Storia e cultura olivicola nella Toscana centrale

olivicoltura toscana
Piccolo borgo e villa medicea circondati da olivi nel contrado fiorentino
Ripercorrendo le tappe dello sviluppo della tecnica olivicola della regione, in un ideale viaggio lungo l’Arno tra Pisa e Firenze, si incontrano gli studi di Roventini e il contributo di Morettini alla ripresa dopo la gelata del 1956

Nel 1936 Alfredo Roventini, dopo aver coniato nel 1920 il motto “L’acefalia degli olivi deve scomparire” e dopo una prima verifica operativa nell’intera provincia di Livorno (Marinucci 1933 e 1934), espose il proprio “sistema” di potatura, in cui proponeva la riforma degli olivi per riportare l’albero il più vicino possibile alle sue naturali condizioni di vita e, quindi, alla massima espressione del potenziale produttivo. Partendo dalla forma a vaso dicotomico o tronco di cono rovescio descritta dal Caruso (1883), suggeriva la riduzione dell’eccessivo numero di branche, a favore di un numero limitato, in posizioni equidistanti rispetto all’asse ed in conformità alle potenzialità dei soggetti, determinate dalle condizioni ambientali.

Il vaso policonico

Roventini prescriveva, pertanto, di sopprimere il “soverchio” numero di branche esistenti, mediante un’opera di diradamento e mai con raccorciamenti di capitozzatura, per avere una pianta che sviluppa una chioma vestiti dall’alto in basso quante sono le branche determinate. Ciascuna di tali branche il Roventini chiamava “elemento branca-chioma” e la pianta così determinata “policonica”.

Alessandro Morettini
Alessandro Morettini (fonte: Bellini e Magnani, 2004).

Nel 1942 l’Accademia dei Georgofili di Firenze, a conclusione del “Convegno di Studi Olivicoli”, accolse la proposta di Alessandro Morettini di predisporre, insieme ad altri valenti tecnici, la pubblicazione di un trattato sull’olivo, in considerazione del fatto che era trascorso oltre mezzo secolo dalla pubblicazione di quello di Caruso, mentre altri più recenti (Simari 1912 e 1923, Francolini 1923, Bracci 1929) replicavano solo le precedenti conoscenze. La guerra impedì la realizzazione del progetto per cui Morettini curò personalmente l’opera, pubblicata nel 1950 (Olivicoltura, di A. Morettini, ed. Reda), con la speranza di contribuire “con un’opera di pace, al futuro incremento dell’olivicoltura”.

Nel 1955 Luigi Nizzi Grifi, forte nell’esperienza lungamente maturata nell’esercizio della funzione di responsabile dell’Ispettorato per l’Agricoltura della provincia di Firenze, dopo aver riepilogato le regole per una corretta potatura dell’olivo allevato a vaso policonico, lanciava un appello affinché si accettasse di utilizzare le nuove conoscenze per innalzare la produttività dell’olivo, cos. come avvenuto per altre specie: “… Amatelo l’olivo, coloni delle nostre colline, perché lo merita il vostro amore. Ma amare vuol dire intendersi, vuol dire aiutare, vuol dire consigliare e guidare, vuol dire scambiarsi favori. Non pretendere senza dare, non… ringraziare col bastone e col digiuno. Tutte le piante sono oneste, generose e sincere. L’olivo ha però forse più meriti delle altre, perché ha anche la virtù della pazienza e della resistenza, ma… non può essere generoso al punto di dare anche quando gli si impedisce di dare per un falso calcolo economico o per incomprensione della sua vita e delle sue necessità”.

Dopo la gelata del 1956
le soluzioni per un’olivicoltura moderna

Nel 1962 il prof. A. Morettini venne riconosciuto “Buon papà dell’arboricoltura al quale tutti dobbiamo rispetto e considerazione” dai colleghi Accademici convenuti al “I Convegno Nazionale Olivicolo-Oleario”, organizzato a Spoleto dalla neonata Accademia Nazionale dell’Olivo (AA.VV., 1962). L’incontro fu convocato per analizzare le principali esigenze dell’olivicoltura nazionale, reduce dalla disastrosa gelata del 1956, ed indicare soluzioni valide per vecchie e nuove piantagioni. Secondo le direttive del Morettini, tutti gli impianti (sia vecchi che nuovi) avrebbero dovuto sviluppare con piante composte da più tronchi che, divaricando direttamente dal suolo invece che dall’apice di un solo tronco, conferissero alla chioma la forma di un cespuglio. Ogni fusto rappresentava una branca principale, da potare con gli stessi criteri di quelle dell’olivo allevato a vaso policonico. A sostegno della proposta citò i consistenti incrementi produttivi rispetto alla situazione pre-gelata 1956 conseguiti nel 1961 suggerendo, quindi, per l’ammodernamento dell’olivicoltura la forma a “vaso cespugliato”, considerata prossima al portamento naturale dell’olivo ed ideale per limitare l’altezza degli alberi e facilitare le principali operazioni colturali. (…)

Estratto dall’articolo “Tra storia e cultura da Pisa a Firenze”
pubblicato in due parti su Olivo e Olio (n. 5 e 6/2020).

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Storia e cultura olivicola nella Toscana centrale - Ultima modifica: 2020-11-24T09:30:39+01:00 da Barbara Gamberini

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