RAPPORTO DOP

Oli certificati, crescono ma troppo lentamente

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Frammentazione produttiva, mancanza di un’organizzazione dell’offerta, concorrenza estera sono, secondo Unaprol, i fattori che frenano un settore dalle buone potenzialità. Ancora limitata la commercializzazione nella gdo

Dati positivi in un’ottica di nicchia, ma poco significativi se inquadrati nell’insieme dei prodotti agroalimentari. A distanza di vent’anni dall’avvio delle dop le dimensioni del comparto delle lenta denominazioni di origine protetta dell’olio extravergine di oliva restano piccole, rispetto all’intera produzione olearia nazionale.

Con 42 dop e un’igp, l’Italia predomina largamente in Europa quanto a numero di riconoscimenti guadagnati, praticamente il 40% di tutti gli oli di qualità dell’Unione europea. Seguono, ma ben distanziate Grecia (27) e Spagna (26). Il primato in ambito nazionale spetta alla Sicilia, che ha all’attivo 6 denominazioni, tallonata da Puglia, Campania e Toscana (5) e poi da Abruzzo, Calabria e Lazio (4).

Nonostante questo cospicuo medagliere, la produzione di oli dop e igp made in Italy pesa soltanto per il 2-3%su quella complessiva di extravergine, anche se è in graduale sviluppo: le quantità certificate, in base ai dati Istat, sono passate dalle 5.040 t del 2004 alle oltre 11.200 del 2011.

Spazio per crescere

Le cifre sul comparto degli oli a denominazione sono state comunicate in occasione dell’evento organizzato lo scorso dicembre da Federdop Olio, la federazione italiana che raggruppa l’81% di tutti i consorzi di tutela delle denominazioni dell’olio d’oliva, per celebrare il ventennale dell’istituzione della legislazione delle dop.

Un incontro che ha anche voluto rappresentare un momento di riflessione e d’individuazione di possibili interventi a sostegno dello sviluppo del settore. In effetti, a dispetto delle quote di mercato non esaltanti, dal quadro generale fornito da Mario Adua,
dell’Istat, sull’evoluzione dal 2004 al 2011 dei prodotti agroalimentari insigniti del marchio di qualità, emerge che gli oli dop non sono privi di potenziale per puntare a futuri migliori risultati.

Sul fronte della consistenza del settore, i numeri del 2011, confrontati con quelli del 2004, denunciano una sostanziale stabilità, attestandosi intorno alle 20mila aziende produttrici, mentre le superfici olivicole sono aumentate del 15%, superando i 100mila ha. Aziende e oliveti, localizzati soprattutto al Centro, e poi nel Mezzogiorno, sono presenti specialmente nelle aree collinari, in misura molto minore in pianura e ancor meno in
zone montane.

Il fatturato alla produzione degli oli certificati ammonta a 82,9 milioni di € (dati al 31/12/2011), contro i 47,4 milioni di € del 2004. Quanto al fatturato all’export, nel 2011 ha raggiunto i 49milioni di € (nel 2004 17 milioni). «Il settore cresce troppo lentamente – ha commentato il presidente di Unaprol, Massimo Gargano –. Tutto ciò è dovuto al permanere di quelle difficoltà che da sempre caratterizzano la filiera dell’olio a denominazione d’origine, quali la frammentazione della realtà produttiva e la mancanza, in alcuni casi, di un’organizzazione dell’offerta, senza dimenticare lo scarso coordinamento tra attori pubblici e privati, come pure la carenza di strumenti adeguati per affrontare la concorrenza di prodotti esteri». Non mancano, però, realtà virtuose che vantano produzioni certificate di rilievo, come il Toscano igp e il Terra di Bari dop, con quantitativi che nel 2010 hanno oltrepassato, rispettivamente, le 3.900 e le 2.400 t (da sole valgono quasi il 61% dell’intera produzione certificata del comparto oleicolo a denominazione), mentre sul versante del fatturato all’origine l’olio Toscano ha contribuito per il 41%, seguito dal Terra di Bari, con una percentuale del 20%, al totale del giro d’affari del settore.

Il monitoraggio sugli extravergini a denominazione, effettuato da Federdop Olio per la campagna 2010/2011, fotografa un comparto formato da produttori che, fermo restando i superiori costi da sostenere per gli adempimenti burocratici delle certificazioni e le difficoltà logistiche e operative (un valore aggiunto, si lamenta, troppo spesso non riconosciuto dal consumatore), si mostrano convinti del percorso intrapreso.

Si tratta d’imprenditori che conducono aziende nelle quali prevale la forma giuridica della ditta individuale, specialmente nel Nord della penisola (in controtendenza con l’olivicoltura in generale, dove proprio nel settentrione si rileva il maggior numero di aziende costituite sotto forma di società) e connotati da un grado d’istruzione elevato: il 45% è in possesso di titolo di scuola media superiore e la percentuale di laureati è del 29%.

Canali di distribuzione

Sul fronte della destinazione del prodotto, quasi la metà (circa il 47%) degli oli sfusi dop è andata a cooperative, il 19% a grossisti, il 15% all'industria e il 13% a frantoi. Passando al confezionato, circa un terzo di questi oli tipici viene commercializzato direttamente al consumatore e in misura appena minore (28%) è assorbito dalla grande distribuzione,  dove tuttavia gli oli a denominazione continuano a  rappresentare una minima parte dei volumi di olio venduti.

Interessante, inoltre, la quota di prodotto ceduta alla ristorazione (17%), seguita da quella avviata all’ingrosso (13%) e dalla porzione consegnata a negozi tradizionali, specializzati e agriturismi (12%).

Da rilevare che per il 52% delle aziende intervistate le quantità di olio destinate alla certificazione sono aumentate rispetto alla singola produzione olearia totale: il 64% opera tale scelta per incrementare il valore del prodotto, il 25% per soddisfare una domanda più esigente e l’11% per rispondere al meglio alle sempre più articolate richieste dei grossisti o distributori.

Evitare le proliferazioni

L’Italia dell’olio a denominazione di origine, insomma, non demorde e risulta doveroso, ha sottolineato Massimo Gargano, «sostenere e incentivare un comparto che rappresenta il primo esempio di legame forte con il territorio e con il made in Italy».
Ma la salvaguardia delle dop, è stato più volte rimarcato nel corso dell’evento romano, passa anche attraverso il rigore nel conferimento dei marchi, evitando una proliferazione senza limiti di questi riconoscimenti che potrebbe banalizzarli e ingenerare disorientamento e disagio nel consumatore.

Pare arrivata l’ora dimettersi insieme per dar vita a progetti di rilancio dell’olio extravergine di oliva italiano a marchio dop, ha affermato il presidente di Unaprol: «Stiamo cercando di realizzare, d’intesa con Federdop, un progetto commerciale di aggregazione che consenta di trovare adeguati sbocchi e rafforzare l’appeal dei nostri oli protetti sugli scaffali».

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Oli certificati, crescono ma troppo lentamente - Ultima modifica: 2013-02-08T00:00:00+01:00 da Redazione Olivo e Olio
Oli certificati, crescono ma troppo lentamente - Ultima modifica: 2013-02-08T15:10:12+01:00 da Redazione Olivo e Olio

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