Dal frantoio non solo olio

sottoprodotti olivo
Ricerche dell’Università di Perugia mostrano nuove soluzioni per la valorizzazione dei co-prodotti ottenuti dalla trasformazione delle olive in frantoio con l’obiettivo di una filiera a scarto zero

Il frantoio moderno non produce solo olio, ma una serie di prodotti che non è più possibile definire come un tempo sottoprodotti della lavorazione delle olive, bensì più correttamente co-prodotti. Se ne è parlato nel secondo webinar della serie autunnale dell’Accademia Nazionale dell’Olivo e dell’Olio, durante il quale i tre relatori, afferenti al Dipartimento di Scienze Agrarie Alimentari e Ambientali, hanno affrontato gli impieghi alimentari, zootecnici e agronomici dei derivati della trasformazione delle olive in olio.

La filiera olivicola-olearia, ha esordito Maurizio Servili, è ancora molto indietro nel recupero e valorizzazione di tutto ciò che viene prodotto durante l’estrazione dell’olio in frantoio. L’olio rappresenta solo il 10-20% della materia prima immessa nel sistema ed il rimanente 80% viene invece scartato o sottoutilizzato. Un risultato assai deludente se si confronta con altre filiere agricole e di trasformazione. Ad esempio, la filiera viticolo-enologica recupera quasi il 100% della materia prima e si può quindi considerare una filiera a scarto zero. Il modesto risultato in frantoio è ancora più incomprensibile sia dal punto di vista delle moderne tendenze verso l’economia circolare, che anche da un punto di vista strettamente economico visto che l’Italia è tra i paesi con i costi di produzione più elevati al mondo e valorizzare i co-prodotti del frantoio potrebbe notevolmente abbassarli e così migliorare la redditività della filiera.

I due temi chiave di qualsiasi processo produttivo oggi, cioè la sostenibilità e l’innovazione, riguardano anche i co-prodotti. E naturalmente vi sono numerosi cambiamenti ed un’evoluzione delle tecnologie e dei macchinari, come è evidente per esempio nel passaggio dal sistema a 3 fasi verso quello a 2 fasi. Ciò comporta notevoli differenze nei parametri che caratterizzano la sansa, che contiene circa il 50% di umidità nei frantoi a 3 fasi, ma l’80% in quelli a 2, per cui nel secondo caso non è direttamente utilizzabile per l’ulteriore estrazione dell’olio di sansa (va prima essiccata parzialmente) e non essendo palabile complica alquanto il trasporto. Il risultato è che l’Italia sta abbandonando la produzione di olio di sansa che, se da un lato è coerente con la politica di miglioramento della qualità e diversificazione degli oli extra-vergini, non è proprio in linea con quei fenomeni congiunturali che vedono il prezzo dell’olio di sansa arrivato a 3 euro al kg per la crisi dell’olio di girasole. Allo stesso tempo vi è da considerare l’importanza di perseguire politiche di sicurezza alimentare.

Proprietà dei co-prodotti (o sottoprodotti) dell’olivo

Il nodo cruciale – ha continuato Servili – è riuscire ad utilizzare i prodotti dell’attività del frantoio per raggiungere la sostenibilità. Ma quali sono, oltre l’olio, i prodotti?

  • Biogas,
  • sansa,
  • nocciolino,
  • acque di vegetazione.

Queste ultime sono ricchissime di polifenoli che meritano un discorso a parte perché vi è grande interesse negli antiossidanti di origine naturale da utilizzare nelle preparazioni alimentari per produrre cibi funzionali, bevande funzionali, cosmetici ed altri prodotti, alimentari e non, ad alto valore aggiunto.

Solo negli Usa il mercato è di oltre un miliardo di dollari, ma i fenoli provenienti dalle olive costituiscono una percentuale irrisoria nonostante che la materia prima ne sia ricchissima. E le prove scientifiche dell’azione antiossidante, antinfiammatoria, antitumorale di biofenoli contenuti nell’oliva e nell’olio sono numerose, si pensi solo ai tanti lavori pubblicati sull’oleocantale o sull’oleacina.

Diversi sono i metodi utilizzati per l’estrazione dei fenoli dalle acque di vegetazione, ma il più comune e collaudato è dato dalla filtrazione e successiva purificazione, attraverso vari passaggi, fino ad ottenere un concentrato fenolico che può essere impiegato nell’industria alimentare.

Le utilizzazioni sono svariate: dai prodotti lattiero-caseari (ad esempio, yogurt in cui vengono aggiunti al latte prima della fermentazione o formaggi freschi prima della cagliata) agli insaccati e ai salumi, alle carni ove migliorano digeribilità e appetibilità e riducono lo sviluppo di idrocarburi policiclici aromatici. Tante possibilità che fanno ben sperare di giungere ad una filiera a scarto zero nel breve tempo e a migliorare la qualità e conservabilità di tanti alimenti in maniera assolutamente naturale.

L’utilizzo nella mangimistica

Vi sono poi gli usi zootecnici, illustrati da Mariano Pauselli. In questo ambito, più che in altre produzioni agroalimentari è fondamentale l’adozione di pratiche innovative mirate ad aumentarne la sostenibilità e l’inserimento degli allevamenti in quadri di economia circolare.

L’inserimento nella dieta dei ruminanti di co-prodotti dell’estrazione degli oli di oliva ha mostrato effetti positivi sul benessere animale e sulla qualità dei prodotti come latte, carne e formaggio destinati all’alimentazione umana.

L’impatto ambientale delle produzioni di alimenti di origine animale, su scala globale è, infatti, rilevante; un impatto dovuto essenzialmente alle emissioni di gas ad effetto serra, al consumo di suolo e alla perdita di biodiversità, e infine alla contaminazione delle acque superficiali.

Circa un terzo della superficie agricola mondiale è dedicata alla produzione di colture a scopo di alimentazione animale e appare pertanto necessario, anche a fronte di una crescente domanda di carne e derivati animali, pensare a nuovi modi di produrre alimenti e mangimi per la zootecnia o all’uso di co-prodotti agroindustriali come prodotti alternativi per l’alimentazione animale.

A livello di specie animali, quelle più interessanti per il potenziale di consumo dei co-prodotti sono quelle dei ruminanti, efficienti bio-riciclatori dei co-prodotti dell’industria agro-alimentare, tanto che già rappresentano il 6-7% della razione dei ruminanti a livello globale.

Tuttavia, vanno fatte delle considerazioni sugli alimenti zootecnici circolari e innovativi e sulle caratteristiche che li rendono idonei all’applicazione su ampia scala. Questi prodotti devono contenere, possibilmente, le emissioni enteriche e quindi ridurre l’impatto sull’emissione di gas serra. I co-prodotti devono essere efficienti, digeribili e quindi convenienti. Non devono creare competizione tra uomo e animale, cioè non devono essere associati a fenomeni di deforestazione e riduzione della biodiversità, e la loro produzione non deve richiedere l’utilizzo di ulteriori input.

Soprattutto, non devono essere soggetti alla volatilità dei prezzi, ma devono avere un costo basso e costante: gli allevatori si trovano ad affrontare costi per l’alimentazione animale già molto alti. Oggi il mais ha raggiunto prezzi di circa 450 euro alla tonnellata e la farina di soia a 630 euro/t. Infine, i co-prodotti devono come minimo garantire il benessere degli animali, se non avere un valore aggiunto per la loro salute.

Polifenoli, effetti positivi sugli animali

I co-prodotti generati dall’industria olivicolo-olearia hanno un certo valore per il contenuto di macronutrienti, dato anche dalla percentuale di olio residua che costituisce una fonte energetica, ma è soprattutto la componente fenolica che rende interessante il loro utilizzo.

In generale, tannini e composti fenolici, entro una certa dose che può indurre una riduzione dell’ingestione di cibo negli animali, possono influenzare positivamente lo stato di salute, il metabolismo ruminale, la composizione acidica della frazione lipidica di carne o altri derivati (es. latte) e la stabilità ossidativa dei prodotti animali.

Un aspetto interessante e molto studiato è quello dell’effetto di questi composti sul metabolismo degli acidi grassi polinsaturi ingeriti con la dieta. Gli acidi grassi polinsaturi, che hanno un effetto tossico verso alcuni ceppi batterici e archei responsabili della metanogenesi, presenti nell’intestino animale, in condizioni normali, vengono idrogenati, resi quindi saturi, dalla microflora. Ciò spiega perché latte e carne dei ruminanti siano ricchi di questo tipo di acidi grassi. L’ingestione di polifenoli con la dieta inibisce questo processo di bioidrogenazione, e porta quindi ad un aumento, nella carne e nel latte, di acidi grassi polinsaturi e di acido rumenico, quest’ultimo con un alto valore nutrizionale per la dieta umana.

Molti dei recenti studi condotti in questo campo hanno confermato i vantaggi dell’utilizzo di prodotti come la sansa nell’alimentazione degli animali, ma soprattutto hanno contribuito a definire delle dosi massime.

Per la sansa di olive, con percentuali nel mangime

  • del 10% nei bovini
  • e 20% nell’alimentazione ovina,

si sono osservati aumenti fino al 20% dell’acido acido oleico nel latte, la riduzione dell’indice aterogenico, e l’aumento anche degli omega 3, in particolare utilizzando la sansa ‘paté’.

Per la produzione di carne, l’alimentazione integrata con sansa insilata, con percentuali dal 5 al 30%, ha prodotto un aumento della stabilità ossidativa della carne.

Nel suino, le percentuali di sansa somministrabile si fermano al 10%, soglia entro la quale non si riduce l’ingrossamento dell’animale; anche in questo si è osservato un cambiamento a livello di profilo lipidico delle carni, in particolare con l’aumento dell’acido linolenico.

Risultati simili a quelli osservati per l’utilizzo della sansa sono stati visti anche con l’integrazione di foglie di olivo nell’alimentazione degli ovini; gli studi eseguiti hanno considerato dosi variabili tra il 10 e il 30% dell’alimentazione, rilevando un aumento sostanziale nel formaggio di acido vaccenico e acido rumenico, e di acidi grassi della serie omega-3 e omega-6, oltre a una maggiore stabilita ossidativa, senza inficiare la palatabilità del prodotto.

Simili dati sono stati registrati anche utilizzando concentrati di composti bioattivi dalle acque di vegetazione; inserendo questo prodotto nei mangimi per bovini è stata anche osservata una riduzione importante di numero di cellule somatiche nel latte, che sta a significare un ridotto livello di infiammazione e quindi un maggiore benessere animale.

Restano ancora problematici gli aspetti della preparazione dei co-prodotti del frantoio per l’alimentazione animale e della loro stabilizzazione per essere disponibili tutto l’anno. L’eliminazione della frazione ligninica (nocciolino) dalle sanse è, ad esempio, indispensabile per l’uso zootecnico; per questo le sanse che provengono dalla lavorazione di olive denocciolate a monte sono preferibili.

C’è poi la questione della stabilizzazione. Se quelle provenienti dal processo a 3 fasi possono essere insilate, le sanse dal 2 fasi, per il loro elevato contenuto di acqua, richiederebbero un processo di essiccazione piuttosto costoso, di cui quindi dovrebbe essere valutata la convenienza.

Dal frantoio all’oliveto

Oltre al settore zootecnico, i co-prodotti dell’estrazione olearia trovano un ampio utilizzo anche in olivicoltura, come trattato anche da Primo Proietti, che ha illustrato i risultati di diverse ricerche mirate a inserire il sottoprodotto nel ciclo produttivo in una logica di economia circolare, in sostanza valorizzare lo scarto all’interno della stessa filiera che lo produce. Principale aspetto di interesse per lo spandimento delle sanse, tal quali o sottoposte a un processo di compostaggio, sono l’elevato contenuto di sostanza organica e un buon contenuto in fosforo, potassio e azoto.

Le sperimentazioni pluriennali hanno evidenziato che la somministrazione di sansa, associata a una concimazione a base di urea, porta ad un miglioramento della porosità e struttura del terreno ed un graduale aumento del contenuto del terreno di sostanza organica nel terreno, azoto organico, potassio scambiabile e, anche se in minor misura, di fosforo e magnesio. Dopo l’ammendamento, la microflora del terreno subisce un effetto negativo solo temporaneo; già dopo alcuni giorni, infatti è stato osservato un aumento della microflora ambientale. A livello colturale non si sono visti fenomeni di fitotossicità, ma anzi è stato registrato un maggiore accrescimento dei germogli, e una maggiore produzione di olive, pur senza variazione della percentuale di olio. La maturazione dei frutti e la qualità dell’olio non sono state influenzate dall’ammendante.

A livello normativo, i co-prodotti sono trattati come ammendanti agricoli: il decreto del 2 agosto 2006 consente l’impiego in agricoltura di acque di vegetazione e sanse derivate dal frantoio. Vi sono alcune regole e misure di buon senso da rispettare, in particolare per quanto riguarda le dosi e l’uniformità di distribuzione. In sostanza si consiglia uno spargimento superficiale al massimo con un interramento leggero a 10-15 cm, prima della ripresa vegetativa e prediligendo i terreni con pH basico ed evitando lo spandimento in corrispondenza di falde idriche.

Un compost dalla sansa

Dal compostaggio della sansa si può ottenere un substrato alternativo alla torba comunemente utilizzata nel settore vivaistico.

Proietti ha anche parlato dei sistemi di compostaggio delle sanse e delle sperimentazioni effettuate per ottenere un compost economico realizzato con strumenti a bassa tecnologia: il compostaggio della sansa migliora il prodotto in ragione della riduzione di sostanze fenoliche e della stabilizzazione della sostanza organica. L’uso di questo compost in olivicoltura si è dimostrato privo di effetti fitotossici e, rispetto alla sansa, con un migliore effetto sulla struttura del terreno, e sulle caratteristiche chimiche.

Ma è soprattutto in ambito vivaistico che il compost di sansa potrebbe trovare una applicazione efficace. Le prove effettuate hanno dimostrato che il compost può andare a costituire fino al 30%, dei substrati di coltivazione senza dimostrare fitotossicità e talora apportando effetti benefici di inibizione di alcuni patogeni. Tra l’altro, l’uso del compost in questo contesto consentirebbe di ridurre o eliminare l’utilizzo di torba, materiale soggetto a crescenti problematiche, anche di reperibilità.

Concludendo, Proietti ha rimarcato che la tecnica di utilizzo delle sanse nell’oliveto, supportata dai risultati ottenuti in queste ricerche, è già utilizzabile e ha diversi punti di forza. Intanto esiste già una normativa che regola gli spandimenti. La tecnica è relativamente facile e utilizza macchine di cui l’olivicoltore, nella maggior parte dei casi, già dispone. Si tratta, in sostanza, di una tecnica a basso costo dai molti benefici, non ultimo anche quello del sequestro di carbonio come sostanza organica nel terreno. I punti di debolezza sono rappresentati dai rischi ambientali, in cui però si incorre solo se l’ammendamento viene condotto in maniera irrazionale, ma anche da eventuali difficoltà logistiche legate alla necessità di stoccare le sanse per periodi relativamente lunghi se il suolo è bagnato e l’oliveto impraticabile.


L’articolo è disponibile per i nostri abbonati su Olivo e Olio n. 1 - gennaio 2023

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Dal frantoio non solo olio - Ultima modifica: 2023-01-17T08:30:15+01:00 da Barbara Gamberini

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