Dopo il periodo di freddo più intenso è il momento di eseguire la potatura dell’oliveto.
Questa pratica agronomica è stata limitata in numerosi comprensori olivicoli nel tentativo di ridurre i costi di produzione, ad esempio effettuandola ad anni alterni o con un turno ancora più lungo. È sicuramente corretto non eccedere nei tagli che riducono la densità della chioma e la superficie fotosintetica, tuttavia la potatura rappresenta una tecnica importante dal punto di vista produttivo nonché un fondamentale strumento di profilassi per il contenimento di diverse avversità. L’equilibrio vegeto-produttivo di una pianta di olivo adulta si raggiunge infatti con tagli oculati e non eccessivi gestiti con periodicità annuale e attuando la salutare azione di rimonda da sintomi di avversità e agenti di danno.
La rogna
Per le varietà sensibili agli attacchi di rogna (tab. 1), è opportuno nelle zone a basso rischio di gelate anticipare la potatura alla fine dell’inverno cercando di sfruttare giornate di tempo sereno caratterizzate da bassa umidità relativa dell’aria; così si effettuano i tagli quando le condizioni non sono favorevoli alle infezioni di questo temibile batterio e si riduce la probabilità di infezioni nei giorni successivi consentendo alla pianta di formare le prime barriere di cicatrizzazione in assenza di pericolose fonti d’inoculo.
I rami tagliati con i tubercoli sviluppatisi nelle infezioni della precedente stagione non devono essere lasciati a seccare in campo per evitare che costituiscano essi stessi una fonte di inoculo della malattia. È opportuno quindi allontanarli dall’oliveto e distruggerli o, secondo le recenti disposizioni di legge, bruciarli per finalità fitosanitarie. I tubercoli ancora attivi infatti sono formati internamente da zooglee, ammassi di cellule del batterio Pseudomonas syringae subsp. Savastanoi (foto 1), la cui penetrazione all’interno degli organi vegetativi può avvenire solo attraverso lesioni accidentali (da nevicate, grandinate, gelate tardive), o dall’uomo (potature, raccolta). Umidità atmosferica elevata e prolungata bagnatura degli organi vegetativi sono gli elementi base perché si sviluppi un processo infettivo. Per questo motivo negli oliveti già attaccati dalla rogna è indispensabile intervenire, subito dopo la potatura (non oltre le 72 ore) e comunque prima che si verifichino eventi di precipitazione, con prodotti fitosanitari a base di rame per ostacolare la penetrazione del batterio all’interno della vegetazione.
Occhio di pavone
Le condizioni meteorologiche dell’estate e dell’autunno 2014 hanno favorito in molti comprensori lo sviluppo di infezioni di occhio di pavone. Frequenti e in alcuni casi abbondanti piogge estive ed autunnali si sono spesso associate a valori termici inferiori alle medie del periodo. L’agente causale della malattia è un fungo parassita, Spilocaea oleagina che si sviluppa all’interno della cuticola dei tessuti infettati. Il fungo forma una rete di ife molto sottili, parallele alla superficie delle cellule epidermiche che, al termine dello sviluppo, differenziano rami miceliali che fuoriescono dalla cuticola e danno origine a rami conidiofori dai quali di disperdono, grazie all’azione del vento o dell’acqua, i conidi che sono in grado di infettare altre foglie (foto 2), giovani rami, germogli e frutti. La malattia si manifesta con tacche di colore grigio ed alone giallastro, ben visibili sulla pagina superiore delle foglie (foto 3); i sintomi si evidenziano dopo un periodo di incubazione di durata variabile in funzione delle condizioni ambientali. Infatti la biologia del fungo è strettamente legata all’andamento delle temperature, dell’umidità e della pioggia.
Osservazioni in campo e recenti studi in laboratorio, con inoculazione artificiale, hanno sempre evidenziato una notevole variabilità del tempo che intercorre tra l’inizio dell’infezione e la comparsa dei sintomi. La durata di questo periodo è influenzato dalle condizioni di incubazione dopo l’inoculazione, dall’età delle foglie (quelle giovani sono estremamente sensibili) dal grado di resistenza delle cultivar e può variare da 4 a 21 settimane. Temperature tra i 12-20 °C e umidità elevate (vicine al 100%) costituiscono le condizioni climatiche più favorevoli per lo sviluppo del fungo. Temperature elevate e umidità relativa inferiore al 65% prolungano invece il periodo di incubazione.
I danni conseguenti alla colonizzazione dei tessuti da parte di S. oleagina consistono in ingiallimento delle foglie, defogliazioni anticipate e interferenze con l’induzione a fiore dei germogli. Le infezioni primaverili che restano in latenti durante l’estate e sono responsabili delle epidemie di occhio di pavone nel successivo autunno-inverno
Per questo motivo tutte le operazioni colturali, di fine inverno inizio primavera, che sfoltiscono la chioma e ne consentono una migliore aerazione possono ridurre l’incidenza della malattia. Anche altre pratiche agronomiche quali corrette concimazioni senza eccessi di azoto riducono i rischi di infezione. Come accennato un altro importante fattore da prendere in considerazione è la suscettibilità varietale che può incidere notevolmente sulla gravità dell’infezione.
Un metodo efficace
Quando il periodo di incubazione è molto prolungato, la valutazione delle infezioni latenti immergendo le foglie in una soluzione di idrossido di sodio (diagnosi precoce) è un metodo rapido e appropriato per la determinazione della gravità delle infezioni senza la necessità di aspettare la comparsa delle lesioni visibili. Tuttavia occorre tenere presente che il periodo minimo di incubazione, superato il quale questo tipo di valutazione è possibile, è stato stimato in 21 giorni dall’inizio dell’infezione. Per questo motivo la diagnosi precoce (vedi box), in caso di esito negativo, andrebbe ripetuta a distanza di 15-20gg per essere sicuri che la fase iniziale dell’infezione non mascheri l’effettiva entità dell’attacco.
Gli interventi anticrittogamici sono consigliati solo nel caso di forti infezioni: la soglia da prendere in considerazione è pari al 30-40% di foglie con sintomi (su un campione di 200 foglie/ha).
L’impiego di prodotti rameici al superamento della soglia, è di norma sufficiente a contenere la malattia. Il trattamento, da eseguire prima della ripresa vegetativa, provoca la caduta delle foglie più colpite (trattamento eradicante) riducendo così il rischio che quelle neoformate si infettino. In caso di andamento stagionale favorevole al micete, potrebbe essere ripetuto alla comparsa delle nuove foglie e/o in autunno. L’intervento di tipo eradicante, nel caso in cui l’entità dell’infezione sia elevata, potrebbe influenzare la disposizione a fiore delle gemme (private anticipatamente delle foglie) con ripercussioni sulla produzione dell’annata. In questo caso è consigliabile effettuare interventi con prodotti fitosanitari a base di dodina, che non inducono la caduta delle foglie.
Gli autori sono di Assam – Servizio fitosanitario regionale, Ancona