L’innovazione in olivicoltura è necessaria per fornire prospettive certe al comparto, ma occorre altresì tutelare e valorizzare l’olio extra vergine di oliva prodotto con appositi strumenti, come l’analisi del Dna. È l’indicazione emersa dall’evento sull’olivo tenuto nell’ambito della 13ª edizione di “Vigna & Olivo”, annuale doppio appuntamento di aggiornamento tecnico sulla viticoltura e sull’olivicoltura organizzato online a marzo dall’Associazione di promozione sociale Vento di Maestrale e dall’Associazione regionale pugliese dei tecnici e ricercatori in agricoltura (Arptra).
Sistemi colturali innovativi in olivicoltura
Per superare la crisi produttiva che sta vivendo l’olivicoltura italiana occorre che gli imprenditori olivicoli si dotino di adeguati strumenti agronomici, ha introdotto Francesco Maldera, dottore di ricerca presso il Dipartimento di scienze del suolo, della pianta e degli alimenti (Disspa) dell’Università di Bari.
«L’olivicoltura italiana versa da tempo in una profonda crisi strutturale. Comprende il 10% dell’olivicoltura mondiale, ma la superficie coltivata ha subito un calo del 30% in 20 anni, per l’invecchiamento degli impianti. È inoltre caratterizzata da mancanza di innovazione, costi di produzione elevati e nuovi patogeni emergenti».
Le attuali proposte per nuovi impianti sono la media densità (400-550 piante/ha) e l’altissima densità, che significa densità di impianto di 1200-2000 piante/ha, forme di allevamento in volume (SHD 1.0 e SHD 2.0), entrata in produzione precoce, alternanza di produzione molto attenuata e meccanizzazione di tutte le operazioni colturali, ma soprattutto la formazione di un’unica parete produttiva e la raccolta meccanica in continuo con scavallatrice (con un rapporto di produttività del lavoro pari a 1 con la raccolta agevolata, 10 con scuotitore di tronco e 90 con scavallatrice). L’altissima densità è capace inoltre di garantire un migliore livello di carbon footprint e water footprint. Per il suo buon esito le variabili agronomiche cruciali sono la scelta varietale e la gestione colturale».
La scelta varietale per l’innovazione in olivicoltura

Nella realizzazione di nuovi impianti la scelta varietale non può non tenere conto della presenza su un ampio territorio della Puglia del batterio Xylella fastidiosa subsp. pauca ST53 (Xfp), ha ricordato Maldera.
«Varietà consentite dal 2018 sono Leccino e Favolosa, dal 2024 anche Leccio del Corno. Di queste tre solo la Favolosa è idonea per gli impianti superintensivi. A queste si affiancano tre nuove cultivar derivate da miglioramento genetico con incrocio controllato, tutte iscritte al Registro nazionale della varietà di olivo e adatte per impianti superintensivi:
- Lecciana, incrocio di Leccino x Arbosana, resistente a stress biotici (Xfp) e abiotici,
- Coriana, incrocio di Koroneiki x Arbosana, caratterizzata da bassa vigoria e precocità di produzione,
- Elviana, incrocio di Arbosana x Blanqueta de Elvas, caratterizzata da bassa vigoria e duplice attitudine.
Tutte e tre queste varietà garantiscono una produzione di olive maggiore delle varietà storiche utilizzate per il superintensivo, cioè Arbequina, Arbosana e Oliana».
La gestione colturale
Per il buon esito produttivo dei nuovi impianti, in particolare di quelli superintensivi, l’innovazione in olivicoltura, ha raccomandato Maldera, non può che essere a 360 gradi, dalla realizzazione dell’impianto alla sua completa gestione.
«Una nuova olivicoltura è possibile solo se poggia su tre cardini:
- mentalità imprenditoriale,
- mentalità frutticola
- e assistenza tecnica specializzata».
L’analisi del Dna a tutela dell’olio evo italiano
L’elevato valore economico dell’olio extra vergine d’oliva porta tuttavia a un’ampia gamma di pratiche fraudolente in cui esso viene miscelato con oli di qualità inferiore della spessa specie (olio d’oliva raffinato o olio di sansa d’oliva) o di altre specie e vengono utilizzati metodi di produzione non approvati, ha evidenziato Cinzia Montemurro, docente di Genetica agraria e miglioramento genetico presso il Disspa dell’Università di Bari.
«Per la valutazione dell’autenticità degli oli extra vergine di oliva esistono due approcci: chimici e molecolari basati sul Dna. Quelli chimici rilevano la presenza di contaminanti e adulteranti e, in alcuni casi, identificano l’origine geografica del prodotto; tuttavia, in tale ultimo caso, questi metodi potrebbero essere scarsamente riproducibili in quanto influenzati dall’ambiente. Invece i marcatori molecolari SSR e SNP sono un potente strumento per analizzare la composizione varietale degli oli, caratterizzati da un Dna altamente frammentato».