Si consolidano i dati produttivi su base regionale, che decretano il netto calo produttivo soprattutto in Puglia e Calabria. Non sono inaspettati, dunque, i generali aumenti dei prezzi, che riguardano anche i mercati esteri

Sta ormai per chiudere i battenti una campagna produttiva complicata e più corta della norma perché ad un certo punto, come se non fossero bastate tutte le problematiche climatiche della primavera e dell’estate, si sono aggiunti i timori di natura fitosanitaria che hanno costretto ad accelerare le operazioni di raccolta.

In termini quantitativi, gli ultimi dati delle dichiarazioni produttive hanno fatto sì che si ritoccassero verso l’alto le precedenti stime, effettuate a novembre da Ismea in collaborazione con Italia Olivicola e Unaprol. Le ultime stime Ismea, infatti, attestano le produzioni della campagna in corso a 235 mila tonnellate, il 28 per cento in meno rispetto alla precedente grazie anche a rese superiori alle aspettative.

Si nota una decisa ripresa del Centro-Nord che, però, ai fini complessivi poco incide sul risultato finale deciso dal -44% della Puglia e dal -42% della Calabria. Più contenuta, ma pur sempre a due cifre, la riduzione delle produzioni siciliane.

Prezzi dell’olio extravergine sulle piazze regionali

In questa cornice il mercato dei primi mesi del 2023 non poteva che rispondere con aumenti importanti dei listini a partire dal segmento alto della piramide qualitativa.

In Italia il prezzo medio dell’Evo è passato rapidamente dai 5,70 euro al chilo di novembre ai 6,11 euro al chilo di febbraio. Sembra quasi inutile commentare che prezzi così alti non sono facili da registrare, probabilmente si stanno anche toccando livelli mai visti in precedenza.

 

E scendendo in Sicilia, i listini alla produzione dell’olio extravergine di oliva sono stabili intorno ai 7 euro al chilo con punte anche di 8 euro al chilo.

In Puglia sono tre mesi che mediamente è stata superata la soglia psicologica dei 6 euro al chilo, con le piazze di Bari e Bat che hanno chiuso il vecchio anno e aperto il nuovo con listini intorno ai 6,10 euro al chilo, mentre le ultime contrattazioni sono scese di qualche decimo restando comunque saldamente sopra i sei euro. Del resto, con una raccolta più concentrata rispetto alla norma c’è stata anche una domanda delle partite migliori più serrata nei mesi centrali della raccolta stessa. Ma anche il Sud della Puglia ha registrato listini a cui i produttori sono poco abituati.

Stessa cosa in Calabria, dove i prezzi di cessione delle partite di extravergine hanno oscillato ultimamente tra i 5,80 e i 6,10 euro al chilo, ma, a differenza della Puglia, nel mese di febbraio gli aumenti si sono consolidati di qualche centesimo. Si tratta chiaramente di sfasamenti di poco conto dovuti probabilmente al diverso calendario di raccolta e alla diversa presenza degli acquirenti.

Listini record anche all’estero

Ma i prezzi record non sono prerogativa del mercato italiano.

In Spagna da ottobre in poi i listini hanno avuto un’impennata non indifferente passando da 3,70 euro al chilo agli attuali 4,81 e tornando indietro non si trovano livelli così elevati. Situazione analoga per Grecia e Tunisia attestati sopra i 5 euro al chilo.

Se l’analisi si fermasse qui gli operatori potrebbero anche ritenersi soddisfatti ma la situazione generale non consente facili ottimismi. Tutt’altro.

A pesare è ancora una volta la spirale inflazionistica e il relativo aumento dei costi che nel settore olivicolo ha registrato, secondo l’indice Ismea, un incremento del 20% rispetto all’anno precedente, trascinato verso l’alto da un +60% dei prodotti energetici.

Se a questo si aggiungono tutti gli aumenti a monte della filiera, vetro in primis, si spiega il clima di apprensione che circola all’interno del settore olivicolo-oleario, ma non solo.

Ci sarà poi da fare i conti con le modalità con cui gli aumenti alla produzione si trasmetteranno al consumo e quanto i consumatori saranno disposti o in grado di sopportare questi aumenti.

Intanto già il 2022 è stato caratterizzato da una flessione degli acquisti in volume nella GDO di tutte le tipologie di olio di oliva a fronte di aumenti più che proporzionali dei prezzi mentre gli oli di semi hanno scontato il momentaneo blocco delle importazioni di prodotto a seguito dell’invasione dell’Ucraina con il conseguente aumento dei prezzi.

La partita è quindi aperta e molto incerta rispetto alle future dinamiche dei prezzi anche in virtù di una minor produzione e quindi di una minore capacità di autoconsumo o di acquisti diretti dai produttori.

Importazioni in crescita

E anche sul fronte estero restano aperte le stesse domande visto il ruolo centrale che riveste l’Italia come primo importatore mondiale e secondo esportatore. Da gennaio a novembre 2022, secondo elaborazioni Ismea su dati Istat, le importazioni, attestate a 551 mila tonnellate, sono risultate in crescita del 4% rispetto all’anno precedente a fronte di un incremento degli esborsi pari al 29% per complessivi 1,9 miliardi di euro. Intanto, l’export ha raggiunto le 366 mila tonnellate (+4%) per un incasso totale di 1,7 miliardi di euro (+23%). Dati, questi, destinati segnare un record in valore nelle importazioni, che si stimano abbondantemente sopra i due miliardi, mentre l’export potrebbe solo sfiorare tale limite. Resta il fatto di quanto il mercato finale potrà reggere questi incrementi.


L’articolo è pubblicato su Olivo e Olio 2/2023

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Inflazione e aumento dei costi guidano in alto i prezzi - Ultima modifica: 2023-03-21T11:00:07+01:00 da Barbara Gamberini

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