Se un “cibo di laboratorio” rischia il semaforo rosso, basta modificare gli ingredienti e il gioco è fatto. Il Nutri-Score premia i laboratori e non i campi agricoli. Il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti ritorna su Nutri-Score, il sistema nutrizionale messo a punto da una società francese che si basa su un algoritmo che classifica ogni alimento in base al livello di zuccheri, grassi e sale.
Nutri-Score non va bene per l’olio di oliva
Ad avviso di Confagricoltura, non è accettabile un sistema nutrizionale “a fisarmonica” degli alimenti, che gratifica quelli che possono essere modificati perché frutto di un processo di trasformazione di ingredienti, magari di origine sintetica, e penalizza quelli che sono il frutto di cultura enogastronomica, tradizioni, territori, clima.
«Il cibo di laboratorio si può modificare, l’olio extravergine no. Lo hanno compreso gli stessi Spagnoli che si sono resi conto che il Nutri-Score non va bene per l’olio di oliva che è un prodotto monoingrediente – sostiene Giansanti –. Il Nutri-Score tende a dividere tra alimenti che fanno bene e quelli che fanno male in modo standardizzato; così però i profili nutrizionali non vengono incontro alle reali esigenze di miglioramento della salute del consumatore. È noto che ogni singolo consumatore ha una sua dieta che dipende dal proprio stato di salute e dall’attività fisica, a cui può essere associata la riduzione di acquisizione giornaliera dei singoli ingredienti e nutrienti».
Superare la parzialità di valutazione
Per Giansanti bisogna superare la parzialità di valutazione. «Per questo – sottolinea – va promosso il battery pack che si basa su dati certi: non i singoli alimenti ma la loro incidenza all’interno della dieta. L’etichetta è pensata come una batteria e reca l’indicazione di tutti i valori nutrizionali apportati dalle singole porzioni. Il mangiare è un atto democratico di per sé (come dice il detto “Paese che vai tradizioni che trovi”). Lo strumento del Nutri-Score alla fine che cosa porta? A un’omologazione dell’alimentazione, che è l’esatto contrario di quello che serve al nostro Paese, conosciuto e apprezzato nel mondo per la qualità e le peculiarità del made in Italy agroalimentare».