Knock-out da ricordare. Ma non tutto è perduto

olivicoltura
In molti casi a rischio la classificazione ad extravergine. Fondamentale, per chi è riuscito a salvare la qualità, una corretta conservazione per una maggiore durata. In un’annata così, necessaria più che mai la filtrazione

Scarsa produzione e mosca hanno messo al tappeto l’olivicoltura italiana, ma non tutto è perduto.

Situazioni di difficoltà devono essere viste non come una sconfitta, ma come un’opportunità e uno stimolo a razionalizzare la filiera olivicola e mettere a punto interventi di tecnica colturale, difesa fitosanitaria, tecnologia estrattiva e conservazione dell’olio, per garantire quantità e qualità di prodotto nel tempo, a difesa di un patrimonio olivicolo inestimabile che caratterizza l’Italia da Nord a Sud.

Occorre rilanciare ricerca e sperimentazione, innovazione tecnologica, valutazione di vecchie e nuove varietà, confronto tra i diversi modelli di coltivazione, unitamente alla salvaguardia del patrimonio storico-culturale-paesaggistico e della biodiversità, continuando a guardare gli obiettivi prioritari: aumento della produzione, riduzione dei costi, miglioramento della qualità del prodotto, esaltandone la tipicità, nel rispetto dell’ambiente e della salute del consumatore.

Preservare il prodotto

In Italia si stima una riduzione delle produzioni del 35% rispetto al 2013, con differenze legate ai diversi territori. Parametri chimici alterati soprattutto a causa della mosca e difetti più o meno evidenti a livello sensoriale hanno portato talora a un declassamento degli oli dalla categoria extravergine a vergine, fino a lampante nei casi più gravi, e una riduzione del prodotto idoneo alle certificazioni Dop/Igp.

Ma non tutto è perduto. Seppure con un livello qualitativo generalmente inferiore al solito, diverse aziende hanno raggiunto l’obiettivo e sono arrivate alla raccolta, abbastanza precoce rispetto ad altre annate anche, con olive tendenzialmente sane che, lavorate con gli adeguati accorgimenti tecnologici, hanno garantito un prodotto di qualità. Gli oli prodotti nel 2014 sono più delicati, con minor carica fenolica, per la stagione piovosa e le percentuali di infestazioni di Bactrocera oleae. è, quindi, ancora più importante una corretta conservazione per preservare gli antiossidanti e le sostanze aromatiche di pregio.

Necessario condizionare i locali di conservazione con un impianto di climatizzazione, che mantenga una temperatura costante più possibile vicino ai 15°C; in alternativa termostatare i contenitori di stoccaggio, possibilmente in acciaio inossidabile. In assenza di un locale climatizzato è possibile che in inverno temperature inferiori ai 5-10°C portino ad un congelamento parziale o totale dell’olio; il processo è più veloce negli oli non filtrati, dove l’acqua di vegetazione e le mucillagini in sospensione favoriscono la formazione di nuclei di cristallizzazione, accelerando il processo rispetto agli oli limpidi. La solidificazione comporta difficoltà in travaso e filtrazione, ma soprattutto ripercussioni negative su qualità e conservazione. Dopo lo scongelamento l’olio tende a diventare limpido, ma è meno stabile all’ossidazione, a causa della sedimentazione di parte degli antiossidanti fenolici idrofili; con il successivo scongelamento si forma un deposito biancastro all’interno del quale sono concentrati gli antiossidanti che non essendo più uniformemente disciolti nell’olio perdono potere antiossidante.

In un’annata simile è più che mai necessaria la filtrazione quale elemento di stabilizzazione; si sconsiglia pertanto di far decantare l’olio naturalmente e di effettuare frequenti travasi, che comportano una maggiore ossidazione, oltre che l’innesco di attività enzimatiche idrolitiche-glucosidiche e l’avvio di fermentazioni a carico dei polisaccaridi presenti nel torbido, con conseguenti difetti di morchia e riscaldo.

In fase di confezionamento ed etichettatura, porre particolare attenzione nell’indicare la data di preferibile consumo (o termine minimo di conservazione), che la normativa attuale prevede di massimo 18 mesi dal confezionamento; è necessario garantire che fino a quella data il prodotto, purché correttamente conservato, mantenga inalterate le caratteristiche chimico-fisico-organolettiche prescritte dalla normativa vigente o quelle più particolari e restrittive vantate nell’etichetta e nella pubblicità. Eventuali piccole imperfezioni a livello organolettico (cenni di fermentazioni/ossidazioni), o parametri chimici più vicini al limite massimo per la categoria, porteranno a un deterioramento più veloce del prodotto.
Ovviamente è necessario garantire che l’olio posto in commercio come extravergine possegga, sin da subito, i parametri chimici ma anche sensoriali (assenza di difetti, presenza di fruttato) previsti dalla normativa; si consiglia pertanto di sottoporlo a laboratori chimici accreditati e al panel test ad opera di comitati di assaggio riconosciuti dal ministero.

Prepararsi al risveglio

È importante garantire una buona illuminazione su tutta la chioma, considerato che la conferma della differenziazione a fiore avviene in pieno inverno (gennaio-febbraio); poca luce nell’oliveto, dovuta ad una posizione sfavorevole o all’ombreggiamento di altre piante o strutture, potrebbe causare problemi di scarsa fioritura e scarsa allegagione.

La potatura nei mesi più freddi contribuisce a creare maggiore luminosità all’interno della chioma, oltre che più arieggiamento; è inoltre indirettamente utile anche ai fini fitosanitari, soprattutto in impianti fitti, con chiome affastellate, dove scarsa areazione ed elevata umidità relativa favoriscono lo sviluppo di diversi patogeni, con conseguente riduzione dello sviluppo vegetativo e della capacità produttiva.

Le operazioni di potatura di ringiovanimento o di riforma, vanno eseguite prima della ripresa vegetativa, nel caso di piante invecchiate e poco reattive alle sollecitazioni agronomiche, o piante mal impostate, con eccessiva quantità di legno o altezza elevata che rende difficoltose le operazioni di raccolta, mirando a riformare la struttura primaria della pianta e ad indirizzare risorse verso le parti che dovranno essere ricostituite, a partire dalla schiusura di gemme latenti e dal maggior vigore dei germogli residui. Una potatura drastica provoca infatti una risposta vegetativa più o meno forte in relazione all’intensità dei tagli, a causa di uno squilibrio che si viene a creare tra apparato radicale, che diviene esuberante, e chioma residua che non riesce a smaltire l’abbondante disponibilità di nutrienti. Per questo si raccomanda di mantenere il volume complessivo della chioma più vicino possibile a quello dell’apparato radicale, evitando l’eccessiva emissione di polloni e succhioni, che dovranno essere gestiti nell’estate successiva.

Trattamenti a base di rame dopo le operazioni di potatura, oltre che prevenire l’ingresso della rogna, consentono di ridurre l’inoculo fungino (occhio di pavone, lebbra) che la scorsa stagione estiva umida e piovosa ha contribuito a potenziare.

Alla ripresa vegetativa è importante effettuare la concimazione azotata. L’azoto influisce sull’accrescimento vegetativo delle piante e sugli aspetti produttivi; carenze comportano un accrescimento ridotto dei germogli, foglie di colore verde chiaro, frutti piccoli, limitata differenziazione a fiore; eventuali eccessi portano invece ad un notevole accrescimento dei germogli, emissione di numerosi succhioni, minore produzione, ritardo nella maturazione dei frutti e maggiore sensibilità agli stress, sia ambientali che parassitari.

In caso di freddo

L’olivo ama il caldo e un inverno rigido può danneggiare le piante in base ad intensità e durata delle minime termiche, velocità di abbassamento della temperatura, umidità dell’aria e del suolo, varietà, età della pianta (piante giovani più sensibili di piante adulte), stato vegetativo (tessuti più o meno idratati) e stato nutrizionale.

Temperature minime invernali di -5, -6°C possono causare danni alle foglie (filloptosi), -8°C danni ai rametti di un anno (distacco dell’epidermide dalla corteccia per formazione di cristalli di ghiaccio), -12°C danni alle branche e al tronco (fessurazioni e spaccature sulla corteccia, imbrunimento della zona del cambio) che richiedendo interventi di ristrutturazione delle piante, da valutare attentamente nei tempi e nelle modalità.

La neve e la nebbia contribuiscono a creare un elevato grado di umidità che può aggravare i danni da freddo, così come i venti freddi di tramontana, oltre che per l’azione meccanica, per il raffreddamento che provocano; abbondanti nevicate possono danneggiare la struttura delle piante, soprattutto nel caso di branche compromesse dalla carie o inserite sul tronco con un angolo troppo aperto. Il freddo in inverno è comunque necessario per l’induzione delle gemme a fiore; il fabbisogno in freddo varia in modo sostanziale tra le diverse varietà (da 50-60 ad oltre 1.200 ore al di sotto dei 7,2 °C).

Gelate, che fare

Nelle zone a maggiore rischio di gelate è possibile quindi adottare scelte agronomiche e varietali in grado di ridurre il rischio di danni, al di là di quella che sarà l’annata.

In aree fredde è quindi altamente sconsigliabile effettuare concimazioni azotate in prossimità dell’autunno-inverno o comunque creare condizioni atte a prolungare la crescita vegetativa degli alberi, come la potatura durante la raccolta, in quanto i tagli stimolano lo sviluppo di nuovi germogli all’approssimarsi delle basse temperature, rendendo la pianta più sensibile al freddo. Per indurire le piante possono inoltre essere effettuati trattamenti a base di rame metallico (solfato) ad elevata concentrazione (almeno 1,5%).

Riguardo alle scelte varietali, ciascun genotipo possiede una specifica capacità di adattamento e la sua risposta al freddo può cambiare in base al tipo di gelata.

Le gelate invernali sono caratterizzate da abbassamenti termici importanti e prolungati, ma trovano le piante in condizioni di riposo vegetativo, quindi acclimatate, con i tessuti induriti.

Le gelate primaverili sono caratterizzate da minime termiche più modeste ma repentine e da consistenti escursioni termiche, che trovano le piante non indurite e mettono a dura prova le membrane cellulari, con formazione di ghiaccio intracellulare.

Un graduale abbassamento di temperatura nel periodo autunno-inverno può consentire a tutte le varietà di prepararsi ad affrontare il freddo; le piante infatti rallentano l’attività vegetativa e avviano un processo d’acclimatazione, ovvero adattano gradualmente la loro fisiologia alle basse temperature e induriscono i tessuti, riuscendo a resistere a temperature inferiori; si verificano cambiamenti metabolici importanti, come la trasformazione di parte dell’amido in zuccheri solubili e riduzione del contenuto in acqua di foglie e rami, che conferiscono ai tessuti maggiore resistenza al congelamento. Differenze varietali nella sensibilità al freddo potrebbero, invece, evidenziarsi nel caso di andamenti termici irregolari come, ad esempio, un improvviso periodo di freddo non preceduto da un graduale abbassamento di temperatura, che potrebbe danneggiare le varietà ancora prive degli effetti dell’acclimatamento, oppure un ritorno tardivo di freddo successivo ad un periodo relativamente mite, che potrebbe danneggiare le varietà che hanno riattivato il metabolismo.

È importante prendere in considerazione la tolleranza alle minime termiche invernali nelle zone fredde per salvaguardare le piante non tanto dagli effetti di un severo stress, quanto dagli effetti di gelate meno distruttive. La scelta varietale dovrà essere comunque basata su una valutazione agronomica complessiva dei genotipi; difficilmente infatti i migliori requisiti si trovano cumulati nello stesso genotipo, per cui occorre stabilire un ordine prioritario delle necessità conforme agli obiettivi previsti, iniziando dalle caratteristiche del frutto, dalla composizione dell’olio, cercando una elevata e costante produttività, ma disposti a rinunciare a qualcosa in termini di rusticità e resistenza ai parassiti.

Knock-out da ricordare. Ma non tutto è perduto - Ultima modifica: 2015-03-06T10:24:39+01:00 da Lucia Berti

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