Filiera olivicola-olearia italiana, un punto di svolta sempre più necessario

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Un aggiornamento sullo stato di salute della filiera olivicola-olearia nazionale: le opportunità offerte dal piano strategico della Pac e quelle di un mercato con punti di forza ancora poco sfruttati

Con il nuovo corso delineato dal Piano Strategico della Pac è arrivato il momento per il settore olivicolo-oleario italiano di cambiare marcia e di riconquistare il ruolo che compete ad un prodotto così importante per il panorama agroalimentare.

Il Piano strategico della Pac (PSP) è stata l’occasione per analizzare in maniera approfondita pregi e difetti di un settore complesso e che rischia di restare un eterno incompiuto perché gli innumerevoli punti di forza si lasciano troppe volte oscurare da una serie di debolezze alle quali bisogna far fronte con gli strumenti a disposizione.

Nel PSP si è cercato di definire una strategia per il settore olivicolo-oleario che mettesse a disposizione degli operatori un sistema complesso ma coerente di interventi al fine di raggiungere contemporaneamente tre obiettivi:

  1. miglioramento della competitività del settore,
  2. miglioramento della qualità della produzione,
  3. maggiore sostenibilità.

Va da sé, quindi, che la strategia pensata per il settore - per essere veramente incisiva - necessita della complementarietà di tuti gli strumenti a disposizione, intervento settoriale in primis, ma in stretto collegamento con:

  1. pagamenti diretti per sostegno al reddito, miglioramento qualità produzione, mitigazione/adattamento cambiamenti climatici e in favore dell’ambiente - ridefinizione pagamento accoppiato solo per olio IG;
  2. eco-schema 3 - Salvaguardia olivi di particolare valore paesaggistico;
  3. sviluppo rurale - Misure di SR quali investimenti in azienda per nuovi oliveti, ristrutturazione e modernizzazione di quelli esistenti, riconversione varietale, diversa collocazione o reimpianto degli oliveti; ristrutturazione e modernizzazione dei frantoi/centri di stoccaggio; sostegno alle produzioni di qualità; misure ACA ecc.;
  4. PNRR per contratti di filiera, miglioramento nell’uso delle risorse idriche, economia circolare e bioeconomia (agricoltura di precisione e sostituzione frantoi obsoleti), per ammodernamento frantoi oleari.

A questo si aggiungono tutte le altre misure previste in maniera non specifica per il settore olivicolo-oleario.

In questo quadro strategico la grande novità sta proprio nell’attuazione dell’Intervento settoriale che si avvicina al modello ortofrutta e che, quindi, fa assumere alla OP/AOP il ruolo di fulcro dell’azione comunitaria.

Senza entrare nel merito dell’IS olio questo è sicuramente un punto di svolta per il settore perché le OP/AOP sono chiamate a fare un cambio di passo importante, essendo i finanziamenti legati al valore del prodotto commercializzato e questo implica una non trascurabile ristrutturazione organizzativa e manageriale.

C’è bisogno, quindi, di guardare al settore e alla sua struttura in maniera “laica” proprio per arrivare all’obiettivo che nel medio termine si possa descrivere il settore in termini più di pregi che non di carenze.

Sempre da tener conto che l’Italia ha un ruolo molto importante nello scacchiere internazionale: è

  • il primo consumatore mondiale,
  • il primo importatore,
  • il secondo produttore (di solito)
  • e il secondo esportatore.

E comunque quando siamo secondi il divario con la Spagna è amplissimo.

Come si appresta quindi il settore ad affrontare queste nuove sfide, quali sono le sue caratteristiche strutturali e quali le potenzialità?

Superfici ed abbandono

Il settore olivicolo conta una superficie molto estesa che sia avvicina a 1,16 milioni di ettari, variabile questa piuttosto stabile anche in conseguenza di divieti di espianto che perdurano ancora in molte regioni. La prima nota dolente è che negli anni il fenomeno dell’abbandono è stato sempre più evidente per tanti motivi. L’invecchiamento dei conduttori ed una conduzione poco professionale, che l’ha resa non remunerativa, sono tra le cause principali. A fronte di questa stabilità degli oliveti, invece sono le aziende olivicole ad essere diminuite. Il confronto tra il Censimento del 2020 e quello precedente, infatti, mostra una riduzione del 31% che caratterizza tutte le regioni a più altra vocazione olivicola, quindi Centro-Sud e Liguria.

Intanto a delineare le caratteristiche del settore bastano poche variabili. Una produzione con una variabilità troppo alta non riesce a soddisfare la domanda che, anche per la struttura dell’export, deve fare un massiccio ricorso alle importazioni soprattutto di provenienza iberica.

Tabella 1 - La produzione italiana di olio di oliva (tonnellate)
media 2018-21 2021 2022* Var. % 22/21
Piemonte 14 10 22 117%
Lombardia 751 157 916 483%
Trentino-Alto Adige 317 90 509 466%
Veneto 1.865 420 2.009 379%
Friuli-Venezia Giulia 102 74 143 92%
Liguria 3.201 1.517 2.744 81%
Emilia-Romagna 1.185 1.165 1.577 35%
Toscana 15.461 10.918 17.759 63%
Umbria 5.096 3.178 5.629 77%
Marche 2.999 3.682 3.243 -12%
Lazio 12.253 12.166 15.780 30%
Abruzzo 8.770 11.037 5.480 -50%
Molise 2.818 3.158 2.610 -17%
Campania 11.443 10.853 11.519 6%
Puglia 145.037 177.407 99.348 -44%
Basilicata 4.413 5.919 2.179 -63%
Calabria 35.593 44.792 30.459 -32%
Sicilia 31.153 38.870 31.873 -18%
Sardegna 3.416 3.613 7.125 97%
Italia 285.888 329.026 240.922 -27%
Fonte: Scheda di settore Ismea-aprile 2023; *provvisorio

Le ultime stime Ismea, peraltro, fissano la produzione 2022 a 241 mila tonnellate con una flessione del 27% rispetto allo scorso anno, rivedendo verso l’alto il dato elaborato a settembre da Ismea in collaborazione con Italia olivicola e Unaprol. Dato questo, comunque, che potrebbe far perdere per questa campagna, il secondo posto nella graduatoria internazionale dei produttori.

Le produzioni Dop e Igp

Parlando di produzione non si può non far riferimento alle IG. L’Italia ormai conta 50 Ig, di cui 8 Igt, ed una superficie di oltre 180 mila ettari, il 15% del totale. Negli ultimi anni, anche grazie al successo dell’Igp Toscano, sono state riconosciute alcune Igp regionali che cominciano ad avere apprezzamento sul mercato a partire dall’Igp Sicilia e su questa scia altre regioni hanno optato per questa soluzione, ultima in ordine di riconoscimento la Campania proprio nei primi mesi del 2023 (vedi anche articolo a pag. 6 di Olivo e Olio 3/2023).

Ma a guardare i dati delle reali produzioni certificate IG questi dati non si ritrovano. Negli anni non è cambiato così tanto in termini di volumi con il riconoscimento comunitario.

La produzione è ferma a poche migliaia di tonnellate nonostante l’elevato numero di riconoscimenti, un panorama varietale unico al mondo e la presenza di territori vocati e aziende d’eccellenza. I volumi, peraltro, sono concentrati su pochi prodotti. Le prime due IG rappresentano il 45% della produzione totale e con le prime sei si arriva al 73%.

Le IG olio restano quindi un prodotto di nicchia senza riuscire a conquistare quote di mercato significative. In molti casi, peraltro, il prezzo di mercato di alcune IG non si scosta molto dal prezzo dell’olio convenzionale delle stesse aree e questo non è particolarmente incentivante per gli operatori visti comunque i costi di certificazione da sostenere.

C’è quindi ancora molto potenziale da sfruttare da parte di tutta la filiera a partire dalla produzione per arrivare ad una sempre maggior informazioni ai consumatori.

Anche nel bio c’è da ridurre la distanza tra quello che potrebbe essere e quello che non è ancora. La superficie bio, cresciuta in dieci anni del 50%, rappresenta ora il 21% della superficie totale ma la produzione del 2021 è stata pari solo al 15% di quella totale.

È un settore questo che, forse, deve credere di più in se stesso e partire dalle sue tante eccellenze. Lo si è visto anche all’ultimo Sol con tanti operatori, con l’entusiasmo di tante aziende.

Intanto, per tornare alla congiuntura, non si può non fare una breve analisi dei prezzi alla produzione (grafico 3).

Secondo rilevazioni Ismea i listini medi dell’Evo stanno registrando valori molto elevati e forse mai così elevati. In media l’evo italiano aveva superato i sei euro nell’inverno 2015, ma in quello attuale si è arrivati oltre i 6,10 e si sottolinea “in media”. Complice una produzione mondiale scarsa, soprattutto in Spagna, anche negli altri Paesi competitor si rilevano prezzi record.


Per approfondimenti è disponibile l’aggiornamento della scheda di settore pubblicata sul portale Ismea


L’articolo è pubblicato su Olivo e Olio 3/2023

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Filiera olivicola-olearia italiana, un punto di svolta sempre più necessario - Ultima modifica: 2023-05-22T08:25:55+02:00 da K4

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