L’occhio di pavone, o cicloconio, è la più importante malattia fungina dell’olivo, causata da Venturia oleaginea (ex Spilocaea oleaginea), un agente di defogliazione dell’olivo presente in tutte le aree olivicole italiane e molto simile al fungo che provoca la ticchiolatura del melo.
È una malattia sempre più diffusa negli areali olivicoli italiani, perché favorita sia dagli effetti della crisi climatica, come piogge ed elevata umidità relativa in associazione a temperature miti o alte, sia dalla crescita di impianti intensivi e molto intensivi caratterizzati da un microclima più propizio allo sviluppo di tale patologia fungina. Fra le malattie fungine dell’olivo è una delle più dannose, infatti può causare una riduzione media di produzione del 30-40%.
Perciò è importante evitare che si presenti nell’oliveto e, in tale malaugurato caso, occorre effettuarne un adeguato controllo. È quanto ha affermato Roberto Buonaurio, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali (DSA3) dell’Università di Perugia nel corso di un seminario di aggiornamento sulla rogna dell’olivo e sull’occhio di pavone organizzato dall’Accademia nazionale dell’olivo e dell’olio (Anoo).
Occhio di pavone, malattia subdola
L’occhio di pavone è una malattia subdola, ha sottolineato Buonaurio.
«In alcuni periodi dell’anno i sintomi dell’infezione non sono distinguibili facilmente. Soprattutto durante l’inverno, la malattia, anche se è presente, non si osserva.
Invece, in estate, non passa inosservata, poiché sulla pagina superiore delle foglie sono ben evidenti le caratteristiche macchie scure circolari, di aspetto fuligginoso e circondate da un alone giallastro. Altra manifestazione ben chiara della malattia è la conseguente filloptosi».
Come avviene l’infezione fogliare
Il fungo infetta la pianta entrando nella foglia e il suo micelio rimane a lungo sotto la cuticola, in una fase di latenza, quindi senza espressione di sintomi.
«Temperature piuttosto elevate allungano il periodo di latenza, invece quelle ottimali, intorno a 15-16 °C, lo riducono notevolmente. Le infezioni latenti appaiono evidenti dopo trattamento con una soluzione al 5% di soda. Le infezioni possono avvenire anche quando le foglie sono lunghe appena 2 mm.
Poi, appena le condizioni ambientali tornano favorevoli, l’infezione diventa palese: il fungo comincia a perforare la cuticola e fuoriesce, producendo le spore, che diffondono la malattia nella stessa pianta o in piante vicine. Le spore del fungo vengono principalmente diffuse dalla pioggia nel raggio massimo di 10 metri dalla sorgente di infezione, quindi la maggior parte delle spore non vanno molto lontano. L’intervallo termico in cui il patogeno agisce è molto ampio, va dai 3 °C ai 28 °C. 18 ore di bagnatura fogliare, per pioggia o nebbie persistenti, sono necessarie affinché si abbia l’infezione, perché le spore per germinare hanno bisogno di molta acqua, di un velo liquido che rimanga a lungo sulle foglie».
La lotta chimica contro l’occhio di pavone
Nella lotta chimica è possibile utilizzare sia fungicidi ad azione preventiva, di copertura, sia prodotti curativi, translaminari o sistemici, ha concluso Buonaurio.
Lotta chimica alla malattia | |||
Preventivi | Curativi | ||
di copertura | Translaminari | Sistemici | |
Composti rameici | Guanidine | Analoghi delle strobilurine | Triazoli |
Poltiglia bordolese Ossicloruri di rame Idrossido di rame Solfato di rame tribasico | Dodina | Azoxystrobin Kresoxim-Metile Trifloxystrobin Pyraclostrobin | Tebuconazolo Difenoconazolo |
Fonte: Roberto Buonaurio |
«I prodotti di copertura, che agiscono solo sulla superficie della pianta, sono i composti rameici, cioè poltiglia bordolese, ossicloruri di rame, idrossido di rame e solfato di rame tribasico, peraltro gli unici utilizzabili in agricoltura biologica. Ma l’utilizzo di rame è in continua diminuzione ed è probabile che entro il 2025 possa essere addirittura vietato, perché il rame è molto tossico per l’ambiente.
I prodotti curativi possono essere translaminari, come la dodina e gli analoghi delle strobilurine, o sistemici, i triazoli. L’applicazione di fungicidi di anno in anno riduce l’inoculo globale del fungo nell’oliveto e può, dietro attento monitoraggio, permettere di diminuire il numero degli interventi. Intanto è necessario ampliare la sperimentazione sugli induttori di resistenza perché promettenti, nella speranza che possano sostituire i composti rameici soprattutto in agricoltura biologica».
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