
Pratiche sostenibili in olivicoltura possono aiutare a contrastare il cambiamento climatico con il sequestro del carbonio (C) e a migliorare il reddito dell'olivicoltore. Questo il tema al centro del quinto di un ciclo di sei seminari a distanza telematici dedicati alla filiera olivicolo-olearia e organizzati dall’Accademia nazionale dell’olivo e dell’olio per l’autunno 2025. Lo ha trattato Primo Proietti, docente ordinario di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree presso il Dipartimento di scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università di Perugia.
Contributo alla mitigazione del cambiamento climatico
«L’abbandono di numerosi oliveti in Italia e in altri paesi olivicoli, per scarsa redditività, è molto pericolosa, perché l’importanza di questi oliveti va considerata nella loro multifunzionalità: quindi non solo nella loro dimensione produttiva, ma anche per i servizi ecosistemici che garantiscono:
- tutela del suolo e difesa idrogeologica,
- formazione di habitat naturali,
- mantenimento della biodiversità,
- valore paesaggistico
- e contrasto al cambiamento climatico.
Occorre, quindi, restituire redditività a questa coltura, anche monetizzando i servizi ecosistemici generati. Un servizio ecosistemico che potrebbe essere monetizzato in olivicoltura, come già sperimentato in ambiti forestali, è quello legato alla mitigazione del cambiamento climatico, mediante il potenziamento e la quantificazione dell’assorbimento del carbonio, verificati attraverso un bilancio assorbimento/cessioni, considerando:
- la riduzione dell’emissione di CO2 nell’aria (minore consumo energetico per gestione del terreno, assenza di bruciatura delle potature, riduzione dell’uso di pesticidi e concimi chimici, minore consumo energetico per la gestione dei sottoprodotti con il loro riuso ai fini agricoli ed energetici, ecc.);
- l’assorbimento di CO2 da parte delle piante di olivo, che assicurano uno stoccaggio duraturo e abbondante perché l’olivo è una specie arborea longeva e con abbondante massa legnosa;
- l’incremento di carbonio del suolo (trinciatura sul posto delle potature, inerbimento del suolo, uso di concimi organici, ammendamento con sottoprodotti)».
Attitudine dell’oliveto al sequestro del carbonio
Per quantificare la capacità della filiera olivicolo-olearia di contrastare il cambiamento climatico, grazie alla potenziale grande attitudine al sequestro del carbonio nell’oliveto, ha spiegato Proietti, occorre effettuare il bilancio del carbonio attraverso il calcolo delle emissioni e degli assorbimenti di carbonio nell’intera filiera olivicolo-olearia.
«La Carbon footprint (CF) è un indicatore ambientale che misura l’impatto delle attività umane sul clima globale ed esprime in t CO2 equivalente (tCO2eq) il totale delle emissioni dirette e indirette di gas a effetto serra in tutte le fasi della vita del prodotto secondo norme internazionali. La CF, contabilizzando le emissioni di CO2, evidenzia le fasi di criticità ambientale di un ciclo produttivo, consentendo di intervenire in maniera mirata per ridurre gli impatti ambientali aziendali e, quindi, migliorare il bilancio del carbonio. Nei nostri studi abbiamo analizzato la filiera olivicolo-olearia attraverso un approccio “dalla culla al cancello”, cioè considerando tutte le fasi della filiera: produzione, trasformazione, imbottigliamento e stoccaggio. I dati necessari sono stati raccolti attraverso sia rilievi diretti sia questionari consegnati all’olivicoltore/frantoiano. La CF della produzione di un litro di olio extra vergine di oliva è stata determinata attraverso il software Sima Pro. Il processo è stato validato da un organismo di certificazione (SGS Italia spa) che ha esaminato i Carbon footprint study report (documenti che attestano la modalità di calcolo dell’impronta di carbonio) e richiesto modifiche. Al termine del processo di verifica l’organismo di certificazione ha prodotto per ogni azienda una critical review in cui si attesta la conformità dei calcoli fatti alle norme Iso di riferimento».
Pratiche più impattanti per emissione di CO2
In particolare, ha evidenziato Proietti, nella fase di produzione le pratiche più impattanti in termini di emissione di CO2 sono risultate essere
- la concimazione chimica,
- i trattamenti antiparassitari (incluse le emissioni connesse alla produzione di concimi/fitofarmaci e al loro trasporto)
- e il trasporto delle olive al frantoio.
Nella fase di trasformazione le operazioni con maggiore impatto si sono dimostrate
- l’estrazione
- e l’imbottigliamento.
«Invece per la determinazione del sequestro della CO2 atmosferica nella biomassa arborea permanente (radici, tronco, branche) come carbonio organico, è stata definita la relazione allometrica “diametro basale del tronco – biomassa epigea”. Per determinare lo stoccaggio di carbonio organico nel terreno è stato considerato il suo incremento implementando specifiche tecniche (trinciatura delle potature, ammendamento con sansa, ecc.)».
Bilancio fra CF e sequestro carbonio per 1 L olio evo
Mediamente in un gruppo di aziende studiate in Italia, Grecia e Israele, tenendo conto solo di incremento della struttura legnosa e potature (senza considerare altre attività addizionali che in realtà hanno ulteriormente migliorato il bilancio del C), per un litro di olio extravergine di oliva il sequestro del carbonio è risultato quasi doppio della quantità emessa:
(emissioni) (sequestro)
3,4 kg CO2eq/L di olio evo vs 6,0 kg CO2eq/L di olio evo
Carbon label, certificazione ambientale
La riduzione della Carbon footprint aziendale (miglioramento delle performance) può comportare un vantaggio competitivo, ha sottolineato Proietti. «La Carbon label (certificazione ambientale: marchio ecologico che certifica le emissioni di gas serra) è percepito dai consumatori come un indice di qualità/sostenibilità delle imprese, anche per il diretto collegamento alle attualissime emergenze ambientali conseguenti al cambiamento climatico. In effetti va progressivamente aumentando la consapevolezza del consumatore di poter influenzare le logiche produttive attraverso una “pressione selettiva positiva” verso i prodotti a minore impatto ambientale (green consumption)».
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Un ulteriore beneficio aziendale: i crediti di carbonio
Il “credito di carbonio” è un’attestazione di avvenuta riduzione delle emissioni in atmosfera e/o di aumento di sequestro di gas climalteranti grazie alla implementazione di azioni per ridurre emissioni e/o aumentare l’assorbimento della CO2. «Il miglioramento del bilancio del carbonio negli oliveti genera quindi “crediti di carbonio”, aprendo la possibilità per gli olivicoltori di venderli a potenziali acquirenti nel mercato volontario dei crediti di carbonio. Attualmente non esiste uno schema di certificazione ufficiale dell’Ue per i crediti di carbonio nel settore agricolo. Tuttavia per il 2028 è prevista l’istituzione di un registro dell’Ue per tali crediti».
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Significativo miglioramento del reddito netto a ettaro
Va considerato, ha concluso Proietti, che l’introduzione delle buone pratiche comporta un notevole miglioramento dell’impatto ambientale, ma non sempre determina una riduzione dei costi di produzione, anzi, a volte, ne causa un aumento.
«Tuttavia, stimando i redditi netti a ettaro, ipotizzando un aumento dei ricavi dovuto sia ai crediti di carbonio venduti sia, e soprattutto, al premio di prezzo, pur nella semplificazione delle ipotesi fatte (ad esempio non sono stati considerati i maggiori costi amministrativi per la certificazione ambientale e non è stata presa in considerazione nell’introduzione del premio di prezzo la presenza di altri marchi di qualità già esistenti) si è rilevato un significativo miglioramento del reddito netto a ettaro. Quindi l’oliveto può mitigare il cambiamento climatico grazie al sequestro del carbonio. E l’aumento dei ricavi, dovuto al premio sul prezzo dell’olio prodotto e ai crediti di C venduti, può anche contribuire alla salvaguardia degli oliveti e dei loro servizi ecosistemici».







