«Il “Progetto su Olivi secolari/monumentali delle principali varietà autoctone delle Marche, nell’area di origine e/o maggiore diffusione” intende conoscere e valorizzare queste piante presenti sul territorio, perché rappresentano l’origine della biodiversità, sono delle icone della biodiversità. Questa, oltre a essere coltivata nel campo catalogo Assam di Carassai (Ap), merita di essere conservata anche sul territorio di origine e di maggiore diffusione, per cui è importante mantenere questo legame forte con il territorio, anche perché sono garanzia di compatibilità ambientale».
Così Barbara Alfei di Assam (Agenzia di Servizi per il Settore Agroalimentare delle Marche) ha sintetizzato l’obiettivo del progetto portato avanti da Assam e Regione Marche in collaborazione con il Cnr-Ibbr (Istituto per le Bioscienze e le Biorisorse) di Perugia, giunto alla conclusione dei suoi tre anni di indagine. I risultati di questo progetto sono stati comunicati in occasione del webinar “Caratterizzazione e valorizzazione della biodiversità olivicola: risultati di un triennio di indagini”, organizzato in partnership con Edagricole.
«Molto spesso queste piante rappresentano delle vere e proprie opere d’arte – ha continuato Alfei – sono delle sculture naturali, che contribuiscono a valorizzare il prodotto finale. E sono piante fruibili per un visitatore, un turista, in quanto scrigno di biodiversità animale e vegetale, che vanno tutelate, gestite e conservate. Ma acquistano ancora più valore se inserite in un progetto, che unisca ed esalti le eccellenze sparse sul territorio, quindi non solo gli olivi, ma anche itinerari della biodiversità e di oleoturismo per valorizzare tutto quello che c’è dietro una bottiglia di olio».
Il progetto si è articolato in diverse fasi: individuazione di piante storiche/monumentali, sulla base delle segnalazioni pervenute, sopralluoghi sugli esemplari ritenuti di maggior interesse, identificazione genetica (analisi del dna di chioma e polloni), datazione al radiocarbonio (C14) e divulgazione attraverso la produzione di un catalogo degli olivi monumentali delle Marche.
Tredici varietà di olivi secolari
Le varietà oggetto del progetto sono:
- Coroncina (da Caldarola, provincia di Macerata),
- Orbetana (zona interna della provincia di Macerata),
- Mignola (soprattutto nella zona di Cingoli, Macerata),
- Piantone di Mogliano (provincia di Macerata),
- Piantone di Falerone (area limitata tra comuni di Montegiorgio, Servigliano e Falerone),
- Oliva Grossa (limitata nella zona di Caldarola, Macerata),
- Ascolana Tenera (Ascoli Piceno),
- Lea (sempre nell’Ascolano),
- Carboncella (nell’Ascolano),
- Sargano di Fermo (zona litoranea del Fermano),
- Rosciola Colli Esini (lungo la valle Esina),
- Raggia (“parente stretto” di Frantoio, in provincia di Ancona e Pesaro)
- e Raggiola (da Cartoceto, in provincia di Pesaro).
«Ma sicuramente – ha precisato Alfei – da qualche parte nelle Marche, esistono altrettanti esemplari monumentali delle varietà Ascolana dura, Capolga, Carbò, Mignolone, Nebbia del Menocchia, Nostrale di Rigali, Sarganella, Sargano di San Benedetto, Zampello. Perciò chiediamo ulteriore collaborazione agli olivicoltori. Le piante monumentali sono un elemento che consente di valorizzare l’olio attraverso il concetto di terroir: dopo tanti anni di studi e ricerche, infatti, ci siamo resi conto che l’olio monovarietale, dotato di una forte identità, può avvalersi del concetto di terroir ripreso dal mondo del vino, che ai produttori può servire per vendere meglio il proprio olio. Varietà – territorio – clima, infatti, rendono l’olio monovarietale unico al mondo, impossibile da riprodurre in altre zone, con un’identità (chimica e sensoriale) chiara e ripetibile, dalle caratteristiche organolettiche distintive molto precise, facilmente riconoscibili non solo da assaggiatori esperti, ma anche da consumatori attenti e sensibili. Il tutto arricchito da un contesto paesaggistico, storico, culturale e dal fattore umano rappresentato da conoscenza, professionalità, tradizione e passione».
Il campionamento e la datazione
Georeferenziazione, campionamento e analisi genetiche, misurazione e prelievo legno antico, datazione delle piante antiche delle Marche sono i quattro temi fondamentali del triennio di indagini. La datazione delle piante è un lavoro attuale, che altre Regioni/Associazioni hanno fatto o stanno facendo (Umbria e Lazio per esempio) e che contribuisce a valorizzare il territorio olivicolo. «Abbiamo selezionato una ventina di esemplari – ha spiegato Roberto Mariotti del Cnr-Ibbr di Perugia – tra i più caratteristici e antichi, basandoci sulla dimensione della pianta che avevamo di fronte, ma anche sulla possibilità di prelevare campioni da analizzare con la tecnica del carbonio 14».
Per ogni pianta analizzata sono state riportate le coordinate Gps, in quanto la georeferenziazione è fondamentale per creare percorsi turistici. Il campionamento ha riguardato sia la chioma sia i polloni, in modo da essere sicuri di analizzare geneticamente solo piante identiche e da verificare che la pianta oggetto di analisi fosse effettivamente un esemplare di quella precisa varietà. Questa indagine genetica ha poi consentito di scoprire campioni mai esplorati, quindi di scoprire monumenti storici di un esemplare unico mai studiato, e di verificare che le piante di un oliveto appartenessero effettivamente alle varietà impiantate. «L’analisi genetica ha consentito anche di individuare le similarità genetiche e i rapporti genetici tra le varietà all’interno della regione – ha aggiunto Mariotti – e di conseguenza anche da dove derivano le singole varietà. E anche queste informazioni “scientifiche” aggiuntive possono avere un risvolto turistico».
Per quanto riguarda la misurazione e il prelievo del legno antico ai fini della datazione degli esemplari individuati, Mariotti ha spiegato la complessità dei calcoli da effettuare, «perché il tronco dell’olivo non è mai una colonna precisa, anzi, quasi sempre presenta enormi cavità all’interno, quindi occorrono delle verifiche per prelevare la parte più antica del campione e da lì prendere le misure all’esterno della chioma. Con gli strumenti che alla fine analizzano la quantità di C14 all’interno del campione, l’età esatta quindi può essere solo stimata».
Sono 18 le piante datate nell’ambito di questo progetto, dalla più “giovane” di circa 101 anni a quella più antica di oltre 1.300 anni. «Dobbiamo ringraziare gli olivicoltori che ci hanno fatto arrivare fino a oggi queste opere d’arte viventi, salvaguardandole nei secoli – ha concluso Mariotti –. In pratica, alcune delle varietà più note erano già nel territorio nel 1500 e altre addirittura nel 500 dopo Cristo. Per il futuro ci proponiamo di esplicitare il rapporto genetico tra le varietà delle Marche e il resto della diversità olivicola mondiale e di identificare le varietà locali non corrispondenti a quelle già note (abbiamo un database di oltre 5mila profili genetici di piante di olivo di tutto il mondo)».
La potatura
Dunque, queste piante sono un grande tesoro, per cui è necessario creare delle professionalità per la loro cura e manutenzione, perché non possiamo permetterci di danneggiarle o addirittura perderle per negligenza. «Bisogna innanzitutto distinguere tra valore agronomico e ornamentale dell’olivo – ha esordito Giorgio Pannelli, della Scuola Potatura Olivo –. Nell’olivo di valore agronomico, infatti, la gestione della chioma tende a ottenere le migliori prestazioni produttive; nell’olivo di valore ornamentale, invece, tende a ottenere la massima espressione estetica e, al contempo, la messa in sicurezza dell’albero. L’olivo di valore ornamentale, quindi, non può essere gestito con le medesime modalità e tecniche utilizzate per l’albero da produzione, ma con tecniche specifiche».
Pannelli ha quindi proseguito fornendo consigli precisi su come gestire queste perle di biodiversità. «Un programma di manutenzione degli alberi deve essere elaborato tenendo presente l’età, le dimensioni, lo stato fisiologico e strutturale, nonché il sito di crescita – ha spiegato Pannelli –. Nel corso della vita le piante cambiano forma con aspetti morfologici che corrispondono a diversi stadi di sviluppo. E cambiano forma anche per effetto di vari tipi di aggressione causati da fattori ambientali, organismi viventi e dall’azione dell’uomo. Un caso specifico è quello della carie dell’olivo. Quando si manifesta un deperimento della chioma o una intensa filloptosi nella parte apicale della chioma senza alcuna sintomatologia esterna, è necessario battere il tronco per rilevare il caratteristico suono che indica la presenza di cavità provocate dalla carie. Se non si interviene prontamente asportando le parti necrosate, la malattia si diffonde rapidamente crescendo di circa 1 cm per anno e provocando il deperimento del tronco che resta cavo e deforme. In caso di carie in atto e di diagnosi tempestiva si può tentare di salvare soggetti di particolare valenza storica o paesaggistica asportando il legno cariato con interventi di dendrochirurgia (slupatura). È necessario risparmiare però in maniera assoluta la zona di reazione che funge da barriera contro le nuove infezioni».
Un passaggio particolare Pannelli lo ha dedicato alla capitozzatura («è assolutamente dannoso eseguire potature che privano l’albero di un grosso volume di foglie») e ai principali obiettivi della potatura degli olivi storici, «che sono la sicurezza, l’estetica e la conservazione dello stato di salute degli alberi. L’altezza dell’albero o le dimensioni dei rami non sono un fattore di pericolo in sé. Il rischio non sta nell’altezza, ma nella debolezza dello scheletro e/o dell’apparato radicale.
Le potature, quando inevitabili, devono essere limitate all’indispensabile in quanto le ferite praticate fungono da porta di ingresso per gli agenti della carie. In genere, tagli con diametro superiore a 12-13 cm rallentano la cicatrizzazione esponendo così al rischio di infezioni di carie. La potatura deve essere eseguita preferibilmente durante l’inverno, fino alla fase di germogliamento. Interventi durante la fine dell’autunno stimolano una risposta vegetativa in piante non ancora acclimatate a un’esposizione al freddo del periodo invernale, per cui vanno evitati nelle zone a rischio di forti abbassamenti di temperatura.
La potatura eseguita nel periodo primaverile e nel primo periodo autunnale, invece, comporta uno squilibrio nelle piante che vedono drasticamente modificati gli indirizzi di crescita ormai avviati, con inutile dispendio di risorse e risposte vegetative parziali e diverse dalle aspettative. Nel caso, è preferibile anticipare la potatura in epoca in cui le basse temperature possono rallentare la cicatrizzazione dei tagli (novembre/dicembre) o in piena estate (luglio-agosto), quando le piante sono in stasi da siccità e/o da eccesso di calore, piuttosto che incorrere nei suddetti inconvenienti.
Sono da preferire potature frequenti che limitano i grossi tagli, evitano forti stress e, nel contempo, eliminano fonti di inoculo di varie malattie. I tagli devono essere eseguiti correttamente senza danneggiare o asportare il collare di cicatrizzazione, in modo da rispettare l’integrità del sistema difensivo volto a compartimentare la zona della ferita».
Proprio a supporto di una corretta potatura di queste piante, Aioma (Associazione Interregionale Olivicola del Medio Adriatico) in collaborazione con Assam e Scuola Potatura Olivo ha organizzato un corso di specializzazione “Cura e manutenzione di olivi e oliveti storici” rivolto a chi già fa il potatore professionista, quindi a chi è presente nell’elenco degli operatori abilitati alla potatura dell’olivo (professionisti delle Marche e di altre regioni) e nell’elenco dei potatori certificati della Scuola Potatura Olivo.
Presentazione di “Cura e manutenzione di olivi storici” di Giorgio Pannelli, Scuola Potatura Olivo
La Beata Francesca
L’ultima parola non poteva che essere data agli olivicoltori proprietari di questi tesori naturali. «Ho un oliveto con piante di circa 300-400 anni, soprattutto Mignola – ha riferito Giordano Giampaoli, di Potenza Picena (Mc) – che era di proprietà della famiglia gentilizia Buonaccorsi. Mio padre era appassionato di olivi e ha trasmesso questa passione a tutta la famiglia, per cui quando abbiamo preso consapevolezza di questo patrimonio, abbiamo cercato di coltivarlo nel modo migliore possibile. Siamo arrivati a conoscere esattamente il valore di queste piante attraverso il lavoro dell’Assam e se possibile vorremmo trovare un modo per valorizzarle, puntando appunto sul loro aspetto monumentale».
«Io possiedo un oliveto particolare – ha aggiunto Cinzia Anibaldi di San Severino Marche (Mc) – perché è presente un esemplare di Orbetana, a circa 400 m di altezza, circondato da un muretto a secco, detto Pianta della Beata Francesca del Serrone. La leggenda narra, infatti, che una ragazzina molto devota dei primi del 1500, maltrattata dalla propria famiglia povera, andasse a pregare all’interno di questa pianta, per cui si deduce che questa pianta all’epoca fosse già adulta. Nonostante la sua povertà, era lei ad aiutare i bambini ancora più poveri e l’olivo rappresentava per lei un rifugio dalla famiglia. Oltre a questa pianta, sono presenti 143 olivi secolari, di Orbetana, Carboncella, Piantone di Mogliano, Rosciola, Mignola. È una vera e propria biodiversità che custodiamo gelosamente, perché sono piante bellissime. L’oliveto si presta bene per eventi come degustazioni, passeggiate turistiche, ha un fascino tutto suo. Illuminato, di notte, è ancora più suggestivo e noi organizziamo diverse iniziative, come quella del 10 agosto con un evento musicale aspettando le stelle cadenti…Diciamo che è un bel biglietto da visita, del resto gestire un oliveto secolare è impegnativo e costoso».
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