L’innovazione nel settore olivicolo-elaiotecnico degli ultimi vent’anni ha riguardato tutti gli aspetti principali della filiera: in particolare la raccolta delle olive, che ha interessato anche la disposizione delle piante e delle attrezzature meccaniche, la tecnologia di lavorazione delle olive e la problematica dello smaltimento dei reflui.
Per quanto riguarda la produzione in campo l’innovazione ha interessato prevalentemente la riduzione dei costi della raccolta che incidono fino alla metà della resa economica totale e la riduzione dell’impatto ambientale dei reflui derivanti dalla lavorazione delle olive.
Gli aspetti principali dell’innovazione nella raccolta meccanica propongono una nuova strutturazione degli impianti olivicoli, con potatura a “spalliera” (anche realizzata meccanicamente) di piante della dimensione più adatta, in modo da consentire la raccolta delle olive mediante la cosiddetta scavallatrice, da tempo utilizzata nel settore viticolo-enologico.
Sono state poste in commercio attrezzature con particolari capacità di salvaguardia delle migliori caratteristiche delle olive e produzioni di olio ricche di antiossidanti: le gramole sotto azoto. Pur non condividendo la necessità di porre sotto azoto la gramola, che normalmente si riempie di anidride carbonica durante la lavorazione raggiungendo lo stesso obiettivo, l’innovazione è degna di nota. Oltre a questo tipo di attrezzatura e di un impiego più diffuso della denocciolatura delle olive per una maggiore persistenza di biofenoli nella pasta e nell’olio, è apparso un sistema di ottenimento diretto della pasta di oliva per realizzare i prodotti cremosi da commercializzare come tali.
Per la finalità della riduzione dell’impatto ambientale, uno dei cardini della sostenibilità di tutte le produzioni agricole, si è puntato sul recupero di co-prodotti e sottoprodotti della produzione e della trasformazione delle olive. In particolare, l’interesse è stato rivolto sulla riduzione del carico inquinante dei reflui e, soprattutto, sulle ipotesi della loro elaborazione mediante processi di separazione dei componenti interessanti per le applicazioni in altri settori e successivo utile impiego dei residui (Pelillo, 2004).
In particolare, sono stati ripresi molti studi sul recupero di sostanze interessanti, molte delle quali sono bioattive, presenti nei sottoprodotti della lavorazione delle olive, costituiti prevalentemente dalle sanse e dalle acque reflue (di vegetazione e di lavaggio).
I reflui oleari, in Italia, sono conseguenti alla lavorazione delle olive con impianti di separazione continui a due fasi, a tre fasi e con impianti discontinui (classico, o tradizionale o a pressione). Tra questi, i più diffusi sul territorio nazionale sono gli impianti a tre fasi e quelli discontinui.
Il recupero di acqua
Nella lavorazione con impianti a tre fasi, a differenza degli impianti discontinui o a quelli a due fasi (Borja et al., 2002) oltre all'acqua contenuta nell'oliva si aggiungono necessari quantitativi di acqua per la fluidizzazione della pasta, che poi produrranno una massa di liquido molto maggiore del volume di sanse vergini corrispondenti. Per le grandi produzioni di reflui acquosi è stato proposto anche il recupero dell’acqua, la cui disponibilità in frantoio e negli impieghi per tutte le finalità previste ha una certa incidenza economica. In generale, il sistema vegetale, attraverso l’azione selettiva dell’assunzione di acqua da parte delle piante, prevede una qualità dell’acqua da essa accumulata molto pulita in relazione ai problemi di inquinamento ambientale, migliore di qualsiasi fonte normalmente utilizzata per la produzione di acque potabili. Per questo motivo il recupero di acqua dalle acque di vegetazione di frantoio affronta per tempo il problema futuro nell’approvvigionamento di acque di buone caratteristiche.
Le necessità stesse del frantoio di acqua sarebbero direttamente soddisfatte da questo tipo di recupero e, l’esubero, potrebbe essere anche utilizzato per la potabilizzazione o per l’irrigazione, a seconda del livello di purificazione realizzata.
I reflui oleari, pur non contenendo sostanze tossiche, come è noto hanno un tasso inquinante fra i più elevati nell'ambito dell'industria agro-alimentare per la presenza di composti ad attività biostatica, quali i polifenoli.
Un refluo di buona qualità per l'uso agricolo dovrebbe essere caratterizzato da un BOD5 pari a 10-20 ppm e un COD pari a 30-60 ppm. Le acque reflue provenienti da impianti di lavorazione e trasformazione delle olive sono caratterizzate invece da valori di COD di 60mila-250mila ppm (legge 574/1996: fertirrigazione con acque di vegetazione e sanse umide.
Lo smaltimento classico delle acque di vegetazione del frantoio per lo spandimento sul terreno agricolo possiede la complicazione della presenza proprio dei polifenoli in quanto sono inibenti dei microorganismi gram+, dell'attività delle cellulasi e di altri enzimi e dell'attività di microrganismi responsabili della degradazione anaerobia delle stesse acque di vegetazione. Oltre alla tradizionale decantazione (condotta in vasche denominate "inferni") sono stati fino ad ora proposti vari sistemi di depurazione e smaltimento del refluo quali, ad esempio, interventi chimico-fisici (decantazione con calce e/o ossidazione totale; concentrazione e incenerimento; ultrafiltrazione e osmosi inversa), di tipo agronomico (lagunaggio verde; spandimento superficiale), di tipo zootecnico (utilizzo diretto nell'alimentazione del bestiame e/o previo arricchimento, anche con interventi fermentativi) e di tipo biotecnologico. In quest'ultimo gruppo si può annoverare tutta la serie di approcci microbiologici al problema: trattamenti di depurazione di tipo aerobio ed anaerobio che hanno trovato difficoltà di realizzazione a causa dei residui oleosi e dell'azione antimicrobica della frazione fenolica, fermentazioni con produzione di etanolo o metano e fermentazioni con produzione di biomasse microbiche e fungine.
Tuttavia, tali approcci, oltre a presentare notevoli difficoltà e parzialità di risultato, sottovalutano i rifiuti dei frantoi quali possibili risorse, per la presenza di zuccheri semplici e complessi oltre che di sostanze di interesse agro-alimentare o più strettamente chimico quali, ad esempio, composti aromatici, antiossidanti, pigmenti.
La filosofia di considerare i reflui oleari come materia prima, per un secondo utilizzo dei prodotti ottenuti dalla lavorazione delle olive, ha dato origine a numerose ricerche volte all’uso e alla valorizzazione del refluo per vie biologiche e chimiche per ottenere prodotti a medio o alto valore aggiunto e, al contempo, l'abbattimento del potere inquinante con miglioramento dell'impatto ambientale (A.R.P.O., 2007-2008; G. Lercker, M. Bonoli, 2009).
La preparazione di concentrati, a partire dalle acque di vegetazione, ottenuti con separazioni di vario genere (ad es. con una o più filtrazioni, anche di tipo "tangenziale") è stata possibile anche con impianti di dimensione proporzionata a piccoli volumi di materie prime da trattare, sia a livello di impianto localizzato [A.R.P.O., 2007-2008] sia di uno con caratteristiche itineranti.
Lo sfruttamento dei concentrati ha aperto varie possibilità d'impiego: come antiossidanti per alimenti o per l'utilizzazione in settori non alimentari (cosmetico e in materiali vari), oppure come materiale di partenza per estrarre particolari componenti ad azione biologica molto importante (Owen et al., 2003; Obied et al. 2005; Bendini et al., 2007; Lercker et al., 2010). I corrispondenti "permeati", ottenuti in associazione ai concentrati, raggiungono livelli di BOD tanto bassi, assieme a una buona qualità sensoriale, tali da poter essere smaltiti nella rete idrica o utilizzati in frantoio in sostituzione dell'acqua potabile (Trinchero, 2009).
Un'utilizzazione ancora poco esplorata di detti reflui (sanse e acque), costituiti oltre che da cellulose, emicellulose e lignine insolubili in acqua, anche da molecole a basso peso molecolare solubili in acqua, va effettuata con bioconversioni in fase solida e in fase sommersa oltre che mediante reattivi ecocompatibili per produzione di intermedi per l’industria e di chimica fine (fine-chemicals). Ciò è reso possibile dalla presenza di sostanze aromatiche con un ampio spettro di pesi molecolari (fenoli e polifenoli) che possono essere considerati precursori di molecole antiossidanti e coloranti nonché di composti farmacologicamente attivi quali i chinoni. Alcuni di questi composti, i flavonoidi, si prestano ad essere convertiti con processi ossidativi selettivi, in flavoni bioattivi e coloranti cianici (antocianidine).
I processi di biodegradazione si basano su un insieme di reazioni biochimiche che possono essere riassunte in azioni di idrolisi per la demolizione di molecole ad elevato peso molecolare (pectine, polisaccaridi, grassi, ecc.) e di ossidasi e/o perossidasi specifiche per la demolizione delle sostanze aromatiche. Dall'azione di questa serie di enzimi si ottengono composti organici a più basso peso molecolare e quindi più facilmente utilizzabili come "materie prime" seconde.
Sostanze fenoliche
Nelle foglie e nelle drupe di Olea europaea L. (Oleraceae) sono state identificate numerose sostanze di natura fenolica appartenenti alle varie classi di struttura nelle quali vengono classificati i diversi composti fenolici presenti nelle piante. In particolare, sono stati identificati: acido protocatecuico, acido caffeico, acido p-cumarico, i flavonoidi catechina, apigenina, crisoeriolo, kempferolo, luteolina e quercetina, gli antociani cianidina e peonidina, esculetina e i fenoli di natura polimerica, tannini e catecolmelanine. Tutte queste sostanze sono presenti in varia misura anche nei reflui oleari. Una sostanza di natura fenolica tipica dell’Olea europaea L., da cui prende il nome, è l’oleuropeina, un glucoside amaro presente sia nelle drupe sia nelle foglie che è stato isolato anche in frutti maturi e foglie di Ligustrum lucidum e L. japonicum. A questa sostanza vengono riconosciute varie proprietà biologiche [Obied et al., 2005], in particolare un’attività antiossidante, antiipertensiva, batteriostatica, dilatatrice delle coronarie, anticancerogena (Hamdi e Castellon, 2005), spasmolitica e vasodilatatrice.
Normalmente nelle acque di vegetazione delle olive l’oleuropeina è quasi del tutto assente, mentre si ritrovano alcuni prodotti della sua degradazione: acido elenolico, idrossitirosolo e l’aglicone dell’oleuropeina. Oltre alle sostanze citate, nelle acque di vegetazione si ritrovano catecolo, 4-metilcatecolo, tirosolo, e gli acidi p-idrossibenzoico, vanillico, siringico e gallico, oltre ai vari flavonoidi e polimeri presenti nelle drupe e nelle foglie. Da un punto di vista quantitativo, catecolo, 4-metilcatecolo, tirosolo e idrossitirosolo rappresentano i principali costituenti delle acque di vegetazione, dove raggiungono una concentrazione di 10-3 M.
Su questi ultimi composti sono state condotte ricerche per mettere in evidenza alcune proprietà biologiche. Queste prime indicazioni, unite ad altre informazioni ancora da approfondire e che assegnano a queste sostanze proprietà antiossidanti, allelochimiche, antivirali ed antifungine, oltre che antibatteriche, fanno prevedere un utilizzo delle sostanze fenoliche estratte dalle acque di vegetazione sia in campo alimentare e cosmetico (coloranti, antiossidanti) sia più o meno direttamente nel settore agrario (biopesticidi, fitoregolatori).
I reflui oleari contengono relativamente elevate concentrazioni di sostanze fenoliche di natura monomerica e polimerica (tra lo 0,2 % e 2 %). Tali concentrazioni dipendono dalla varietà e dallo stadio fenologico della drupa, oltre che dalla procedura utilizzata per l’estrazione dell’olio, la cui struttura chimica e la relativa attività biologica sarà sempre più oggetto di accurato studio.
Attività biologica
I composti fenolici presentano un ampio spettro di attività biologiche che vengono influenzate dal numero e dalla natura dei gruppi sostituenti presenti sulla struttura base (Owen et al., 2003; Obied et al. 2005; Bendini et al., 2007; Lercker et al., 2010) (tab. 6).
Numerose sostanze fenoliche manifestano effetti fisiologici positivi quando usate nella dieta o come additivi. Tra questi effetti, appunto, vanno inserite le proprietà antiossidanti di diverse classi di sostanze fenoliche, che consentono il loro utilizzo come additivi alternativi agli antiossidanti sintetici. Queste sostanze hanno manifestato un’attività antiossidante sia in sistemi acquosi, che in sistemi lipidici, ma ciò nonostante non hanno ancora avuto una larga diffusione commerciale sia per problemi connessi alla loro estrazione dalle matrici vegetali che per alcuni dubbi persistenti circa la mutagenicità di alcune molecole. I flavonoidi rappresentano la classe di antiossidanti naturali più numerosa e in grado di esercitare la loro attività benefica nei confronti di molte sostanze facilmente ossidabili, come l’acido ascorbico. Il meccanismo protettivo dei flavonoidi, oltre che con le loro proprietà antiossidanti in senso stretto (sensu stricto) e di "spazzini" (scavengers) di radicali liberi e di forme reattive dell’ossigeno (Ros), si basa anche sulla loro capacità di agire da chelanti dei metalli pesanti (pro-ossidanti), in particolare il ferro, e da inibitori della lipossigenasi. Si ritiene, inoltre che i flavonoidi, grazie alla loro capacità di assorbire le radiazioni Uv, siano in grado di prevenire la formazione delle specie reattive dell’ossigeno, eventualmente nell’inserimento in prodotti cosmetici per i trattamenti della pelle.
Da un punto di vista ecologico, diverse classi di sostanze fenoliche presentano un’attività antimicrobica in grado di contrastare efficacemente infezioni fungine, batteriche o virali ed agire, a concentrazioni relativamente basse, da deterrenti nutrizionali contro insetti dannosi.
Produzione di biomasse
Nello smaltimento delle acque di vegetazione originate dai processi di estrazione dell'olio dalle olive è stata privilegiata l’esigenza di eliminare l’elevato carico organico di tali reflui quale premessa per la loro immissione nei corpi idrici superficiali nel rispetto delle vigenti normative di legge in tema di protezione della qualità delle acque. Non è tuttavia da trascurare la possibilità di ricavare prodotti utili mediante estrazione di taluni costituenti delle acque di frantoio od ottenuti mediante bioconversione dei costituenti organici dei reflui, i quali vengono in tal modo utilizzati come substrati di crescita per determinati organismi [Bonari e Ceccarini, 1991; A. Palliotti e Proietti, 1992; Tomati et al., 1995].
Questa possibilità è tutt’oggi scarsamente esplorata rispetto al semplice smaltimento e ciò malgrado l’elevata concentrazione di sostanze organiche contribuisca a rendere attraente l’utilizzo microbiologico delle acque di vegetazione. Un ostacolo notevole al conseguimento della depurazione combinata ad un uso produttivo è rappresentato dalla notevole complessità di composizione, caratterizzata dalla copresenza di frazioni facilmente metabolizzabili, quali gli zuccheri, con una consistente componente fenolica difficilmente degradabile.
Compostaggio
Per il trattamento delle acque di vegetazione tal quali sono stati proposti, di volta in volta con esiti più o meno soddisfacenti, sia processi di tipo fisico e fisico-chimico sia filiere di natura biologica. Tra i primi, finalizzati soprattutto a una riduzione drastica dei volumi, ovvero alla completa mineralizzazione (incenerimento) delle matrici da smaltire, sono da annoverarsi i processi di concentrazione dei reflui attraverso distillazione ed evaporazione, la filtrazione su membrana, la chiari-flocculazione e la combustione.
Anche laddove i suddetti trattamenti hanno dimostrato di essere in grado di abbattere il potere inquinante delle acque di vegetazione, all’atto pratico si sono rivelati difficilmente sostenibili dal punto di vista economico per la quasi totalità dei frantoi. È opportuno ricordare che la stagionalità dei flussi e le spiccate caratteristiche di tossicità biologica rendono difficile la gestione del trattamento dei reflui oleari presso i comuni impianti di depurazione delle acque urbane, sia nelle sezioni di ossidazione totale che in quelle di stabilizzazione anaerobica dei fanghi. D’altra parte, strutture così onerose, come quelle sopra ricordate, non possono essere concepite per impieghi su base stagionale, condizione, questa, inadeguata anche per la stessa funzionalità degli impianti.
La necessità quindi di mettere a disposizione di un’utenza diffusa, dotata di limitate risorse finanziarie, sistemi di trattamento dei reflui oleari semplici, affidabili, flessibili e di facile gestione, ha orientato, negli ultimi anni, l’indagine verso lo sfruttamento dei processi biologici basati sulla stabilizzazione aerobica delle acque di vegetazione in combinazione con residui ligno-cellulosici. La preventiva imbibizione dei reflui oleari su matrici di supporto di natura vegetale, dotate di adeguate caratteristiche fisico-meccaniche (i.e. porosità, struttura, tessitura e dimensione delle particelle), consente di sottoporre le acque di vegetazione alle reazioni di bio-ossidazione in fase solida, tipiche del compostaggio. Questo processo, attraverso la parziale mineralizzazione ed umificazione del substrato di partenza, porta all’ottenimento di un prodotto finale metastabile, privo di effetti fitotossici, destinabile, senza controindicazioni, all’uso agricolo come ammendante organico.
La ricerca continua
L’argomento dei reflui da frantoio è stato affrontato da numerosi ricercatori, negli ultimi venticinque anni. Tuttavia, ancora oggi non sono state offerte soluzioni così vantaggiose da essere adottate da tutte le realtà produttive corrispondenti. Evidentemente, non sono stati risolti i problemi di smaltimento-utilizzazione dei sottoprodotti, dato che altre ricerche sono state ulteriormente presentate.
In generale, ci si è preoccupati di smaltire più che di recuperare ed utilizzare tali sottoprodotti, a dimostrazione dell’incapacità fino ad oggi di valorizzare i sottoprodotti dell’industria olearia. In qualche progetto l’obiettivo è stato il recupero di polifenoli, senza preoccuparsi di un utilizzo dell’acqua differente dallo spargimento in campo.
Le acque reflue, pretrattate per ottenere l’eliminazione delle sostanze sospese ed altri effetti utili, sono inviate al recupero di biofenoli, mentre il residuo può essere sottoposto a fermentazione per ottenere etanolo.
L’elaborazione delle sanse umide o di quelle “palabili” che siano, potrebbe fornire notevoli quantità di biofenoli prima di costituire una buona fonte di sostanze in parte da destinare all’alimentazione del bestiame, in parte da sfruttare come fonte energetica.
Lo smaltimento delle acque mediante spandimento sul terreno, pur essendo possibile entro determinati limiti, presenta diversi problemi. Nel caso di sanse non palabili, provenienti da impianti a due fasi, la soluzione più praticata, dove questi impianti sono presenti in maggioranza (Spagna) sugli altri, risulta quella di produzione di compost attraverso la miscelazione con materiali vegetali di scarto (paglia, trinciati legnosi, ecc.). In genere prima della miscelazione viene realizzata la separazione del nocciolino macinato, che ha un certo interesse commerciale in relazione alla resa calorica in combustione. Tale recupero appare interessante e in ogni caso possibile andrebbe attuato. Questa via è stata affrontata su un impianto di piccola dimensione [A.R.P.O., 2007-2008] in modo da mettere a punto e valutare le condizioni tecniche ed economiche per ridurre l’impatto ambientale e risolvere in maniera vantaggiosa il problema dello smaltimento nel caso degli impianti a due fasi.
La bibliografia può essere richiesta all’autore.
Allegati
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