beauveria bassiana, non ha mai trovato largo riscontro applicativo, «da alcuni anni – sottolinea Bagnoli – si assiste alla diffusione crescente di prodotti a base di estratti di piante, registrati come concimi fogliari o integratori, ma poi utilizzati come insetticidi. Indipendentemente dall’efficacia “dichiarata”, “ammessa” o “posseduta” da questi prodotti, il fatto che non siano registrati come insetticidi pone alcune serie criticità riguardanti il loro impiego!». Se è vero che molti di questi prodotti non creano un rischio ambientale, e per questo ne è ammesso l’uso non regolato alla stregua di altri fitofarmaci, non è neppure garantita la loro efficacia.
In conclusione, in attesa della disponibilità di metodi e mezzi realmente efficaci ed ecosostenibili, «per il momento, sia nell’olivicoltura biologica sia in quella convenzionale, bisogna ingegnarsi, utilizzando nella maniera migliore possibile i prodotti consentiti dalla normativa vigente, facendo leva (anche in ottemperanza al Piano di azione nazionale) sul monitoraggio delle popolazioni adulte e preimmaginali e adottando idonee soglie di tolleranza tanto per la lotta curativa (5-15% di olive infestate) quanto per quella preventiva (1-2% di olive infestate). Imprescindibile è infine l’opportuna selezione dell’epoca di raccolta, come strumento di difesa dagli attacchi tardivi e la promozione, specie per la lotta adulticida, di strategie su larga scala (Area-wide Pest Management)».
Leggi l’articolo su Olivo e Olio n. 3/2017
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Fra aprile e maggio una generazione volàno
La mosca delle olive dà l’impressione di essere diventata più dannosa nelle ultime annate produttive. «Ciò è dovuto - spiega Bagnoli - al fatto che negli anni 2007, 2014 e 2016 si sono verificati inverni miti ed estati caratterizzate da temperature non troppo elevate con piogge frequenti, condizioni ideali per lo sviluppo delle popolazioni di mosca. Inoltre, quando la raccolta non viene effettuata o non completata, la presenza in primavera di olive rimaste sulle piante dall’anno precedente consente alla mosca, fra aprile e maggio, di produrre una generazione primaverile, che fa da volàno alle successive e porta ad avere, a fine giugno-luglio, una massa di adulti molto più consistente. In annate di scarica, quando a parità di popolazione della mosca il rapporto fra adulti del dittero e numero di drupe a ettaro sale, il livello percentuale di olive infestate di conseguenza cresce in maniera progressiva, con il susseguirsi delle generazioni, arrivando anche a compromettere l’intera produzione».
Il monitoraggio delle olive può aiutare molto
Solo l’attento monitoraggio, dai primi di luglio in poi, di larve e uova vive presenti nelle olive consente di appurare l’eventuale infestazione attiva della mosca delle olive e di realizzare un’efficace lotta al dannoso insetto. Trascurare il monitoraggio diretto sulle olive, attardandosi con altri monitoraggi poco correlati al rischio d’infestazione, consentirà all’insetto, nelle annate miti e piovose, come quelle osservate nel 2014 e e nel 2016, di esprimere a pieno il proprio potenziale dannoso, con esiti prevedibilmente distruttivi.
È quanto afferma Virgilio Caleca, docente di Entomologia presso l’Università di Palermo e autore di numerose pubblicazioni sulla mosca delle olive, analizzando le ragioni per cui, saltuariamente ma sempre più spesso, almeno in alcune aree olivicole, la mosca pare assumere le sembianze di un flagello. Caleca evidenzia, in primo luogo, che la mosca non è stata realmente dannosa dovunque, anche nelle annate peggiori, ma solo in alcune zone, con notevoli differenze anche all’interno di una stessa regione. «Nelle zone pandacie, in genere quelle litorali o prossime al mare, caratterizzate da clima mite e coincidenti con l’areale di diffusione dell’olivastro, la mosca riesce a superare le soglie d’intervento quasi ogni anno, grazie proprio alla mitezza del clima (alte temperature medie, bassa escursione termica giorno-notte ed elevata umidità relativa) e alla presenza di una notevole disponibilità di olive, di olivo selvatico o coltivato, in molti periodi dell’anno. Invece nelle zone cosiddette merodacie, interne o di alta collina, l’attività della mosca viene solitamente ostacolata dai fattori climatici spesso sfavorevoli. In annate normali, caratterizzate da estati calde e secche su tutto il territorio, come nel 2015, la mosca non ha causato particolari problemi sia nelle zone pandacie sia nelle merodacie. Ma in annate con estati meno calde e più umide, come quelle del 2014 e del 2016, la mosca ha trovato le condizioni ideali per infestare le olive anche nelle zone merodacie».
Ebbene, in queste annate, osserva Caleca, nelle zone pandacie, dove gli olivicoltori sono abituati ogni anno ad affrontare per tempo e con i mezzi adeguati la lotta alla mosca delle olive, l’insetto è stato ben controllato, quindi non si è rivelato temibile. Non così nelle zone merodacie, dove la mosca non è una presenza costante: là gli olivicoltori hanno sottovalutato il pericolo e non l’hanno saputo affrontare con tempestività ed efficacia. È accaduto esattamente ciò che succede nelle aree viticole meridionali nelle annate di peronospora, quando i viticoltori non riescono, per superficialità e inesperienza, a controllare infezioni che in Piemonte o Veneto, dove la peronospora è presente ogni anno, rappresentano una routine facilmente contrastata».
Gli olivicoltori non hanno saputo prevenire, o almeno bloccare, gli attacchi della mosca «perché non hanno effettuato il monitoraggio delle olive sin dai primi di luglio, ossia da quando sono suscettibili di attacchi. Non si deve minimizzare l’importanza del monitoraggio: periodicamente occorre prendere un campione di olive (ne bastano 100 per un ettaro omogeneo) e tagliarle per verificare l’eventuale presenza di uova e larve vive, segno di infestazione attiva. In estati calde e secche le mosche non riescono a ovideporre o compiono punture per alimentarsi senza ovideporre, e molte larve di prima e seconda età, che sono in gallerie vicine alla superficie dell’oliva, non sopravvivono. Un monitoraggio accorto va effettuato, dai primi di luglio in poi, ogni 15 giorni se il clima decorre caldo e secco, ogni 7 se è piovoso».
Per trattamenti larvicidi curativi la soglia di intervento di riferimento ad agosto-settembre, informa Caleca, «è il 10-15% di infestazione, invece per trattamenti preventivi a luglio con esche avvelenate, caolino o composti del rame è il 5%. Un oculato monitoraggio permette di effettuare i trattamenti nei tempi giusti e di ridurne il numero all’indispensabile: ciò consente di contenere anche i costi. È invece quasi inutile fare ricorso alle trappole: è stato dimostrato che non esiste una stretta correlazione fra catture di adulti e infestazione attiva; esse ci segnalano che la mosca è presente nel nostro oliveto, ma non riusciamo a trasformare il numero di catture in rischio d’infestazione, mentre con il monitoraggio sulle olive otteniamo direttamente l’attuale livello d’infestazione».
La scorsa annata in Alta Murgia e Basilicata
Fra l’Alta Murgia barese e le medio-alte colline lucane la mosca delle olive ha mietuto nell’annata 2016 molte vittime, causando, soprattutto nelle aziende olivicole biologiche, perdite di produzione dell’80%. Così commenta Antonio Raguso, olivicoltore di Gravina in Puglia (Ba) con 50 ha in biologico e titolare dell’oleificio Biofrantoio Raguso: «Nelle aree costiere pugliesi, come Andria e Bitonto, si sono avuti problemi di allegagione, ma non di mosca: e dove questi si sono presentati, gli olivicoltori hanno saputo affrontarli. Invece nelle nostre zone, più interne, l’allegagione è stata ottima, ma la mosca ha provocato perdite per cascola incredibili. Forse non abbiamo eseguito monitoraggi molto attenti, forse non siamo stati adeguatamente tempestivi nei trattamenti. Si sono susseguiti troppi cicli di mosca, avvantaggiati dalle frequenti precipitazioni, che hanno dilavato caolino e composti di rame utilizzati per i trattamenti preventivi adottati nel biologico. Chi ha operato in convenzionale ha ottenuto risultati solo leggermente migliori con il dimetoato, ma ha risentito comunque di grossi cali di rese in campo. Dalla mia azienda ho ricavato solo il 20% della produzione di un’annata normale, dovendo ricorrere a terzi per la fornitura di olive biologiche da molire».
Ma anche nel Materano e nel Potentino la situazione per l’annata 2016/17 non è stata migliore: molti frantoi, data la scarsa o nulla disponibilità di olive integre, sono rimasti chiusi, dichiara Francesco Potenza, frantoiano di Ferrandina (Mt). «A Matera e altrove diversi frantoiani non hanno lavorato affatto e chi ha aperto ha operato su partite di olive ridotte e infestate dalle larve, senza ottenere olio di qualità».
molto interessante